Che relazione esiste tra amore e poesia? La parola poetica ci illumina sul più potente tra i sentimenti umani, oppure ci frega, alimentando le nostre illusioni? Lo abbiamo chiesto al poeta e scrittore Guido Catalano.
L’amore, si sa, fa presto a finire in farsa quanto in tragedia: ecco perché, tra l’altro, parlarne può risultare rischiosissimo. Eppure, sembra impossibile farne a meno: la storia della nostra cultura pullula di opere che raccontano l’amore. O, almeno, ci provano. Che rapporto esiste – ci si può chiedere, allora – tra questo sentimento e la parola poetica? E a qualcuno che ama/ha amato/spera di amare un poeta può insegnare qualcosa? Il poeta e scrittore Guido Catalano ci ha detto la sua.
Nel tuo lavoro, tanto in poesia quanto in prosa, ti sei occupato moltissimo d’amore, in tutte le sue forme e nelle sue sfumature più tragicomiche. Penso, ad esempio, al podcast andato in onda quest’estate, Amare male, nel quale trovavano spazio disastri sentimentali estivi e consigli semiseri per arginarli. Ma come si fa, in effetti, ad amare bene? E la poesia può aiutarci a trovare il modo giusto, oppure ci irretisce nel complicarci la vita?
[Guido Catalano]
Ormai sono tanti anni che scrivo poesie, ho pubblicato due romanzi e sono approdato al podcast avendo come filo conduttore la tematica amorosa. E devo dire che, in effetti, a me scrivere d’amore è servito tantissimo soprattutto per cercare di capirci qualcosa. Ho iniziato a farlo da relativamente giovane, ventitré o ventiquattro anni fa, quando ho iniziato a scrivere le poesie. Era un periodo in cui la mia vita amorosa non funzionava proprio e raccontare storie d’amore mie e di altri è stato una sorta di autoanalisi. Ecco, ammesso che dell’amore e dei rapporti umani si possa arrivare a comprendere qualcosina in più, scrivere serve proprio a quello. Al contempo, del resto, io leggo libri, ascolto canzoni, guardo film e in generale fruisco moltissime opere che trattano questa tematica. Perché l’empatia, l’identificazione con l’altro che l’opera artistica è in grado di creare, è veramente qualcosa di fondamentale.
Riguardo il come si fa ad amare bene… Per me ha costituito un’esperienza cruciale l’occuparmi della Posta del Cuore per il Corriere della Sera Torino. Quelle lettere, meno surreali e pazze di quelle presenti nel podcast, mi hanno permesso di farmi un’idea di quali siano i problemi amorosi delle persone. In luce di questa esperienza, penso che uno dei segreti sia la sincerità. Nascondere le cose alla persona che si ama e che ci ama alla lunga porta all’implosione del rapporto. Poi, bisogna volersi bene. Nel senso che bisogna prima di tutto voler bene a sé stessi, altrimenti è impossibile voler bene agli altri. Perché tanti problemi che possono sorgere nella coppia spesso derivano da profonde insicurezze personali.
Per esempio?
[Guido Catalano]
Be’, un esempio che mi riguarda molto da vicino è quello della gelosia. La gelosia è quasi una “malattia”, una delle più gravi che si possano vivere all’interno di un rapporto. In passato, io sono stato geloso, anche se non in modo patologico. Analizzando la gelosia, però, mi sono reso conto che nella gran parte dei casi la gelosia non ha a che fare tanto col comportamento dell’altro. Spesso le sue radici affondano nel fatto che chi la prova ha bisogno di lavorare su di sé. L’arte, fruita o praticata, ha un ruolo fondamentale in questo lavoro su di sé.
Di questo lavoro su di sé che l’amore può richiedere, peraltro, nei tuoi lavori traspare come non secondaria anche una buona dose di (auto)ironia. In amore bisogna non prendersi troppo sul serio – o quantomeno, se possibile, cercare di non farlo diventare una grande tragedia. Quanto peso ha questo elemento, il saper ridere?
[Guido Catalano]
È fondamentale, assolutamente fondamentale. Per me l’autoironia è una dote che è arrivata col tempo, non mi è chiarissimo se per opera del Signore, della natura o di che altro. Fatto sta che mi sono trovato a parlare dei drammi amorosi – miei e di altri – cercando di non prenderli troppo sul serio. Che non significa non fare le cose sul serio o non rispettare la portata emotiva di queste storie. Significa cercare di ricordare sempre l’importanza di riderci su, anche quando le cose non vanno affatto bene. Non solo in ambito amoroso, del resto, ma anche in tutti gli altri ambiti della vita. Cercare di ridere delle proprie disgrazie è un modo per salvarsi. E anche per salvare gli altri. Ecco perché adoro le persone che mi fanno ridere, quelle che riescono a sdrammatizzare.
Ricordo il titolo del tuo romanzo D’amore si muore, ma io no: andrebbe letto come una dichiarazione programmatica?
[Guido Catalano]
Esatto. Nei miei titoli è già chiaro l’intento dell’opera, quello appunto anche di sdrammatizzare. Un altro esempio è Ti amo ma posso spiegarti; sono titoli che valgono come piccoli manifesti di ciò che poi si trova nell’opera.
Secondo te, quanto bisogno ha oggi la vita quotidiana di poesia? E, peraltro: “poesia” intesa come? Perché evidentemente esiste una differenza tra la poesia come la pratichi tu e forme di poesia che si pretendono più serie, accademicamente legittimate.
[Guido Catalano]
Penso che abbiamo bisogno di poesia come ne abbiamo del raccontarci storie, della musica e delle canzoni, dell’arte visiva, dei film. Non penso che abbia un ruolo diverso. Lo so, poeti forse più “accademici” intendono la poesia come qualcosa di più alto e delicato. Io penso che la poesia sia una forma d’arte come le altre, tutto sommato. Sicuramente ne abbiamo bisogno, ma non saprei indicare quanto. Io di poesia ho bisogno esistenzialmente, dato che la leggo, la scrivo e mi ci pago le bollette [ridendo, ndr]. A parte gli scherzi, la mia poesia – come mi è stato fatto notare da poeti più classici – si avvicina molto alla prosa nello stile e nei temi. E personalmente non so mai bene parlare di poesia. Paradossalmente, forse, per un poeta, quando mi chiedono cos’è la poesia entro in confusione e difficoltà.
Come ipotesi di lavoro, potremmo considerare la poesia come una risorsa per mettere un momento in pausa la realtà per riuscire a sentirla più profondamente. Se così è, ci sono – tornando anche alla tematica amorosa – poesie che ti sono particolarmente care per averti aiutato a sentire e capire?
[Guido Catalano]
Certamente sì. Molte di esse ricorrono nei miei reading, anche nell’ultimo tour subito dopo la pandemia. Si tratta di versi che ho scritto magari anche quindici o vent’anni fa, ma che ormai sono cavalli di battaglia. Una di queste è Teniamoci stretti che c’è vento forte. Che è nata come una poesia d’amore ma ha acquisito negli anni un senso diverso, venendo riletta e reinterpretata. In realtà, non ricordo se l’abbia scritta per una donna in particolare: talvolta, le mie poesie sono dedicate ad amori possibili, futuri, ancora mai incontrati. Un’altra poesia cui tengo particolarmente è Fuor di metafora, che s’ispira alla canzone Margherita di Cocciante. In questo caso ho scelto una chiave comica, con l’intento, però, di porgere omaggio a una delle canzoni d’amore più belle degli ultimi trecento anni.
Vorrei chiederti, da ultimo, un consiglio e una poesia per qualcuno che non si sia mai innamorato. E un consiglio e una poesia, invece, per chi ha il cuore a brandelli.
[Guido Catalano]
Una cosa strana del mio lavoro è che non mi ricordo delle mie poesie. Più facile è con il consiglio, vista la già citata esperienza con la Posta del Cuore. Per quanto riguarda chi non si è innamorato… Ricordo di aver letto molte lettere di giovani e giovanissimi colti da una sorta di panico rispetto al non riuscire a innamorarsi. All’inizio ero piuttosto sconcertato, perché per me il problema nella prima fase della mia vita era l’innamorarmi profondamente, ma senza essere ricambiato. Poi ho capito che mi innamoravo semplicemente delle persone sbagliate. A queste persone, comunque, suggerivo banalmente di avere pazienza: prima o poi l’amore arriva per tutti. Forse il segreto è non cercare di innamorarsi a tutti i costi quando non succede: bisogna fermarsi e aspettare che arrivi coi suoi tempi. Anche perché accanirsi nella ricerca porta solo a entrare in un loop negativo.
Per i cuori infranti, invece, ho scritto tantissime poesie che parlano proprio di devastazione amorosa, per le ragioni che ci siamo detti. Mi sono addirittura inventato un genere: le poesie di fine rapporto (PFR). Sono quelle poesie che si scrivono col cuore in mille pezzi per mettere in atto una sorta di catarsi. Servono a sfogarsi senza far male a nessuno, limitandosi a insultare, più o meno gentilmente, la persona che ci ha spezzato il cuore. Una delle poesie di questa categoria che il pubblico trova più divertenti è senz’altro Tu, scritta ormai circa vent’anni fa. Ovviamente, dipende da che genere di sofferenza amorosa uno vive. Però praticare questo genere spesso aiuta a capire che la colpa non è tutta dell’altra persona. Che, quando un amore naufraga, solitamente le colpe sono ripartite in parti uguali. Ed è il primo passo per cominciare a guarire.
La poesia di Guido Catalano forse non è per tutti. Il suo stile e le sue scelte espressive ad alcuni cultori della letteratura potrebbero apparire eccessivamente semplici, troppo “pop” per essere “vera” poesia. Tutto cambia, però, se s’intende la poesia come nient’altro che la capacità di cogliere artisticamente attimi di bellezza nel quotidiano e farne dono.
Se questo è il requisito, l’opera di Guido Catalano centra in pieno l’obiettivo con una generosità sconosciuta a forme e realtà poetiche istituzionalmente più legittimate. Le parole delle sue poesie hanno il potere, una volta scritte, di diventare di tutti e per tutti. Parole da leggere in treno, da ascoltare in un podcast, da ripensare sorridendo mentre si torna a casa da chi si ama. O anche solo mentre si ritorna da sé dopo essersi persi di vista.
In mancanza di un suggerimento da parte del poeta, vorrei offrirne uno in sua vece in chiusura. Una poesia tanto per chi abbia amato e perso quanto per chi non abbia amato mai. Ogni volta che mi baci muore un nazista, che intitola la raccolta pubblicata nel 2017. Per ricordare che l’amore è qualcosa di complicatissimo, a volte difficile da trovare, ma capace da solo di disinnescare le peggiori brutture del mondo. Quando la poesia riesce a ricordarcelo, semplicemente ci salva.
Valeria Meazza