Guerre di serie B

Guerre di serie B

Michele Marsonet

Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane


Le guerre meno visibili mediaticamente, definite come “guerre di serie B”, sono più numerose rispetto a quelle che attirano maggiormente l’attenzione dei media. Nonostante la loro crescente frequenza e gravità, sembrano generare minor impatto emotivo, quasi a suggerire che le vite delle vittime civili coinvolte siano considerate meno rilevanti rispetto ai conflitti più seguiti.


Nel mondo ci sono ormai così tante guerre che diventa difficile seguirle tutte con attenzione. Un fatto, tuttavia, è certo. Ci sono guerre di serie A e guerre di serie B. Le prime continuano a calamitare l’attenzione dei media di ogni tipo e riempiono le pagine dei quotidiani. Paradossalmente il pubblico, pur continuando a leggere gli articoli, manifesta spesso segni di stanchezza per il diluvio di notizie. Tali sono, per esempio, il conflitto tra Russia e Ucraina e quello tra Israele e Hamas.

Le cosiddette “guerre di serie B” sono assai più numerose delle prime ma, per svariati motivi, suscitano meno impressione, come se le vittime civili da esse causate fossero meno importanti dei caduti nei conflitti più seguiti. Tra le guerre di serie B possiamo annoverare quella civile nel Sudan. Paese già molto povero in precedenza, il Sudan sta ora letteralmente sprofondando. Non si contano più i morti e i profughi, mentre si registra l’intervento di appoggio finanziario e logistico a una delle due fazioni in lotta da parte di nazioni come Egitto e Qatar.

Nessuno, tuttavia, sembra più prestare attenzione alla recente guerra tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh, ex enclave armena in territorio azero sin dai tempi della ex URSS. La guerra tra le due Repubbliche ex sovietiche è iniziata con l’attacco azero dello scorso 19 settembre. E a differenza di quanto accaduto in passato, si è conclusa rapidamente con la completa vittoria dell’Azerbaigian appoggiato dalla Turchia di Erdogan. Gli armeni, dal canto loro, non hanno più potuto contare sul tradizionale aiuto della Russia, molto impegnata altrove.

Ciò che conta notare, tuttavia, è che nel Nagorno la presenza armena è in pratica scomparsa. Abbiamo insomma avuto una sorta di pulizia etnica senza molti spargimenti di sangue. Nonostante il presidente azero Ilham Aliyev, ultimo erede di una dinastia che governa il Paese sin dai tempi sovietici, avesse promesso la cittadinanza agli armeni che desideravano fermarsi nel Nagorno, quest’ultimi non si sono fidati. Memori del genocidio subito nel secolo scorso dai turchi, e che Ankara si ostina a negare.

Ovviamente i profughi del Nagorno si sono diretti in Armenia. Si dà però il caso che il Paese sia povero, a differenza dell’Azerbaigian che può invece contare su immense riserve di petrolio e gas, delle quali persino Hitler tentò di impadronirsi nella seconda guerra mondiale.

Gli ex cittadini del Nagorno pensavano di essere a casa loro in Armenia. Ma Yerevan ha risorse limitate, e i profughi già si lamentano per lo scarso aiuto ricevuto. Nel Nagorno non ci sono più armeni, e quelli riparati in Armenia sono pressoché privi di prospettive. Dopo la visita della ex speaker democratica della Camera Usa Nancy Pelosi si pensava che gli Stati Uniti potessero fornire appoggio. Ma anche gli americani, con le elezioni presidenziali che incombono, hanno le loro gatte da pelare, e hanno inoltre ricevuto veti da russi e cinesi, entrambi contrari alla presenza americana nel Caucaso.

Per farla breve, i profughi armeni sono stati abbandonati da tutti e si devono arrangiare. Non è, in fondo, una grande novità. Gli armeni, che vantano una delle civiltà più antiche del mondo, hanno tra l’altro il “difetto” di essere cristiani in un’area a larghissima maggioranza musulmana. Ma che importa? Essendo stati sconfitti in una guerra di serie B, a ben pochi interessa la loro sorte, anche perché i Paesi della UE hanno bisogno del petrolio e del gas di Baku.

 

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