Edward Muir, professore alla Northwestern University, ha svolto attività di ricerca allo Harvard University Center for Italian Renaissance Studies di Villa I Tatti (Firenze). Il Rinascimento italiano, si può dire, è il suo pane. Eppure, quando Theodore Rabb (componente del comitato di direzione del «Journal of Interdisciplinary History») gli chiese un contributo sulle origini dell’opera musicale a Venezia, lui recalcitrò. In seguito, cedette, e per fortuna. Perché dalle sue ricerche sull’argomento è nato un saggio d’intrigante lettura: Guerre culturali. Libertinismo e religione alla fine del Rinascimento, Roma-Bari 2008, Laterza.
Il saggio prende in esame la situazione culturale di Venezia nello stesso periodo in cui, a Napoli, vescovi e inquisitori combattevano la pratica e la teoria del concubinato. In più luoghi della nostra penisola, era dunque in atto la medesima lotta contro due pulsioni sociali: quella di restaurare un ordine più teorico che reale e il ribollire di istanze filosofiche non riconducibili a occasionali “debolezze” e “trasgressioni”. Accanto a Venezia, Muir considera Padova, con la sua università. Il periodo esaminato comincia nel 1591 e termina nel 1660, con la fine dell’Accademia degli Incogniti.
“In questo lasso di tempo Venezia divenne all’interno del mondo cattolico il centro dell’opposizione all’estendersi dell’autorità papale, nonché la sede di un’editoria vitalissima che pubblicava libri senza significative interferenze da parte di censure ecclesiastiche o governative.” (Edward Muir, Guerre culturali…, pp. 3-4).
E l’opera musicale che c’entra?
“Per il suo potere di suscitare emozioni forti, l’opera divenne il mezzo primario per esprimersi e per fare commenti sulla politica culturale del momento: non solo la politica ecclesiastica, ma anche quella sessuale, che aveva assunto caratteri di bruciante urgenza perché pochissimi patrizi veneziani si sposavano e tantissime patrizie erano costrette a farsi monache. Il disallineamento fra matrimonio e sessualità riscontrabile nelle classi elevate veneziane generò una crisi demografica che infiammò ulteriormente le guerre culturali.” (Op. cit., p. 4)
Il crollo delle strutture coniugali portò a quello che Virginia Cox definì «io celibe», al quale è legata la presa di coscienza di alcune scrittrici della propria eguaglianza morale e intellettuale rispetto agli uomini. (Cfr. op. cit., p. 8). La frizione fra tolleranza e paura dell’ “anarchia”, fra pulsioni personali e ruolo sociale segnò la cultura di quest’epoca con un’ansia peculiare. La visione frammentata dell’essere umano portò a discussioni sul rapporto fra corpo e anima; l’immortalità di quest’ultima era periodicamente messa in discussione da alcuni docenti di filosofia dell’ateneo padovano. I sentimenti e la carnalità furono valorizzati come moventi dell’agire umano e degne manifestazioni della natura. I teorici veneziani dell’opera musicale posero l’udito al vertice della gerarchia fra i sensi, in luogo della vista illuminante.
Per “scettici”, s’intendono qui coloro che vedevano come guide del comportamento umano le peculiarità e le contingenze della storia – processo spiegabile in termini puramente umani. Non a caso Padova e Venezia produssero storiografi come Francesco Patrizi e Paolo Sarpi. Il libertinismo è un clima di pensiero che, allo stesso modo, rifiuta dogmatismi e autorità.
Non è improbabile che i guai di Galileo Galilei derivassero in buona parte dalla sua amicizia con Cesare Cremonini: professore di filosofia aristotelica all’università di Padova, casualmente omonimo del cantante. Cremonini trasmise infatti un’eredità scettica e libertina agli allievi e si trovava in antagonismo con la pedagogia dei Padri gesuiti.
Gli alunni del filosofo padovano, nel 1630, fondarono a Venezia l’Accademia degli Incogniti. Proprio loro, dopo il 1637, cominciarono a scrivere libretti d’opera. Vittime di pratiche matrimoniali restrittive (tipiche del patriziato) e di monacazioni forzate, misero in scena la grande mascherata della loro società, ove le pulsioni erano dissimulate dalle buone maniere.
Comunque fosse, a Padova, la rivalità fra università e collegio dei Gesuiti crebbe fino al punto di rottura. Nel 1591, gli studenti dell’ateneo cominciarono ad attaccare l’istituto religioso con schiamazzi, scritte sui muri, rottura di vetri, atti osceni. Cremonini difese gli universitari antigesuiti davanti al doge di Venezia. Dietro la concorrenza fra istituti, si celavano anche tensioni legate alle opposte concezioni dell’istruzione: una laica contro una confessionale. I Gesuiti dovevano il proprio successo all’ampio programma, ai metodi sistematici, all’importanza data alle lettere classiche, alle ripetizioni private gratuite, alla disciplina, alla ricreazione e all’esercizio fisico. Anche il teatro, con musica e danze, aveva buona parte nella didattica gesuitica.
A essere in pericolo era la fedeltà delle generazioni future alla Serenissima. I docenti laici rifiutavano infatti ogni forma di controllo sull’insegnamento, all’infuori dell’autorità del Senato veneziano. Al contrario, i Gesuiti davano la preminenza all’ortodossia cattolica nella docenza della filosofia ed erano visti come “fedeli a una potenza straniera”: il Papa.
Proprio del Papa i veneziani dovettero ammettere d’aver bisogno, come alleato politico nel XVII sec. Col primato marittimo della Serenissima, tramontò anche la sua famosa libertà culturale. Ma l’eredità di scettici e libertini rimase, insieme al repertorio del teatro lirico.
Erica Gazzoldi