Lo scorso 9 ottobre la Turchia ha dato inizio all’operazione definita “fonte di pace”. L’obiettivo turco era quello di costituire una fascia di sicurezza lungo il confine con la Siria
Ankara cercava (e cerca ancora) di assicurarsi almeno temporaneamente una porzione di territorio siriano per “neutralizzare” le milizie curde dell’YPG e allo stesso tempo ricollocare parte dei profughi siriani rifugiatisi in Siria.
L’operazione turca, criticata da molti paesi europei, ha avuto luce verde da parte del presidente americano Trump. Nonostante una goffa smentita successiva, i vertici dell’amministrazione statunitense non si sono mai opposti all’azione turca. Infatti le truppe statunitensi hanno lasciato l’area per essere ricollocate in Iraq, anche se Baghdad ha fatto sapere di non volere il ridispiegamento delle truppe di Washington.
I confusi giorni del ritiro americano, dell’avanzata delle truppe filo-turche e poi della riconciliazione tra curdi ed Assad, hanno infine lasciato spazio alla diplomazia. Mentre continuano i combattimenti, il vicepresidente americano Pence si è recato nei giorni scorsi in visita in Turchia e con Erdogan è stata siglata una tregua. Questa, non rispettata dalle parti sul campo, serviva a permettere agli Stati Uniti di coordinare il defluire delle proprie truppe, unitamente alla popolazione civile dell’area, diretta verso sud e verso il confine con l’Iraq. Nonostante la tregua però, le operazioni militari sono continuate e almeno 20 civili hanno perso la vita.
Guerra in Siria – L’accordo tra Putin e Erdogan
L’inizio delle operazioni militari ha convinto i curdi dell’impossibilità di resistere. Due tra le più importanti città dell’area di conflitto, Ras al-Ayn e Tal Abyad, sono ormai nelle mani delle milizie filo-Ankara. Erdogan ha quindi invitato le milizie curde ad arrendersi o ad abbandonare la zona. C’è però una nuova possibilità che ha spinto Putin a definire un accordo con il presidente turco.
Mosca, dopo aver mediato tra il governo di Damasco e i curdi per il ridispiegamento delle truppe governative in alcune aree controllate da quest’ultimi, vuole evitare che le truppe siriane e turche possano arrivare allo scontro. Pochi giorni fa il presidente siriano Assad ha infatti parlato di Erdogan come un “ladro” che “sta rubando la nostra terra” . La possibilità non troppo remota di scontri tra esercito siriano e truppe legate alla Turchia ha spinto Putin ad un maggior ruolo operativo nel nord-est della Siria.
L’incontro a Sochi tra i due presidenti è durato sette ore e entrambi si sono detti soddisfatti del compromesso raggiunto. Questo prevederebbe la garanzia turca di rispettare l’integrità territoriale della Siria; una zona cuscinetto di circa 30 km che separi i centri di Ras al-Ayn e Tal Abyad; truppe russe e turche intorno a questa zona “cuscinetto” per supervisionare l’uscita dei curdi e delle milizie; pattugliamenti congiunti tra Russia e Turchia sulla cosiddetta “safe zone”, cioè l’area che i turchi vogliono “debellare” dai curdi.
Guerra in Siria – Il ruolo della Russia
La prima conseguenza tangibile è che la nuova situazione nel nord-est ha visto gli americani defilarsi dal conflitto siriano. Forse rimarranno alcune truppe nella base di al-Tanf, ma senza più lo spettro dell’ISIS il ruolo americano in Siria (per ora) va scemando.
Con il nuovo accordo tra Putin e Erdogan si entra in una nuova fase della guerra in Siria anche per la Russia. Mosca è sempre più attore determinante del conflitto e si va sostituendo nell’est del paese agli USA. Ciò non solo permette a Putin di rinsaldare ulteriormente la propria presenza nel Levante, ma anche di garantire ad Assad il ritorno nelle mani governative di territori molto importanti. Inoltre, in un quadro di cinica realpolitik, Putin sembra in una fase in cui appare disposto a concedere ad Erdogan ciò che egli chiede, almeno nei limiti del possibile.
Turchia e Siria
Dal canto suo la Turchia in questo modo riesce a raggiungere due risultati. Da una parte prosegue lo sganciamento dagli USA e agisce sempre più da “battitore libero” e dall’altra ottiene nel nord della Siria, seppur per ora in scala ridotta, quell’allontanamento delle milizie YPG/PKK che Ankara considera uno degli elementi vitali per garantire la propria sicurezza interna. Resta da vedere se Erdogan si limiterà alla collaborazione con le truppe russe o se passerà in una seconda fase all’occupazione diretta di territori. In quel caso si potrebbe aprire un’ulteriore finestra di scontro con Assad.
Questo sviluppo ha ricadute positive anche per Damasco. Come già detto, il governo tornerà in possesso di gran parte dei territori del nord-est e di importanti snodi strategici. Resta l’incognita dei miliziani filo-turchi stanziati in territorio siriano, ma è probabile che nell’incontro con Putin, Erdogan abbia acconsentito a ritirare il proprio appoggio alle milizie ribelli che ancora resistono nella regione di Idlib.
Nella sempre più complessa scacchiera della guerra in Siria ogni mossa ha le sue conseguenze. Per ora chi sembra pagare le ricadute più negative sono proprio i curdi, costretti dalle circostanze ad abbandonare il sogno del “confederalismo democratico” nel Rojava.
Davide Di Legge