Lontano dall’ipocrisia, il mio cuore ora è in Siria

Non esiste tregua al mio tormento. Ogni paragrafo, ogni sillaba presente in questo NON articolo, appartiene al mio cuore, e il mio cuore ora è in Siria.

Il problema è che abbiamo paura e basta.

Soffochiamo sotto il fardello di un cuore pulsante, che continua a martellare flebili palpitazioni irregolari, documentando un’esistenza apparente.

Soffochiamo perchè il nostro respiro si fa via via più carico, implodendo prepotentemente nella cavità toracica, fino ad opprimere il petto.

Ingoiamo emozioni, reprimiamo sentimenti, ci dissetiamo attraverso il sapore acre di lacrime amare mai versate.

E’ come osservare uno spettacolo raccapricciante: una figura umana, dalle sembianze di un feto, avvolto nella sua membrana amniotica. Si muove meccanicamente, sconquassato da una dannazione infinita, che nasce dal cuore della terra, per librarsi in cielo.

La nostra esistenza comporta l’attraversamento di un ampio spazio di dolore, contraddizione, prepotenza.

E tutto, improvvisamente, odora di morte.

Il problema è che abbiamo paura e basta.

Ma cosa trema, cosa turba le nostre coscienze e i nostri animi assonnati, così tanto da far sanguinare antiche ferite mai rimarginate?

Una terra che continua a squarciarsi, rovinarsi, aprirsi, lasciando posto all’abisso…

O vivere con un terribile fardello sulla coscienza? Si, sto parlando della consapevolezza che esistono cieli non troppo distanti dai nostri, che s’imbrattano quotidianamente di nero petrolio, inquinamento umano; distese celesti che si saturano di morte e di quella materia organica di cui l’uomo è umanamente composto, che si appiccica allo strato più esterno della nostra cute, come un’opaca pellicola che non si vuole lavare via, penetrando, a poco a poco, fin nelle ossa.

 

Esplosioni, armi chimiche, bombe. Cartilagine consumata, che ci impedisce di muoverci liberamente.

Attenzione, il termine petrolio non è stato disposto a caso.

La storia si ripete continuamente, regalando generosi spazi a dissacranti elogi d’odio, cattiveria, crudeltà umana. Usando due termini tristemente famosi: l’estrema banalità del male.

Qual è dunque il più grande errore, la colpa più devastante, il peccato originale della Siria?

E’ quello d’incarnare un luogo estremamente bollente, un importante, se non fondamentale, crocevia tra Oriente ed Occidente.

Si tratta di una zona strategica che l’intero pianeta vorrebbe controllare. Ma che ve lo dico a fare?

_Ho meditato a lungo, rifocillando le mie fragili membra attraverso ossigeno puro, aria pulita e incontaminata, futili distrazioni che potessero in qualche modo giovare alla mia anima inquieta.

Mi piace pensare che un giorno l’essere umano possa cessare di provare infinito godimento nel massacro e nella spietata carneficina dei suoi simili.

Tutto questo odio è mai stato necessario?

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Mi piace pensare che un giorno, lungo i miei viaggi, io possa emozionarmi ancora di quella moltitudine di gente colorata, che odora di canna di bambù e rosa canina, che danza per le strade con la musica in testa, si muove all’unisono, in completa armonia con il mondo che la circonda.

_Ho riflettuto a lungo, per cercare di comprendere la ragione ancestrale, la più profonda, che mi lega stretta a questa regione araba: la Siria.

La verità è che non voglio reprimere le mie emozioni, non voglio frenare la rabbia, l’odio, il terrore.

Non voglio sopprimere la mia ripugnanza e la totale intolleranza, che ardono come fuoco vivo nelle mie cavità veneree, per raggiungere cuore, polmoni e ogni periferia corporale.

La necessità di scrivere queste poche frasi è un parassita resistente, che matura nella mia mente giorno dopo giorno, come un cancro. E’ un piccolo seme che è cresciuto dentro di me, contagiando interamente l’intero sistema cerebrale. E’ un disagio immane, radicato nel profondo del mio essere.

Ma perchè tanta importanza?

La Siria e i Paesi limitrofi appartengono alla così detta culla dell’umanità; quel luogo lontano dove tutto è nato, laggiù dove l’uomo ha spalancato per la prima volta le sue pupille curiose, immergendosi nell’immensità del mondo. Il nostro mondo. Ai piedi della Siria c’era la Mesopotamia, il cuore pulsante dell’intera umanità.

Come possiamo dimenticare le nostre origini più ancestrali?

Come possiamo massacrarle, divorarle, annientarle, o peggio ancora ignorarle?

Questo è il centro nevralgico delle nostre lineari esistenze. Da qui nascono le prime idee, i primi studi, le prime coltivazioni, i primi numeri, le prime religioni monoteiste: il giudaismo, il cristianesimo, l’islam.

Da quanto tempo va avanti questo sanguinoso conflitto in Siria?

Parliamo di 5 anni. 5 lunghissimi, laceranti, strazianti, penetranti, lancinanti e sanguinosi anni.

Un profondo inferno che maciulla carne umana da un lustro di tempo. Ma la verità è che la volontà di dominare questo ormai esausto Paese era già viva all’epoca delle crociate.

Ebbene si, tutti vogliono la Siria. Tutti sono pazzi per la Siria.

Petrolio, petrolio, petrolio, petrolio, petrolio.

Gas naturale, Gas naturale, Gas naturale.

Denaro, Denaro, Denaro, Denaro, Denaro, Denaro, Denaro, Denaro. Interessi.

Scusate, devo essermi incantata.

Tutto sembra nascere da una mera illusione. Un sogno primordiale quanto utopico, radicato come una potente metastasi che attanaglia un organo profondamente importante e vitale, dalla quale non esiste via d’uscita. Si tratta di un’unica nazione araba, al posto di mille staterelli mangiucchiati come chicchi d’uva, e sputati nella geografia mondiale a casaccio. Ma l’essere umano, si sa, è profondamente egoista, ipocrita, disumano.

Usando due termini tristemente famosi: l’estrema banalità del male.

 

E’ sufficiente informarsi, leggere, documentarsi, permettere al nostro corpo di risvegliare le sue fragili membra da quel torpore apparente. Possiamo nutrire le nostre esistenze di pura poesia. Svuotare le nostre anime dalle inutili e insignificanti brutture quotidiane, alleggerendo un poco le nostre coscienze. Aprire gli occhi, permettere alle nostre livide iridi di accecarsi alla luce della verità. Possiamo leggere, seguire mappe geografiche per assimilare i concetti salienti, riempire il nostro sacco vuoto di milioni di video e documentari su youtube relativi al conflitto in Siria.

Ma esistono cose che non possiamo toccare con mano, e neanche immaginare. Non bastano parole ed immagini. Non basta più nulla. Sono il dolore, il male, l’atrocità della crudele macchina da guerra, che maciulla popoli interi di anime innocenti.

E noi, che giochiamo a fare i giornalisti, portatori di una verità che nessuno vuole più vedere.

Perchè lo facciamo? Cosa spinge le nostre diaboliche penne a narrare l’atroce verità che annega nell’indifferenza comune? Cosa speriamo di ottenere? Cosa brama nelle nostre astute coscienze, quale malvagio spettro ci spinge a raccontare una storia, che nasce in un cielo colorato di cemento e fuliggine, che ancora non sfiora le nostre teste immacolate?

Noi, vergognosi abitanti di un continente, di uno Stato, che ha preferito abbracciare l’ipocrisia di un freddo muro all’accoglienza e all’amore. Cosa speriamo di ottenere?

Glaciali e freddi like, forse, pollicioni alzati, che permettano al nostro ego di ingigantirsi, nutrendosi di sterili e virtuali riconoscimenti, tossici come steroidi.

La verità è che non lo so più. Non so più chi siamo.

So solo che il fetore di carne umana arriverà ad accompagnare anche i nostri passi incerti, affiancando il nostro cammino, scandendo attimi di intensi silenzi assordanti.

Non c’è niente da capire in un mondo che si ricopre di un manto di fuliggine.

Io me ne fotto dei like, in questa volta celeste che odora di morte e soffoca nell’ipocrisia umana.

Me ne fotto delle gratificazioni e dei riconoscimenti virtuali.

Scrivo queste povere frasi perchè nulla sembra più essere sufficiente per levarmi di dosso questa vergogna tossica. E’ il solo modo che conosco per esprimere la mia profonda rabbia, e sì, ne sento terribilmente il bisogno.

Mi sento arrabbiata, indignata, soffocata da questa orrenda carneficina che ignoriamo, gingillandoci nelle nostre ipocrisie. Non esiste tregua al mio tormento.

Un tonfo sordo. Un’immagine sfocata si allarga dinnanzi a me, ma non riesco ad identificarne bene i confini. Qualcosa è caduto nella profondità del pozzo. Aguzzo la vista, ma una macchia informe impedisce alla mie lividi iridi di mettere a fuoco l’oggetto.

Ma certo, è una cosa che conosco benissimo, che mi trascino dietro da tutta la vita: il cuore.

Se siete giunti fin qui vuol dire che avete sopportato il mio infinito monologo.

Bene, ogni paragrafo, ogni punto a capo,  ogni frase, parola, sillaba, lettera, che avete letto in questo non articolo, appartiene al mio cuore.

E il mio cuore ora è in Siria.

Like. Pollicione alzato.

 

Elisa Bellino

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