Gli antefatti
Se dovessimo indovinare dove si trova il Belucistan sulla cartina geografica, probabilmente molti di noi non saprebbero dove puntare il dito. Gli scontri che si stanno consumando in quella zona, tuttavia, proseguono da 75 anni, nella parziale indifferenza del mondo occidentale.
Il punto d’avvio della guerra in Belucistan viene fatto risalire al 1947, quando il Pakistan ottiene l’indipendenza. Il paese, prima di quella data, era – come altri – controllato dalla Gran Bretagna: questa nello stesso anno aveva infatti annunciato l’abbandono dell’India. La ritirata inglese provocò l’insorgere di scontri interni al Paese, ma anche dissidi esterni. Per quanto riguarda il Pakistan, alla proclamazione dell’indipendenza, il 14 agosto 1947, si trovava diviso in due zone: occidentale e orientale (prevalentemente bengalese). Da questo attrito tra le due parti, si originò quella che si può definire una guerra civile che, più di vent’anni dopo, non trova soluzione. Nel 1971 il Pakistan orientale ottenne l’indipendenza e diventò l’attuale Bangladesh. Nello stesso periodo, il Pakistan consegnò alcune zone all’Iran.
Lo scoppio della guerra in Belucistan
Le vicende specificatamente baluche iniziarono nello stesso periodo in cui il Pakistan festeggiava l’indipendenza. Già dall’anno seguente, quella che ancora attualmente è una provincia pakistana, iniziò a manifestare una volontà di distaccamento dal Paese, forte dell’esempio bengalese. Questa volontà si fa più concreta durante la Guerra Fredda, quando l’organizzazione degli studenti e il National Army Party si uniscono, formando i primi governi autonomi. Entrambi i gruppi si dichiaravano di sinistra progressista, particolarmente in linea con l’Unione Sovietica. Da questa prima presa di posizione politica, anche l’Iran iniziò ad interessarsi della situazione nel Paese – anche qui erano e sono presenti gruppi baluchi (5% della popolazione totale). L’Iran temeva infatti due derive. Per primo, un possibile sostegno russo che si andava a sommare a quello afghano. Accanto a ciò, la preoccupazione che la possibile indipendenza baluca potesse spingere altre provincie a chiederla a loro volta.
Una guerra silenziosa ma costante
La guerra in Belucistan non va immaginata come un conflitto in campo aperto, ma è da intendersi più come una guerriglia. Si è composta e si compone infatti di attentati e di attacchi mirati ad obiettivi studiati. Nonostante la natura peculiare di questa guerra, è possibile identificare alcuni picchi nel conflitto. Ad esempio, il periodo tra il 1958 e 1959, tra il 1962/’63 e il 1969, tra il 1973 e il 1977. Quest’ultimo, in particolare tra il ’77 e l’80, si caratterizza per dure repressioni da parte del dittatore pakistano Zia-ul Aq.
Un’ultima ondata di sangue si colloca dal 2003/2004, segnando quella che si può definire come “degenerazione armata” del conflitto. Oltre all’aumento degli scontri, iniziò un periodo in cui la fazione pakistana (e i suoi sostenitori) intrapresero azioni di rapimento di indipendentisti. Queste persone venivano prelevate dalle proprie abitazioni, spesso con l’intera famiglia, sparendo nel nulla per settimane – se non per mesi. I cadaveri della maggior parte di loro venivano ritrovati tempo dopo, spesso con segni evidenti di torture.
Il “Belucistan Liberation Army” (BLA)
Tra i vari gruppi che partecipano alla lotta per l’indipendenza della provincia, quello più numeroso, e più conosciuto, è il l’Esercito di Liberazione del Belucistan. Il BLA nasce negli anni 2000, raccogliendo l’eredità dei movimenti indipendentisti degli anni ’70. Si tratta quindi di un gruppo armato separatista e laico, quindi lontano dall’universo dell’estremismo religioso. Si batte in primo luogo contro l’esercito pakistano, rivendicando contro il Paese lo sfruttamento della regione e l’ingiusta distribuzione di ricchezze che derivano dal territorio. La zona è infatti ricca di risorse minerarie ed energetiche.
Insieme al BLA, agisce anche l’Esercito della giustizia (Jeish-al-Adl), in particolare sul versante iraniano. Gli attacchi di questo gruppo avvengono contro i pasdaran e le guardie di frontiera iraniane.
Il BLA è attualmente riconosciuto come gruppo terroristico dal Pakistan (dal 2006) e dagli Stati Uniti (dal 2019), ma non dall’Unione Europea.
L’ultimo loro attentato risale al 26 aprile 2022. Una donna baluca si è fatta esplodere causando la morte di 4 persone, 3 delle quali cinesi. Si tratta del primo caso in cui è una donna ad “operare” per il BLA.
I numeri
Dall’inizio del conflitto, il 27 marzo 1948, sono passati 75 anni, in cui si sono consumati scontri che hanno causato un numero impressionante di vittime. In questo caso, però, si va incontro ad un problema largamente diffuso: la mancanza di dati ufficiali, o meglio, il rifiuto del governo di fornire dati ufficiali. Secondo le fonti del governo pakistano, infatti, le vittime in questi anni avrebbero superato le 2000. Dall’altra parte, invece, ONG e popolazione locale denunciano almeno 60000 morti. Per quanto riguarda invece coloro che sono fuggiti dalla provincia si arriva almeno a 140mila persone.
Uno scontro che interessa più Stati
Come in altri casi, guerra è spesso sinonimo di opportunità per quanto riguarda Paesi terzi, che vorrebbero sfruttare gli squilibri per affermare il proprio potere. I “terzi incomodi” nella storia della guerra in Belucistan sono stati (e sono) molti.
In primis l’Iran. Da una parte lo Scià non può accettare una spinta laica e indipendentista ai confini del Paese, ma al contempo si sta lavorando ad un corridoio commerciale tra i due. La Repubblica islamica è anche coinvolta in un “triangolo”, in cui il terzo posto è occupato dall’Arabia Saudita. L’Iran accusa l’Arabia Saudita di sostenere gli attacchi armati alle forze iraniane, al contempo accusa il Belucistan di dare rifugio ai militari sauditi.
L’Iran è anche coinvolto in un progetto commerciale controverso. Nel 2018 si stava ancora lavorando ad un gasdotto – idea già nell’aria almeno dal 2012 – per collegare due porti baluchi. L’uno si trova nello Stato iraniano, a Chah Bahar, l’altro in Pakistan, a Gwadar. Oltre ad essere una via per soddisfare le richieste energetiche dei due Paesi, questo progetto farebbe gli interessi di una terza potenza: la Cina. Questa, infatti, potrebbe aver accesso a forniture energetiche, aggirando il problema delle sanzioni inflitte a Teheran. Il porto di Gwadar è infatti legato alla potenza cinese, che ha quindi interesse nella realizzazione del gasdotto.
Anche l’India è sempre stata coinvolta nella questione beluca. Per quanto riguarda gli interessi economici, si appoggia al porto di Chah Bahar, ma lo Stato ha sempre sostenuto la causa indipendentista. Sono accertate, infatti, l’aiuto in termini di cure mediche a favore di combattenti beluchi.
Un ulteriore Stato interessato direttamente alla questione del Belucistan, dato che una piccola porzione della provincia occupa il suo territorio, è l’Afghanistan. Sono infatti certi i rifornimenti di armi dati al Belucistan.
È inoltre stato certificato il sostegno, almeno negli anni ’80, della CIA e di Mossad.
Fine della guerra in Belucistan: utopia o possibilità concreta?
Nonostante sia sempre difficile affermare (con più o meno certezza) quali siano i segnali che suggeriscono la fine del conflitto, in questo caso sembra un’impresa impossibile. È difficile perché gli interessi che animano la guerra sono molteplici. C’è la ragione territoriale, che porterebbe il Pakistan a vedersi – di nuovo – privato di una sua “parte”. Ci sono interessi economici, che muovono Stati come India e Cina. O semplicemente prese di posizione ideologiche, come l’opposizione iraniana, che porta ai baluchi la simpatia dell’Iraq (storico nemico dell’Iran).
L’unica certezza è che siamo davanti ad una guerra ormai incancrenita e ristagnante, che forse all’orizzonte non vede nessun punto di svolta. Gli interessi economici esterni, forse, hanno superato quelli indipendentisti interni. Senza un “vero” Stato baluca, anche il Pakistan può permettersi inoltre alcuni attacchi armati altrimenti illegittimi.
Per arrivare ad una risposta alla domanda “Ci sarà una fine a questa guerra?”, forse conviene chiedersi “A chi conviene la fine di questa guerra?”.