“La politica è l’intelligenza della guerra”
Carl Von Clausewitz
(Gian Enrico Rusconi, “Clausewitz, il prussiano“, Einaudi, Torino, 1999, pag. 16).
Nel suo scritto più famoso, il “Della Guerra” (“Vom Kriege”), Von Clausewitz scrive esplicitamente: “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” (ibid.).
Società, politica, guerra
La guerra è una della attività più connaturate all’essere umano. In sé persiste il confronto tra uomini e gruppi che si contendono beni, risorse, territori. Prima di arrivare alle armi, c’è la negoziazione. Se la negoziazione non raggiunge alcun risultato, si passa oltre.
La diplomazia è l’arte di negoziare, di trattare per scongiurare le sorti bellicose. Dove la diplomazia fallisce, nascono i fiori della violenza. La guerra, probabilmente, è nata poco dopo la società umana. O forse è nata nella sua stessa incubazione.
La storia umana è costellata da conflitti, piccoli o grandi, memorabili o dimenticati. La guerra è parte della politica, non esiste senza di essa. Sono elementi tra loro inscindibili. In base alla teoria della guerra, formulata da Von Clausewitz, la politica statale ha il primato sulla guerra (Gian Enrico Rusconi, “Clausewitz, il prussiano“, Einaudi, Torino, 1999, pag. 14). E’ la politica che decide, sempre, le sorti del Paese. E’ la politica che decide se la guerra può essere evitata oppure no.
Essenza della guerra
La politica sa benissimo qual è l’essenza della guerra: l’annientamento violento dei nemici in battaglia. “E’ vincitore chi ha ucciso più nemici. (…) La conduzione della guerra è dunque nei particolari l’esatta immagine di ciò che accade nel complesso: si vuole essere la maggiore massa di vivi. Dalla parte opposta sia dunque il maggior gruppo di morti” (Elias Canetti, “Massa e potere”, Adelphi, Milano, 1997, pag. 81).
Ogni confronto politico prende spunto dal senso psicologico della guerra. La politica è psicologicamente bellicosa. La sua comunicazione è sprezzante, aggressiva, usa termini calcolati per evitare o inasprire i confronti.
La politica usa i toni dell’inevitabile, come se ciò che presenta ai cittadini fosse stato causato o gestito da un entità astratta, ma comunque non riconducibile a sé. Gli amministratori pubblici sono prima degli ottimi comunicatori, poi degli scaltri fuggitivi.
Il confronto politico è tipicamente bellicoso
La politica pone sempre di fronte due o più gruppi, parlamentari o extra parlamentari. Se nel confronto antico, chi vinceva la guerra conquistava e governava, mettendo il proprio piede sulla montagna di morti (i nemici sconfitti), nella modernità questo non è più possibile. La guerra è relegata al solo regolamento dei conti esterni al Paese.
Per quanto riguarda la gestione interna, la politica usa la simulazione della guerra, vale a dire che non ci saranno combattimenti cruenti, ma solo sconfitti morali.
Il rinunciare alla guerra vera e propria, nel confronto politico interno, non esclude l’ingiuria, la delazione, l’omicidio, la deportazione, l’incarcerazione degli oppositori politici troppo insistenti.
“Il sistema bi-partitico del parlamento moderno si avvale della struttura psicologica di eserciti in battaglia. Questi ultimi nella guerra civile sono davvero presenti, seppure con riluttanza. (…) un senso della stirpe agisce sempre contro le guerre civili” (Elias Canetti, “Massa e potere”, Adelphi, Milano, 1997, pag. 224).
Partiti politici schierati come eserciti
Per semplicità, utilizzeremo il modello dei bi-partitismo, consapevoli tuttavia che il moderno sistema politico prevede e tutela la pluralità della rappresentazione in Parlamento.
I partiti si fronteggiano in Parlamento come battaglioni schierati, hanno un capo e le armi: i voti. La forza di un gruppo (battaglione) è riconducibile al suo numero, agli uomini che voteranno a favore o contro. Lo scontro sarà sui voti, si evitano in tal modo i morti veri.
Quella è la facciata del sistema parlamentare, è noto a tutti che ogni gruppo partitico dispone di persone (soldati per il tempo di guerra) che si muovono nell’ombra con vari mezzi, per ottenere risultati di negoziazione.
Inviolabilità dei parlamentari
Il punto fondamentale del sistema partitico è l’inviolabilità dei deputati, ossia la salvezza dei membri dei partiti. “L’avversario, battuto nella votazione, non si rassegna affatto, (…) egli si limita piuttosto a dichiararsi sconfitto. Non gli è difficile dichiararsi sconfitto giacché non gli accade nulla di male. In nessun modo è punito per il suo precedente atteggiamento ostile. Se davvero temesse un pericolo di vita, reagirebbe ben diversamente.
(…) L’eguaglianza dei deputati – ciò che li rende massa – consiste nella loro inviolabilità. Da questo punto di vista non c’è alcuna differenza fra i partiti. Il sistema parlamentare può funzionare fin tanto che sia garantita tale inviolabilità.
Esso si sbriciola non appena vi compare qualcuno che si permette di contare sulla morte di un membro del corpo parlamentare. (…) Un Parlamento è sono un Parlamento fin tanto che esclude i morti” (Elias Canetti, “Massa e potere”, Adelphi, Milano, 1997, pag. 225).
La guerra delle elezioni
Lo stesso principio si trova nell’elezione dei rappresentati politici attraverso le votazioni, cui sono chiamati i cittadini. Vince il più forte, colui che ottiene più voti dai cittadini. Alcuni candidati possono contare a centinaia o migliaia i voti a loro favore, significa che a sostenerli si è formato un gruppo simile a un reggimento, a un piccolo esercito.
Le elezioni locali o nazionali sono simili a una battaglia, a una guerra: si fronteggiano partiti rivali i quali chiamano a raccolta i propri sostenitori, come fossero dei combattenti. Gli elettori sono vezzeggiati, lusingati, ingolositi dalle promesse dei rappresentanti politici: il loro voto in cabina è inviolabile e decisivo. La scheda elettorale è, almeno formalmente, un’arma potente.
Armi del confronto elettorale
In campagna elettorale, gli aspiranti deputati e senatori si fronteggiano con le armi dell’insulto, del sarcasmo, del dileggio, delle urla, scegliendo di non usare armi vere. I colpi violenti sono trasferiti alle schede elettorali, che assegnano la vittoria a un gruppo piuttosto che a un altro. Chi esce sconfitto dalle consultazioni elettorali non muore sul serio, forse muore politicamente, forse muore mediaticamente ma assolutamente non fisicamente.
E’ seppure vero che le armi politiche possono fare molto male, a chi punta la propria carriera professionale nell’ottenere una “poltrona politica”.
Terminate le consultazioni elettorali, si sciolgono gli eserciti dei cittadini che sostengono i vari gruppi politici. I cittadini perdono la loro inviolabilità, i deputati la acquistano o la rinnovano.
La guerra vera
I parlamentari possono decidere di dichiarare una guerra vera, che chiamerà i cittadini a combatterla veramente: è un chiarissimo esempio di “non inviolabilità” dei normali cittadini.
Anche nella guerra reale i parlamentari sarebbero al sicuro, delegando le decisioni sul campo di battaglia agli ufficiali dell’esercito.
Luca Comandini