Le diseguaglianze sociali nel disegno strategico dei conflitti ne rappresentano un fattore onnipresente: sono una tra le cause del suo inizio, partecipano a comporne il dramma e sono amplificate al suo termine. Guerra è ingiustizia di classe ed entrambe sono ferocemente letali.
Tutto, nel caos delle opposizioni armate, sembra perdere rilievo, si assottigliano anime, giorni, motivazioni. Le disparità invece percorrono una trasformazione opposta: sempre, nel sopruso, si ampliano.
Perché guerra è ingiustizia di classe?
Ne ha parlato il giornalista Alessandro Sahebi: è ora utile sfruttare l’occasione del suo puntuale avviso per trattare di un tema, purtroppo, estremamente vicino.
Gli ultimi sono sempre stati i più esposti ai rischi di guerra; sia perché, si ritrovano spesso in prima linea, sia perché ne subiscono le peggiori conseguenze.
“La domanda sarà quindi pari a questo; se siate giusti in una comunità la cui parte più ricca costringa i poveri a lottare per loro e per la loro proprietà” si dice abbia scritto Benjamin Franklin.
Centrale e determinante in contesti bellicosi attivi è il parametro della distribuzione della ricchezza. Infatti il contrasto sociale, il risentimento, l’effetto guerra scaturiscono da una sua presenza ridotta o inesistente.
La disparità è un bacino di infinite difficoltà, “le diseguaglianze sono la madre di tutti i problemi.” (Joseph Stigliz).
Un conflitto, come l’attuale Russo-Ucraino, è un gioco sulla pelle dei fragili
Per le situazioni già precarie, ambo i fronti di combattimento, la sconfitta è già percepibile. Gli oligarchi, gli abbienti, i benestanti perderanno molto di proprio da questa situazione, ma coloro che versano in situazioni economiche pessime, al termine del gioco condotto dai poteri forti avranno perso tutto. Parallelamente coloro che non possedevano nulla, si vedono brutalmente negata la possibilità di continuare a vivere.
Economia di guerra è violazione di diritti umani, sempre.
Quando vige il passo pesante del combattimento, la produzione si focalizza sulla produzione di armi mentre altri settori di vitale importanza per il paese tendono ad assopirsi, se non spegnersi. Tutte le spese militari inoltre consumano capitale umano, perché generalmente parlando, arruolarsi giovani significa rinunciare ad un’istruzione completa. Quando questo abbandono viene imposto ad un numero elevato di ragazzi inesperti, viene fermato l’unico motore di sviluppo realmente funzionale: l’istruzione.
L’educazione è l’alimento indispensabile per ottenere nel futuro innovazione, e solo attraverso quest’ultima si può coltivare ed arricchire la crescita.
Guerra è ingiustizia di classe perché è stata e sarà in eterno sinonimo di rallentamento, recessione, stagnazione
È un meccanismo sistemico, non una novità.
Nell’agosto del 1990 truppe irachene occuparono il territorio del Kuwait dando inizio alla prima guerra del Golfo. L’azione armata si concluse nel marzo 1991 con 100.000 perdite Irachene. Tra il 90 ed il 91 il PIL dell’Iraq scese precipitosamente dal valore di circa 180 miliardi a meno di 498 milioni, crollò, nello stesso periodo, anche la percentuale di iscritti alla scuola primaria e con essa chiaramente, il livello d’istruzione. Il 23% dei suoi abitanti sono ad oggi estremamente esposti alla povertà.
Il conflitto Israelo-Palestinese dagli anni 90 miete vittime ancora oggi, nel territorio le diseguaglianze nei redditi sono in continuo aumento, si stima che 1 cittadino su 5 viva sotto la soglia di povertà. Il 38.8 % della popolazione di Gaza vive in condizioni di totale miseria.
Tra gli anni 90 ed il 2000 la questione Cecena non fu l’unica ad interessare le ambizioni Russe; l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud ( due regioni settentrionali della Georgia) furono terreno di complicate dispute. Nel 2008 l’Ossezia del Sud proclamò la propria indipendenza forte dell’appoggio Russo. Le truppe russe rimasero sul territorio fino al 2010. Delle conseguenze del brusco intervento ne risentì la stessa popolazione russa: il PIL diminuì ed aumentò la povertà nel paese.
I dati provenienti dell’agenzia statistica ufficiale Rosstat indicano la tragicità: il 62% dei russi oggi, ha un reddito sufficiente solo per pagare cibo e vestiti.
In Siria la percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà è dell’83% ( stando a dati del 2020), in Afghanistan è pari al 55%, l’Eritrea è al 50%. La lista è lunga tanto quanto i conflitti che si sono succeduti per lunghi periodi ed hanno devastato questi territori.
Necessitiamo di questi dati per poter comparare ed analizzare con sicurezza numerica ma ragionare nell’oggettività non è neutralità. Le percentuali gridano l’inquietudine insita nel peggior crimine esistente.
Guerra e miseria consumano con eguale efferatezza anime di innocenti. Ma non sono variabili inamovibili. Comprenderne la correlazione con scelte politiche a loro precedenti è nodale perché non si viva costantemente nel timore di un regresso storico.
Non ricercate onore, umanità o criterio in guerra, non ne troverete
Interrogate ed indagate fatti, stime, immagini, anche se mostruosamente dolorose, perché la condanna possa essere concreta e definitiva.
La povertà materiale non è un fattore naturale, in natura tutto si evolve verso l’equilibrio, le diseguaglianze polarizzate derivano dalle azioni umane, e tramite queste ultime possono essere ridotte. “La povertà di spirito”, ricordando Montaigne, è invece, irreparabile.