Guerra del Tigray: una pace insperata?

Guerra del Tigray

La settimana prossima la guerra del Tigray compirà due anni, e per l’occasione saranno intavolate delle trattative di pace. E’ possibile una soluzione del conflitto?

Inizio della guerra del Tigray

Le ragioni ufficiali dietro all’inizio delle ostilità nel novembre del 2020 dalla parte del governo federale sono stati degli attacchi subiti dall’esercito all’interno della regione per mano del TPLF, il fronte popolare di liberazione del Tigray. Il conflitto affonda però le proprie radici in questioni più complesse e longeve.

TPLF

Il TPLF è un partito nato nel 1975 all’interno della regione del Tigray per portare aventi istanze regionali rispetto al governo centrale dell’impero di Selassie.

Durante gli anni in cui al comando c’era la giunta militare del Derg, il partito, nato con una chiara matrice ideologica marxista-le, si è spostato verso un moderato liberalismo, ma soprattutto ha sviluppato il suo carattere etnonazionalista.

Dopo la caduta della giunta, il TPLF ha assunto un ruolo centrale all’interno della politica nazionale. E’ stato sempre il primo partito e ha visto molti suoi esponenti nei ruoli di potere. Uno di questi era Meles Zenawi, prima presidente d’Etiopia da 1991 al 1995, e poi primo ministro, dal ’95 fino alla sua morte nel 2012.

Il federalismo etnico

Proprio sotto il suo governo in Etiopia è stato introdotto un sistema di federalismo etnico. Questo prevede che gli stati federali godano di una certa autonomia e che la guida degli stessi sia affidata su base etnica. Il sistema è ideato per accomodare le richieste delle minoranze etniche e soprattutto diminuire la tensione tra le stesse.

Tentare di superare questo sistema, e la grande influenza del TPLF all’interno del paese, è uno degli obiettivi di Abiy Ahmed, l’odierno primo ministro etiope.

ABIY AHMED: da premio NOBEL a criminale di guerra

Abiy Ahmed Ali sale al potere nel 2018, dopo le prime elezioni seguito delle prolungate proteste di piazza della minoranza Oromo, che rappresenta il più grande gruppo etnico del paese, il 34% della popolazione.

Da primo ministro si è reso protagonista di un’improbabile accordo di pace con l’Eritrea. Il conflitto tra i due paesi perdurava da ormai 20 anni. Proprio questo risultato lo orterà agli onori della cronaca, vincendo il premio Nobel per la pace nel 2019.

Ho detto spesso che venti di speranza soffiano sempre più forte in tutta l’Africa.

Il primo ministro Abiy Ahmed è uno dei motivi principali.

Così parlava il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in risposta alla premiazione del primo ministro etiope.

I venti di speranza si sono però velocemente trasformati in venti di guerra. L’1 Dicembre 2019 Abiy Ahmed ha fondato il partito della prosperità, nel quale sono confluite tutte le principali formazioni politiche del paese. L’obiettivo è togliere potere alle minoranze etniche e regionali ed accentrarlo ad Addis Abeba.

I leader del TPLF hanno deciso di non entrare nel partito neonato e si sono stabiliti nuovamente nella regione, nella quale il loro controllo è praticamente totale. I rapporti si sono poi fatti sempre più tesi ed il conflitto è passato dalla sfera politica a quella militare, con l’ingresso in guerra delle forze eritree e di droni bombardieri importati da Emirati Arabi Uniti, Turchia ed Iran, utilizzati dall’esercito federale.

A Marzo di quest’anno si era anche arrivati ad un cessate il fuoco, che però è durato solo cinque mesi, concludendosi ad Agosto con la ripresa degli scontri.

La più grande crisi umanitaria del mondo

La situazione nel paese è drammatica, non solo a causa del conflitto, e ha portato oltre 3.5 milioni di persone sfollate. C’è stato poi un aumento vertiginoso dei casi di malaria nella regione del Tigray, 80% in più rispetto allo scorso anno. La popolazione locale non ha accesso a beni di prima necessità e a cure sanitarie. Tra le regioni del Tigray, Afar e Amhara, sono nove milioni le persone in bisogno di cibo. Nonostante ciò gli aiuti umanitari faticano ad arrivare, a causa del blocco imposto da Addis Abeba, che utilizza così la sofferenza delle persone come punto focale della propria strategia bellica.

Lo stesso direttore dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, etiope, originario del Tigray, ha affermato come nel mondo non ci sia una crisi sanitaria e umanitaria di portata equiparabile. Pur ponendo dinanzi all’opinione pubblica la questione di un possibile conflitto d’interesse, il direttore ha ricordato come non ci sia alcun’altra parte del mondo in cui sei milioni di persone siano sotto assedio da due anni.

Sul campo di battaglia l’esercito federale è riuscito a far ritirare quello tigrino, riuscendo anche a conquistare una parte della regione. L’obiettivo è quello di guadagnare più terreno possibile e, in questo modo, togliere al TPLF potere contrattuale da usare in sede di contrattazione per la pace.

I tavoli di pace della guerra del Tigray

Le due parti hanno accettato finalmente di incontrarsi per intavolare un discorso di pace, da tenersi in Sudafrica. Ad organizzare l’incontro è stata l’Unione Africana. Un ruolo lo hanno avuto anche la comunità internazionale, che nelle ultime settimane ha spinto verso la conclusione di un conflitto in cui entrambe le parti sono state accusate di crimini di guerra, e soprattutto gli Stati Uniti, che hanno portato i rappresentanti del TPLF in Sudafrica con un volo militare statunitense. Da parte tigrina non c’è infatti molta fiducia riposta nei confronti dell’Unione Africana a causa dell’Alto rappresentante per il corno d’Africa, Obasanjo, accusato di favorire il premier Abiy.

I tavoli di pace dovrebbero durare cinque giorni e rappresentano il più importante tentativo di mettere fine al conflitto dal suo inizio. Ciò nonostante, l’idea che questa possa essere la soluzione della guerra del Tigray, è vista come altamente improbabile.

Mohamed Charjane

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