Nei giorni della Milano Fashion Week, che oltre ad animare social network e riviste riempe le tasche di milanesi, è bene ricordare l’impatto ambientale dell’industria tessile. Dalla moda low cost fino ai grandi nomi del lusso italiano come Gucci, D&G o Versace, tutti contribuiscono alla distruzione del pianeta.
Gli ultimi decenni hanno dato vita a quel disastro ambientale che prende il nome di “fast fashion” : compriamo capi a prezzi bassi, possibili grazie allo sfruttamento di persone e risorse naturali, piuttosto frequentemente. Proprio questo tipo di atteggiamento ha causato, secondo Greenpeace, la duplicazione della produzione di abiti in soli 10 anni. L’overdose dell’abbigliamento genera una serie di effetti catastrofici per il pianeta: montagne di rifiuti tessili, enormi aree verdi impiegate per monoculture di cotone ed infine l’inquinamento dell’aria dato dall’intensa attività industriale.
Secondo i dati Istat l’industria tessile in Italia nel 2016 è stata responsabile dell’emissione di circa 3 milioni di tonnellate di CO2, rimanendo così seconda solo all’industria alimentare.
La situazione sembra però essersi mossa a partire dal recentissimo Fashion Pact firmato da 32 colossi internazionali della moda in occasione de G7 francese. L’accordo, proposto da Macron, impegna i firmatari al raggiungimento di diversi obiettivi tra cui quello di annullare le emissioni di gas serra entro il 2050. Il celebre brand di lusso italiano Gucci ci è in realtà già molto vicino.
http://https://www.youtube.com/watch?v=rTiziX53Czc
“Gucci è stata una delle prime aziende del lusso ad adottare la certificazione EP&L, che sta per Environmental profit and loss: un vero e proprio bilancio che misura profitti e perdite di uno stakeholder molto speciale, l’ambiente” ha detto Marco Bizzarri, CEO dell’azienda.
Dopo aver ridotto le sue emissioni di CO2 di oltre 46mila tonnellate, Gucci punta ora ad utilizzare solo energie rinnovabili entro il 2020. Si tratta di un traguardo molto vicino, considerando che il brand già oggi impiega solo per il 30% della produzione combustibili fossili. Gucci sarebbe la prima grande azienda di moda a diventare interamente ecofriendly, mostrando così a tutti che una moda “green” è possibile.
Secondo l’azienda il 90% delle proprie emissioni inquinanti deriverebbero dalla catena di distribuzione del prodotto e dalla filiera. Proprio per questo è indispensabile agire anche su ciò che potrebbe sembrare esterno a Gucci, ma che invece ne segna l’impatto ambientale.
Marco Bizzarri aveva infatti già annunciato la collaborazione con REDD+, lo strumento messo a disposizione dalle Nazioni Unite per i progetti occupati nella protezione di aree forestali. Attraverso questo tipo di attività l’azienda cerca di riparare al quantitativo di CO2 emesso nell’atmosfera che non è ancora riuscita ad eliminare. Gucci ha scelto di investire sulla riforestazione di Perù, Cambogia, Indonesia e Kenya, mostrando prima della sua concorrenza una forte sensibilità ambientale.
A coloro che hanno espresso scetticismo verso la scelta di investire nella protezione di ecosistemi per ridimensionare il proprio impatto ambientale, Bizzarri risponde che bisogna fare tutto ciò che è possibile.
“Il modo migliore per ridurre a zero le nostre emissioni sarebbe chiudere l’azienda, ma 18mila persone resterebbero senza lavoro. Dobbiamo sempre tenere a mente questo.” ha dichiarato il CEO di Gucci al The Guardian.
La sostenibilità a cui punta il brand sta caratterizzando anche la sua presenza alla Milano Fashion Week. I vertici di Gucci hanno infatti già annunciato il riutilizzo dei capi da passerella nei negozi. Inoltre attraverso gli investimenti esterni si cercherà di compensare l’impatto ambientale anche dei propri ospiti.
D’altra parte l’ecosostenibilità dovrebbe essere una vera e propria parola d’ordine nella settimana della moda italiana. Quest’edizione si chiuderà infatti con i green carpet fashion awards alla Scala di Milano che premieranno i brand più rispettosi dell’ambiente.