Guantánamo oggi: la tortura non è mai finita

Guantánamo oggi

Per la prima volta dall’apertura del carcere di Guantánamo, nel 2002, una funzionaria dell’ONU ha avuto un permesso di quattro giorni per visitare la prigione. Rendendosi conto che non tutto è cambiato

La prima funzionaria ONU a visitare il carcere di Guantánamo, oltre 20 anni dopo la sua apertura, è la Relatrice speciale per la promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo Fionnuala D. Ní Aoláin.
Insegnante di diritto e investigatrice per i diritti umani, ha raggiunto Cuba lo scorso febbraio per una visita di quattro giorni nella prigione.
Le sue osservazioni sono state raccolte in un report delle Nazioni Unite.

Il campo di prigionia di massima sicurezza di Guantánamo Bay fu aperto da Bush, nel 2002, per detenere i prigionieri connessi alla cosiddetta “War on Terror”.
Oggi, è ricordato come un “buco nero” di tremende torture e violenze perpetrate verso centinaia di prigionieri, spesso solamente sospetti o persino innocenti.
Ad oggi, il carcere ospita ancora 30 detenuti, 16 dei quali in attesa di rilascio.
Le condizioni di vita, come osserva Ní Aoláin, sono chiaramente migliorate.
Ma, citando il giornalista statunitense Seymour Hersh, quelle di Guantánamo sono “catene permanenti“.

Ancora 30 detenuti a Guantánamo: spaventati e vulnerabili

La Relatrice Ní Aoláin ha potuto incontrare i 30 detenuti ancora nel centro, valutando le loro condizioni di vita.

La popolazione di detenuti che rimane deve essere trattata con umanità e rispetto per la propria dignità. Anche ai detenuti di Guantánamo Bay si applica il diritto umanitario internazionale

Oggi, ogni area del campo di detenzione è provvista di alloggio, servizi igienici, ristorazione, strutture e attività ricreative e preghiera comunitaria, secondo gli standard richiesti dal diritto internazionale.
Tuttavia, la Relatrice riporta alcune evidenti carenze strutturali, le quali rendono i detenuti vulnerabili alle violazioni dei diritti umani.

Ma ciò che, in particolare, ha preoccupato Ní Aoláin è l'”arbitrarietà, la confusione e l’incoerenza che regolano le procedure attuate nei campi“.
La mancanza di un’adeguata preparazione, e di un monitoraggio, delle guardie, porta alla propensione dell’arbitrarietà e, di conseguenza, all’abuso dei diritti umani.
Parte delle guardie che oggi lavorano nel campo, tra l’altro, sono agenti legati in diversi modi al passato di Guantánamo, e ciò alimenta lo stato di ansia, paura e disperazione dei detenuti. Aggravato dal fatto che nessuno di loro ha ricevuto alcun trattamento di riabilitazione fisica e psicologica.

Per molti di loro, la linea di separazione tra passato e presente è molto sottile. Per alcuni, inesistente. Il loro passato di tortura convive con loro nel presente, ed essi non riescono a vedere a fine a tutto questo



Guantánamo oggi: violazioni dei diritti umani

Come specifica la Relatrice, il governo degli USA è chiamato a rispettare i suoi obblighi di investigazione e di riparazione rispetto ai fatti di Guantánamo.

Il governo ha il costante obbligo di portare a termine indagini approfondite, indipendenti ed efficaci sulle presunte violazioni.
Sanzionare i responsabili, fornire un’adeguata riparazione e un’assistenza alle vittime e adottare garanzie efficaci di non ripetizione (quali misure legislative, amministrative, giudiziarie e di altro tipo) per prevenire e punire tali violazioni in futuro

Nonostante ciò, ancora oggi, i 30 carcerati di Guantánamo sono vittime di trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

Per il trasporto dei detenuti (durante incontri con gli avvocati, telefonate ai familiari, visite mediche o altri procedimenti), vengono utilizzati strumenti di restrizione, come manette o catene.
Questi, secondo l’ONU, dovrebbero essere utilizzati solo in circostanze eccezionali, in quanto producono stress psicologico rafforzando la sensazione di impotenza e sottomissione.
Anche misure disciplinari come confino in isolamento, o estrazione forzata dalle celle, continuano ad essere effettuate. Ciò infligge un’elevata sofferenza psicologica ai detenuti, in quanto richiama le torture subite in passato e riporta alla mente esperienze traumatiche.

Le guardie non identificano i detenuti con il loro nome, ma con un numero di serie. Una pratica che mina l’autostima e la dignità delle persone, specialmente in un contesto come quello di un campo di prigionia.
Inoltre, i detenuti sono sottoposti a una quasi costante supervisione visiva, giudicata eccessiva e umiliante. Soprattutto, nei confronti di quei detenuti che sono incarcerati senza essere mai stati incriminati.

Questi, infatti, sono anche vittime di gravi violazioni legali, e non gli è garantito l’accesso agli strumenti per un equo processo.
Questo, in gran parte dei casi, porta alla “privazione arbitraria della libertà“.

Guantánamo è un capitolo ancora aperto

Dopo i quattro giorni di osservazione, la Relatrice ONU Ní Aoláin ha riconosciuto che Guantánamo non è più il centro di tortura istituzionalizzata che era in passato. E ha anche apprezzato i progressi fatti in ambito materiale e i continui passi in avanti verso la chiusura del campo.

Tuttavia, ha constatato gravi condizioni fisiche e psicologiche dei detenuti, l’impreparazione delle guardie, e la presenza di trattamenti inumani e degradanti.
Ha concluso quindi che, ancora oggi, la detenzione nel campo di Guantánamo rappresenta una tortura.

La somma di tutti i fattori equivale, senza alcun dubbio, a un trattamento crudele, disumano e degradante, e può costituire la soglia di legge per la tortura

Il lavoro da fare è ancora molto.
Gli USA hanno il dovere di chiudere prima possibile il campo, con un corretto trasferimento o rilascio dei detenuti.
Inoltre, deve garantire loro trattamenti di riabilitazione e rispetto dei diritti umani, in linea con gli standard internazionali.
Ma il governo ha anche il dovere di indagare sui fatti avvenuti nel carcere, individuare i colpevoli e consegnarli alla giustizia. Garantendo, infine, che una situazione del genere non si verifichi più.

Finchè ciò non accadrà, quello di Guantánamo sarà ancora un capitolo aperto.

Il governo degli Stati Uniti ha l’obbligo continuo di assicurare la responsabilità, di riparare completamente alle ferite causate, e di offrire adeguate garanzie di non ripetizione per le violazioni commesse dopo l’11 settembre.
Il mondo non ha, e non vuole, dimenticare.
Senza responsabilità, non si può andare oltre a Guantánamo

Giulia Calvani

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