Un articolo di The Grayzone e una serie di documenti pubblicati da WikiLeaks a partire dal 2012 permette di far luce sull’origine politica di Juan Guaidó – l’autoproclamato presidente ad interim del Venezuela riconosciuto dagli Stati Uniti – e della sua cerchia.
Le oltre cinque milioni di mail pubblicate dal sito di Assange riguardano le comunicazioni e la rete di informatori intrecciata nel periodo tra il 2004 e il 2011 dalla Strategic Forecasting, una piattaforma statunitense di global intelligence. Questa compagnia, che formalmente pubblica analisi di geopolitica, in realtà fornisce informazioni confidenziali sia ad aziende private che a strutture governative quali il Dipartimento per la sicurezza nazionale USA, i Marines e l‘Agenzia d’intelligence della Difesa statunitense.
Il livello di conoscenza delle dinamiche geopolitiche internazionali della Stratfor è tale che è anche nota come l’agenzia ‘ombra’ della CIA.
Da OTPOR a CANVAS
In un articolo pubblicato sulla piattaforma viene raccontata l’origine di OTPOR, un’organizzazione creata nel 1998 da alcuni studenti serbi dell’Università di Belgrado in opposizione al presidente Milošević. Quello che inizialmente era un piccolo gruppo, presto divenne un movimento di protesta trasversale che abbracciava le istanze della maggior parte dei movimenti di opposizione serbi e che condusse nell’ottobre del 2000 alla caduta del governo. Raggiunto il suo scopo, OTPOR (che significa resistenza in serbo) non si dissolse ma, al contrario, allargò il suo raggio d’azione.
Nel 2003 nacque infatti il Center for Applied Non-Violent Action and Strategies (CANVAS), una declinazione istituzionalizzata del movimento di resistenza nato a Belgrado. I fondatori e principali attivisti di CANVAS erano gli stessi che avevano ideato OTPOR ed ebbero un ruolo di primo piano nelle rivoluzioni in Georgia, Ucraina e Kyrgyzstan tra il 2003 e il 2004, così come in Bielorussia, Zimbabwe, Iran, Libano, Azerbaijan e Tibet.
Tra i finanziatori del gruppo ci sono l’Albert Einstein Institute di Gene Sharp (ideatore della teoria delle rivoluzioni non violente su cui si basano le strategie di CANVAS), l’ONG Freedom House, il National Endowment for Democracy (strumento del governo USA) e, per via indiretta, l’Agenzia internazionale per lo sviluppo degli Stati Uniti (USAID) e il Dipartimento di Stato nordamericano.
Secondo Sinisa Sikman, uno dei principali attivisti di CANVAS, OTPOR ha anche ricevuto finanziamenti e formazione direttamente dalla CIA nel periodo delle proteste in Serbia.
L’obiettivo che persegue l’organizzazione in ognuna delle sue iniziative e i legami con il modo occidentale sono ben definiti, come risulta evidente da una delle mail pubblicate da WikiLeaks: “Sono ancora legati ai finanziamenti statunitensi e vanno in giro per il mondo a cercare di rovesciare dittatori o governi autoritari (quelli che non piacciono agli Stati Uniti)“.
Nel 2005 – si legge nell’analisi della Stratfor – CANVAS spostò la propria attenzione sul Venezuela. Cinque leader studenteschi del Paese latino-americano raggiunsero Belgrado e presero parte ad un corso di formazione per apprendere le strategie necessarie per organizzare e fomentare le proteste e provocare la caduta del governo Chávez.
Nei piani, le manifestazioni studentesche erano il primo passo di un processo lungo anni che avrebbe portato allo scoppio di una rivoluzione vera e propria.
Generazione 2007
Nel 2007 il gruppo di studenti venezuelani ebbe un ruolo significativo durante le proteste contro il governo in seguito alla decisione di quest’ultimo di non rinnovare le licenze a RCTV (Radio Televisión Caracas, privata) e durante la campagna referendaria per la modifica in senso socialista della Costituzione. Si creò in questo modo una fazione dell’opposizione venezuelana denominata Generazione 2007, di cui Guaidó era uno dei massimi esponenti.
Oltre all’attuale autoproclamato presidente ad interim, ne facevano parte Yon Goicoechea e Freddy Guevara, tra i più importanti sostenitori di Guaidó oggi e incensati dall’ambasciatore statunitense in Venezuela – in una mail inviata nel 2007 a Dipartimento di Stato e National Security Council – per il ruolo avuto nelle proteste. Un altro membro di rilievo della Generazione 2007 era David Smolansky, attualmente d’istanza a Washington e a capo del gruppo di lavoro della OEA (Organizzazione degli Stati Americani) sui migranti e rifugiati venezuelani, in ottimi rapporti con Elliott Abrams e tutta l’Amministrazione Trump.
Voluntad Popular
Arrivati nel 2009, il gruppo si tramutò in un soggetto politico vero e proprio. Voluntad Popular, il partito di estrema destra nato da quella evoluzione e che annovera Guaidó tra i suoi fondatori, divenne il più estremo oppositore del governo venezuelano. Leopoldo López, il suo leader, si impose come una delle figure più controverse della vita politica del Paese.
López, figlio di una ex dirigente dell’industria petrolifera, laureatosi all’Università di Princeton ed ex sindaco di un ricco distretto di Caracas è un esponente della società benestante venezuelana, diretto discendente del primo presidente della storia del Paese. Agli occhi degli statunitensi era “vendicativo ed affamato di potere” ma, allo stesso tempo, “una necessità“.
Suo cugino, Thor Halvorssen, proviene da una delle famiglie aristocratiche più influenti del Venezuela ed è il presidente della Human Rights Foundation. Suo padre – secondo un report della Associated Press del 1993 – era un collaboratore della CIA e costituiva il collegamento per far arrivare i soldi al leader della Contra in Nicaragua. Thor Halvorssen a partire dal 2004 si schierò apertamente contro il governo Chávez, arrivando ad assumere nella sua fondazione Aleksander Boyd, esponente dell’opposizione venezuelana a Londra che sosteneva pubblicamente la necessità dell’uso della violenza per eliminare la classe dirigente chavista.
Nel 2010 Halvorssen invitò all’Oslo Freedom Forum suo cugino Leopoldo, presentandolo come “leader dei diritti umani” per il suo ruolo tra le file dell’opposizione venezuelana. “Sappiamo che ce la faremo – disse López in quell’occasione – sappiamo che il cambiamento arriverà in Venezuela.”
Fiesta Mexicana
Secondo quanto rivelato dall’ex Ministro della Giustizia Rodríguez Torres, nel 2010 si tenne in un hotel in Messico un meeting – denominato Fiesta Mexicana – al fine di delineare un nuovo piano d’azione che prevedeva un susseguirsi di violente proteste nelle strade del Venezuela per portare alla caduta del governo. All’incontro parteciparono anche Goicoechea, Smolansky, Guevara e Guaidó.
Tre rappresentanti dell’industria petrolifera sponsorizzarono l’evento. Uno di loro, Pedro Burelli, è un ex manager di JP Morgan, è stato direttore di PDVSA (l’azienda petrolifera pubblica venezuelana) fino all’arrivo di Chávez nel 1998, attualmente è nel comitato consultivo del programma di leadership latino-americana alla Georgetown University ed è apertamente schierato contro Maduro.
Quell’incontro segnò probabilmente un punto di svolta nelle strategie dei ragazzi della Generazione 2007. L’idea di utilizzare la violenza per destabilizzare la società e favorire il caos prese infatti sempre più piede all’interno di Voluntad Popular, fino a sfociare nelle guarimbas del 2014 e del 2017. In quelle che furono vere e proprie guerriglie urbane, con gli esponenti dell’opposizione che assediarono strade e interi quartieri e che portarono a più di 200 morti e milioni di dollari di danni agli edifici pubblici, i leader di Voluntad Popular ebbero un ruolo centrale. Guaidó era a fianco di Leopoldo López mentre questi fomentava la folla armata incitandola a marciare verso il palazzo del Ministero della Giustizia e un video mostra lo stesso Guaidó in azione durante le guarimbas del 2014.
Tra i leader guarimberos processati o condannati ci furono lo stesso Leopoldo López (agli arresti domiciliari), Freddy Guevara, David Smolansky e altri componenti della Generazione 2007.
Ultima opzione
Nel corso degli anni l’opposizione Venezuelana ha ricevuto circa 50 milioni di dollari all’anno dagli Usa. Non sorprende quindi che la sera prima del 23 gennaio 2019, quando è sceso in piazza per autoproclamarsi presidente, Guaidó abbia ricevuto una telefonata di approvazione da parte del vicepresidente Usa Mike Pence. Sconosciuto ai più in patria, era un personaggio ben noto dalle parti della Casa Bianca.
Nei piani statunitensi il suo ruolo avrebbe dovuto essere molto più incisivo. Invece, mentre il governo Maduro rimane ancora nel pieno delle sue funzioni, in Venezuela le iniziative del presidente autoproclamato riscuotono sempre minor consenso. E dato che l’opzione Guaidó non sembra dare frutti è probabile che gli Stati Uniti stiano valutando – per riprendersi il Paese dopo vent’anni di chavismo – l’ultima opzione rimasta: l’intervento militare, costi quel che costi.
Alessandro Rettori