È la prima volta che le big tech sono sotto attacco. Dall’Australia agli Stati Uniti, gli Stati provano a metterne in discussione lo strapotere. Le big tech ormai non svolgono solo un ruolo economico determinante. Hanno creato dei luoghi virtuali dove miliardi di persone ogni giorno discutono di politica, attualità, diritti civili, diffondono o abboccano alle fake news o si scambiano opinioni sempre più polarizzate.
Le big tech hanno una tale influenza che sono capaci nel peggiore dei casi di sostituirsi allo Stato. Facebook e Twitter hanno censurato l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dopo l’assalto fallito a Capitol Hill.
Nel libro il Capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zuboff, racconta:
Il capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti e che, come il capitalismo industriale, (i capitalisti digitali) vogliono una libertà senza limiti.
Guai per le big tech, cosa sta succedendo?
Negli ultimi mesi le big tech hanno dovuto fare i conti con gli Stati. Il garante della concorrenza cinese ha multato il gigante dell’e-commerce Alibaba per pratiche commerciali sleali. Una sanzione record pari a 2,8 miliardi di dollari comminata ad aprile scorso, dopo i numerosi avvertimenti delle autorità cinesi.
L’Unione europea invece ha deciso di intervenire per regolamentare e, dunque limitare, l’uso delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha preso di mira Amazon, Facebook, e Google perché nei suoi piani ci sono ingenti investimenti pubblici per rilanciare l’economia americana. Biden punta a rinnovare soprattutto le infrastrutture. Per farlo intende tassare le multinazionali.
Le big tech sono sotto attacco anche in Russia, perché veicolano le idee del movimento di opposizione al Cremlino. Per questo il governo le ha bollate come un nemico del governo. Ancora, negli USA e nell’Ue, il dibattito sulle multinazionali riguarda anche la disinformazione e il pericolo che esse rappresentano per la privacy.
In Australia, il Parlamento ha approvato una legge che obbliga Facebook a pagare i contenuti editoriali, in Myanmar, dopo il colpo di Stato della giunta militare che ha destituito nel sangue il Capo del governo Aung San Suu Kyi, oltre che in Cambogia, le big tech hanno subìto pesanti limitazioni che impediscono alla popolazione di accedere liberamente a Internet.
Gli interventi degli Stati non sono sempre positivi. La grande influenza che le big tech hanno costruito in questi anni ha almeno due risvolti. Da un lato c’è la libertà d’espressione messa in pericolo dai regimi e da autarchici, dall’altro, invece, ci sono dubbi etici e morali sullo strapotere economico di cui godono che gli consente di pagare o eludere le tasse nonostante i miliardi di dollari incassati ogni anno.
Guai per le big tech, il Covid-19 gallina dalle uova d’oro
La pandemia di Covid-19 è stata un’occasione di profitto per tutte le big tech. In questi mesi mentre i segnali dell’economia statunitense erano ancora molto deboli, a Wall Street Apple, Microsoft, Facebook, Google hanno invece macinato capitalizzazioni.
Nei primi tre mesi del 2021, Amazon ha registrato profitti record. Con 108 miliardi di dollari di guadagni, è la società che si è arricchita di più grazie al coronavirus tra restrizioni e chiusure. Amazon ha confermato così la sua posizione di leader dell’e-commerce e dei servizi cloud, aumentando il proprio fatturato del 44 per cento.
Il 2020, l’anno in cui è scoppiata la pandemia e che ha costretto centinaia di paesi a lockdown durissimi, è stato il miglior periodo per la società fondata da Jeff Bezos: il valore del titolo è schizzato a +76 per cento in pochissimi tempo.
Ottimo risultato anche per Facebook, Apple e Google. Per loro, infatti, il 2020 si è rivelato l’anno della gallina dalle uova d’oro. Tra ottobre e dicembre dell’anno scorso, Apple ha superato la soglia dei cento miliardi di dollari di ricavi e raggiunto i 30 miliardi di dollari di profitti.
Mentre la pandemia metteva a dura prova il settore della pubblicità, con effetti negativi anche per il mondo dell’informazione, Facebook è riuscita a guadagnare miliardi di dollari dalla pubblicità digitale, grazie al boom dell’e-commerce. Alla fine del 2020, Facebook ha visto salire i propri profitti del 52 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Il Covid-19 ha poi fatto guadagnare al social media utenti mensili che hanno raggiunto quota 2,8 miliardi.
Per Alibaba stessa sorte, l’emergenza sanitaria globale è stata un fattore determinante di guadagno. Il colosso dell’e-commerce, fondato da Jack Ma inviso al governo di Pechino, ha guadagnato negli ultimi tre mesi del 2020, 33,8 miliardi di dollari. Come Amazon, anche Alibaba offre servizi cloud con cui lo scorso anno ha ottenuto tre milioni di dollari di ricavi.
Guai per le big tech, il dibattito globale
La crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus ha rafforzato il dibattito sulle big tech e l’idea se l’opinione pubblica si senta sempre a proprio agio dinanzi al potere che sono riuscite a conquistare Apple, Facebook, Google, Microsoft, Alibaba, Amazon e le altre.
In un periodo in cui aumentano le disuguaglianze, e c’è il bisogno di far tornare a girare l’economia dei paesi, l’idea che poche società abbiano profitti pari a una terza economia mondiale in termini di prodotto interno lordo può essere la molla migliore per voltare pagina.
Gli Stati Uniti porteranno sul tavolo dell’economie avanzate la proposta di una tassazione al 15 per cento affinché le big tech paghino le tasse ovunque nel mondo. E lo faranno al prossimo G20 di Venezia.
Il dibattito è globale. E non riguarda soltanto gli enormi guadagni delle big tech. Negli Stati Uniti molti addetti ai lavori credono che Internet sia destinato a cambiare. Nato come uno spazio virtuale globale, senza regole di diritto applicabili, in America si sta facendo largo l’idea che sia arrivato il momento di pensare a norme ad hoc che garantiscano la libertà di espressione ed evitino abusi e violazioni dei diritti individuali.
Le tensioni con gli Stati
All’orizzonte si profila un processo di spacchettamento del mondo digitale, più facilmente controllabile dagli Stati. Ed è forse questo uno dei punti che fa più tremare le big tech che continuano a stilare e aggiornare le proprie policy spesso con scarsissimi risultati.
Dicembre 2020 è stato il mese in cui ci sono state maggiori tensioni tra i governi dei paesi e le big tech. Negli Stati Uniti, la Commissione federale per il commercio ha accusato Facebook di agire in modo anticoncorrenziale. Una settimana dopo, l’Unione europea ha introdotto una nuova legge sulla concorrenza ed è intervenuta per tentare di arginare il fenomeno dell’hate speech. Il 24 dicembre dello scorso anno è iniziata l’inchiesta delle autorità cinesi contro Alibaba.
A rendere vulnerabili le big tech sono due fattori. Le regole sull’Antitrust e la moderazione dei contenuti. Anche perché il dominio di queste multinazionali è a 360 gradi. Esse controllano la pubblicità online, i motori di ricerca, l’e-commerce. E sono oggi indispensabili nella diffusione dei contenuti, anche offline.
Tutto fa pensare al preludio di una rivoluzione (e all’arrivo di “guai” per le big tech) ma soprattutto a un cambio di paradigma. Come ha dichiarato la vice presidente della Commissione europea, Margrethe Vestager:
Al crescere del potere delle piattaforme digitali, appare sempre più chiaro il bisogno di intervenire per tenere sotto controllo tale potere.
Chiara Colangelo