Di recente un report di Human Rights Watch ha nuovamente portato alla luce tutte le atrocità compiute finora dai gruppi armati islamisti in Burkina Faso. Gli ultimi attacchi vanno avanti da fine 2022 e si sono susseguiti finora.
Il report di Human Rights Watch
È ormai risaputo come in Burkina Faso gruppi armati islamisti stiano uccidendo civili, saccheggiando e bruciando edifici e costringendo migliaia di persone a scappare dagli scontri per rifugiarsi altrove. I gruppi terroristici presenti nel territorio infatti continuano da ormai più di 6 mesi a svolgere le proprie operazioni militari, con conseguenze umanitarie disastrose.
Un recente report di Human Rights Watch ha cercato nuovamente di evidenziare in modo chiaro l’attuale situazione, ripercorrendo cronologicamente tutti i principali attacchi di cui abbiamo traccia. In particolare, l’organizzazione è riuscita a intervistare
tra gennaio e maggio, ben 36 persone, di persona o per telefono.
Di questo gruppo di persone, 19 sono stati testimoni di abusi, 4 sono familiari di vittime, 6 sono membri di organizzazioni della società civile burkinabè e 7 invece sono rappresentanti di organizzazioni internazionali. Questi racconti riguardano in particolar modo le regioni “Centro-Ovest”, “Centro-Nord” e “Sahel”.
I racconti dei civili sui gruppi armati islamisti in Burkina Faso
Per esempio, un residente di 46 anni ha raccontato che i combattenti islamisti hanno ucciso 12 uomini nel dipartimento di Dassa il 26 gennaio, presumibilmente come rappresaglia per il reclutamento di miliziani nella zona.
[I combattenti islamisti] sono arrivati, hanno chiesto chi si fosse registrato per essere “Volontari per la difesa della patria”. Noi hanno risposto: “No, non abbiamo nessun candidato tra di noi”. Hanno detto di sapere che alcune persone si erano registrate come VDP. Dopo che la gente ha negato, hanno ucciso gli uomini e se ne sono andati.
Per contesto, i “Volontari per la difesa della patria” (“Volontaires pour la défense de la patrie” o VDP) sono un corpo paramilitare di civili arruolati dalle autorità governative per rinforzare i propri ranghi e affidarsi più facilmente a milizie locali per difendere le città e i villaggi. La campagna del governo per arruolare questi civili è iniziata a ottobre 2022, e hanno reclutato nel corso dei mesi 50 000 civili.
Una donna di 27 anni invece ha raccontato che il 4 gennaio, nel villaggio di “Zincko” (provincia di “Sanmatenga”), combattenti armati in sella a motociclette e con addosso cinture di munizioni hanno preso d’assalto la zona e hanno lanciato un ultimatum ai residenti affinché i residenti lasciassero l’area. “Ci hanno dato 48 ore per andarcene“, ha raccontato la donna. “Si erano fermati per dirci che dopodomani sarebbe arrivata un’ondata e che non volevano trovare nessuno in questa zona“.
I gruppi armati islamisti hanno anche assediato diverse città nelle regioni di “Sahel” e in dell’ “Est” del Burkina Faso, bloccando cibo, altri beni di prima necessità e aiuti umanitari alla popolazione civile e causando fame e malattie tra i residenti e gli sfollati. Le famiglie del dipartimento di “Djibo”, per esempio, hanno descritto di aver nutrito le loro famiglie affamate con foglie bollite per giorni per poter sopravvivere.
Non solo i gruppi militari islamisti, ma anche le forze armate del Burkina Faso e le milizie filogovernative hanno commesso gravi abusi durante le operazioni. È in corso infatti un’indagine separata sull’uccisione e la sparizione di decine di civili da febbraio, ad opera di presunte forze armate burkinabè e di autorità locali nella regione di Sahel.
Instabilità e terrorismo
È ormai da anni che i governi che si sono succeduti in Burkina Faso stanno combattendo contro questa insurrezione islamista che ha ucciso migliaia di persone e ne ha sfollate forzatamente quasi due milioni.
Nel 2014, un’insurrezione popolare aveva permesso la deposizione di Blaise Compaoré, che aveva detenuto il potere per quasi 30 anni e aveva reso il Burkina Faso uno stato autoritario. Poco dopo però l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Roch Marc Christian Kaboré e il suo insediamento a inizio 2016, a Ouagadougou avviene il primo attentato nella storia del Paese. Da quel giorno è iniziata la stagione del terrorismo, che nel corso degli anni fino ad oggi ha aumentato vertiginosamente l’insicurezza all’interno del territorio.
Nonostante sia stato rieletto per un secondo mandato nel 2020, l’aumento delle vittime civili e militari e la perdita del territorio hanno creato problemi anche a livello di consenso popolare nei confronti del presidente. Tale situazione ha causato due colpi di stato militari in Burkina Faso nel 2022: il primo si è svolto nel mese di gennaio, ed ha portato alla deposizione di Kaboré per far subentrare Paul-Henri Sandaogo Damiba come presidente ad interim; il secondo invece ha portato alla deposizione di Damiba per dar posto a Ibrahim Traoré. In entrambi i casi, la motivazione dietro questi colpi di Stato è la stessa, ovvero l’incapacità del presidente in carica di gestire la crescente insicurezza all’interno del Paese.
Nel frattempo i combattimenti si sono intensificati negli ultimi anni, tanto che ora il “Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin” (“Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani”, o JNIM, legato ad Al-Qaeda), e in misura minore lo “Stato Islamico nel Grande Sahara”, controllano circa 40% del territorio del Burkina Faso, come riferito dalla “Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale”.
Commenti internazionali
Sui gruppi islamisti in Burkina Faso, la vice direttrice di Human Rights Watch Carine Kaneza Nantulya ha dichiarato quanto segue:
I gruppi armati islamisti stanno creando scompiglio in Burkina Faso, attaccando villaggi e città e commettendo atrocità contro i civili. Le autorità transitorie dovrebbero collaborare con gli organismi regionali e i governi interessati per fornire una migliore protezione e una maggiore assistenza alle persone a rischio.
In una dichiarazione del 30 aprile invece, la “Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli” ha condannato “gli attacchi terroristici contro le Forze di difesa e di sicurezza e la popolazione civile“. Ha però sottolineando anche quanto segue, riferendosi a una responsabilità dello Stato burkinabè:
Uno Stato può essere ritenuto responsabile anche per le uccisioni da parte di attori non statali se approva, sostiene o acconsente a tali atti o se non esercita la dovuta diligenza per prevenire tali uccisioni o per garantire un’indagine adeguata.
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