Immaginate scenari ipogei vertiginosi, capaci di farvi sentire atterriti. Osservate l’incombere di macigni ciclopici in bilico millenario su scarpate che si perdono nel buio. Antri oscuri sopra di voi, la cui fine rimane un mistero. Concrezioni pallide come dita di morto, altre brune e rossastre come braci vive. E la presenza costante della voce dell’acqua, la cui intensità varia all’improvviso dal sussurro, quasi come una preghiera, al boato che sovrasta i pensieri. Questa è la Grotta di Bossea.
La visita a questo luogo, situato a Frabosa Soprana (CN), costituisce un’esperienza straordinaria. Non solo dal punto di vista naturalistico, bensì per le storie che nella Grotta di Bossea s’intrecciano. La continuità tra natura e cultura è sapientemente instaurata dal racconto delle guide per restituire un paesaggio altro dal volto umano allo sguardo del turista.
Nella Grotta di Bossea sono entrata per caso, accettando l’invito di alcuni amici cuneesi. Ad accogliermi, per bocca della guida Daniele Garnerone, ho trovato le parole di Leonardo da Vinci:
Tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran commistione delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, pervenni all’entrata d’una gran caverna. Dinanzi alla quale […] subito si destarono in me due cose: paura e desiderio. Paura per la minacciosa oscura spelonca, desiderio per vedere se là entro fussi alcuna miracolosa cosa.
Nella Grotta di Bossea la realtà dà ragione al desiderio di Leonardo: essa riserva davvero meraviglie. Ma qual è la storia di questa grotta e quali sono i suoi tesori?
Anzitutto, non bisogna lasciarsi ingannare dal nome. La Grotta di Bossea è in realtà un gruppo di grotte carsiche che si trova tra Prato Nevoso e il torrente Corsaglia. Lunghe oltre 2 chilometri e dotate di un dislivello di 700 metri, esse sono state le prime accessibili ai turisti in Italia, dal 1874.
I primi a esplorarle furono Domenico Mora e alcuni sconosciuti predecessori: essi giunsero fino al Lago di Ernestina, alla fine della parte inferiore della cavità. Successivamente, una spedizione guidata dal professor Don Bruno di Mondovì si spinse oltre la cascata, fino al canyon del torrente nella parte superiore. Molto amata per i macigni ciclopici, le concrezioni calcaree, le stalattiti, le stalagmiti e lo scorrere dell’acqua, nel 1948 la grotta fu rilanciata. Ciò avvenne grazie al primo impianto di illuminazione elettrica ipogeo in Italia, nonché a nuove spedizioni. In particolare, Tra il 1948 ed il 1949 si completò la conoscenza dei rami principali esplorando le gallerie fossili sopra il torrente Mora ed il Lago Loser. In seguito, fu portato alla luce un altro chilometro di nuove gallerie posizionate su diversi livelli. Intanto, speleo-sub specializzati si sono spinti per circa 250 metri del grandioso sifone terminale, raggiungendo i 54 metri di profondità.
Ma la maestosa immensità della grotta, che ancora oggi è viva e si trasforma per l’azione dell’acqua, non è ancora stata del tutto esplorata.
Non è solo l’acqua, tuttavia, a rendere viva la Grotta di Bossea.
All’interno della grotta, infatti, è presente una fauna di oltre 50 specie di estrema rarità. La ragione è che le grotte costituiscono delle isole per le barriere geografiche e geologiche che separano un massiccio calcareo dall’altro. Ogni caverna, perciò, è un microcosmo indipendente. Nella Grotta di Bossea vivono specie uniche al mondo: tra queste, il Diplopode Plectogona Bosseae, il Palpigrado Eukoenenia strinati ed il ragno Troglohyphantes Pedemontanum.
In queste grotte, inoltre, sono stati ritrovati resti fossili di Ursus Spelaeus, un plantigrado di mole imponente che le abitava tra gli 80.000 e i 12.000 anni fa. Nella “Sala dell’Orso” è visibile una ricostruzione scheletrica di questo mammifero, nonché una ricostruzione della sua permanenza nelle grotte. Un’altra delle storie che la Grotta di Bossea ha in serbo per noi.
A Daniele Garnerone, nostra guida durante la visita, abbiamo posto alcune domande sulla storia e sulle storie della Grotta di Bossea. Nonché su come si costruisca uno storytelling efficace di una meraviglia naturale come questa.
Daniele, da quanto tempo lavori come guida e com’è nata la passione per le grotte?
Devo precisare che il lavoro di guida si congiunge alla mia professione di architetto. Prime esperienze di guida risalgono agli anni novanta del secolo scorso, su itinerari di architettura e urbanistica milanese. Quelle esperienze sono state importanti e, seppur sporadiche, hanno costituito la base formativa all’approccio col visitatore. Diverso il ruolo alla grotta di Bossea, dove sono presente come consulente da poco meno di tre anni. La passione per le grotte: è corretto, si tratta davvero di passione, maturata a ritmo incalzante e non del tutto casuale. È quasi naturale conseguenza delle mie ricerche improntate allo studio dell’acqua per le sue forme di paesaggio e per le relazioni col territorio.
Qual è la tua storia con la Grotta di Bossea?
In realtà, è derivata dal caso. Da uno di quei momenti della vita dai quali, talvolta, prende avvio un percorso nuovo e inatteso. Entrai per la prima volta in grotta durante una fase d’imponente afflusso d’acqua, a seguito di copiose piogge autunnali durate giorni. Era il 25 novembre 2016. Il Corsaglia esondò e la portata del torrente che attraversa la grotta raggiunse l’abnorme carico di oltre 4.000 l/s. Rimasi impressionato da quell’eccezionale manifestazione di naturale potenza. Allora, posso affermarlo, mi si aprì improvviso l’immenso scenario geologico al quale in passato mi ero trovato approcciato in maniera solo marginale.
La mia esperienza di guida alla grotta di Bossea iniziò nel 2017, a maggio, nei fine settimana. Prima credo di esservi entrato un centinaio di volte, al seguito di Claudio Camaglio (figura di riferimento principale dell’associazione che ha in gestione la Grotta di Bossea). Lo scopo non era quello di formarmi come guida ma prima di tutto di farmi progressivamente conoscere la grotta, fino a sentirla.
Durante la visita mi ha colpita il modo in cui ha presentato la grotta. Non una semplice descrizione ma una narrazione, una affabulazione. Perciò, vorrei chiederti: che ruolo ha il narrare nel mostrare una bellezza naturale come questa?
Penso la narrazione sia fondamentale per l’interazione con l’interlocutore al fine di generare non solo interesse e curiosità ma anche senso di appartenenza e partecipazione. La narrazione è strumento per inquadrare la realtà, rendere comprensibile ciò che si vede e immaginare ciò che non è visibile. Vuoi perché nascosto, vuoi perché avvenuto in altro tempo. Il racconto intrecciato con la propria esperienza è un mezzo efficace per trasmettere emozioni. Per questo spesso sottolineo l’intento di far partecipi i visitatori come fossero protagonisti di un’avventura e non semplici spettatori.
Come si costruisce uno storytelling efficace di un luogo come la Grotta di Bossea?
Io gradualmente, ho fatto della mia esperienza il filo conduttore della visita alla grotta. Vien da sé che la comunicazione sia il percorso da seguire. Lungo questo s’incontrano storia, geologia, scienza, rimandi alle arti e alla letteratura. Uno scenario composito di parole, suoni, immagini a formare un mosaico. Se la conoscenza e la padronanza della situazione sono determinanti per il buon esito della visita, non di meno lo è la consapevolezza della comunicazione. La collaborazione tra narratore e ascoltatore è il presupposto per trasmettere conoscenza. La visita di un luogo ha un inizio e una fine, sempre; la differenza la fa il racconto. Così non è solo ciò che si dice ma anche come lo si dice che può suscitare emozione.
C’è una leggenda, un aneddoto o una storia che si associa, in generale o nel tuo ricordo, alla Grotta di Bossea capace di racchiudere il senso stesso di questo luogo?
Le storie sono molte, variamente incluse in ciò che conosciamo della grotta. C’è Ernestina, consorte del senatore Giovanni Garelli – che nel 1874 inaugurò l’apertura della grotta al pubblico. A lei è dedicato il lago al piede della cascata, cuore del percorso di visita alla grotta. Una leggenda popolare riconosce in Ernestina una fanciulla che, per coronare un amore osteggiato dai familiari, abbandonò le vesti accanto al lago fingendosi annegata. Fuggì dal paese e fu data per scomparsa, riuscendo così a vivere la sua storia d’amore.
Non meno evocativa è la figura di Matteo Velia. La sua firma, lasciata nel 1816 sulla volta rocciosa della cosiddetta “Sacrestia”, costituisce oggi la traccia moderna più antica del passaggio umano nella grotta. Di solito lo cito nell’introduzione alla visita, portando l’interlocutore ad immaginarne la figura. Un romantico viandante che entrò nella grotta ancora da scoprire. Ho voluto rappresentare questo nel dipinto murale realizzato nell’atrio dell’edificio d’ingresso, omaggio al Viandante sul mare di nebbia di Friedrich in estatica contemplazione. Quel mare di nebbia e la vertiginosa posizione d’altura a dominare l’abisso son qui trasposti nell’oscura spelonca. Alla scoperta di essa il viandante si pone pervaso di sentimento, sino a giungere alla Gran Cascata e al lago.
Sehnsucht, struggimento dunque, dell’umano rapporto col paesaggio laddove la natura è protagonista assoluta. L’uomo vi partecipa, totalmente consapevole della propria finitudine nella sintesi emotiva di paura e desiderio di cui scriveva già Leonardo da Vinci. Narrazione e suggestione, dunque: tutto ciò concorre a strutturare per capisaldi lo straordinario scenario di Bossea, scenario di spazio, di tempo e di naturale architettura.
Valeria Meazza