La Foresta Amazzonica è vittima del greenwashing spietato delle banche

deforestazione dell'Amazzonia Greenwashing in Amazzonia, report di Stand.earth

Il report di Stand.earth parla chiaro: le banche più potenti al mondo sono responsabili di uno spietato greenwashing in Amazzonia, poiché finanziano con miliardi di dollari l’estrazione di combustibili fossili e contribuiscono alla distruzione della foresta pluviale, mentre fingono di attuare politiche green attente alla tutela dell’ambiente. Secondo il report, realizzato in collaborazione con la Coordinadora de las Organizaciones Indìgenas de la Cuenca Amazònica (COICA), il 71% della Foresta Amazzonica non è efficacemente protetto dalle politiche di gestione del rischio sociale e ambientale che invece le banche finanziatrici dell’estrazione del petrolio dovrebbero attuare.

Greenwashing in Amazzonia: il report di Stand.earth

Citibank, JPMorgan Chase, Itaú Unibanco, Santander, Bank of America e HSBC. Sono queste le sei banche che, da almeno vent’anni, controllano e finanziano il 46% delle operazioni complessive di estrazione di combustibili fossili nel territorio della Foresta Amazzonica.

Solo una di loro, HSBC, ha provveduto a mettere in atto una protezione totale ed efficace del suolo amazzonico rispetto alle estrazioni di combustibile fossile. Le altre cinque hanno permesso che il 71% dell’estensione complessiva della Foresta Amazzonica venisse sfruttato e distrutto senza attuare alcun piano di prevenzione di rischi ambientali e sociali.

Queste le informazioni allarmanti emerse dal report di Stand.earth, realizzato in collaborazione con COICA, l’organizzazione che riunisce le diverse esigenze delle centinaia di popolazioni indigene amazzoniche e agisce in nome del loro interesse in ambito internazionale.

Il report segnala che le banche che contribuiscono economicamente alla distruzione dell’Amazzonia continuano invece a dichiarare pubblicamente il loro sostegno nei confronti degli indigeni che popolano la Foresta, mettendo in pratica tutte le misure per tutelare l’ecosistema amazzonico, e creando così la falsa percezione che stiano agendo su basi etiche e morali di salvaguardia sociale e ambientale.

La realtà è ben diversa. Il territorio amazzonico è continuamente esposto a rischi di natura ambientale, e le popolazioni indigene, attraverso COICA, lanciano l’allarme: entro il 2025 è necessario predisporre protezione per almeno l’80% del suolo, altrimenti la distruzione del polmone verde del mondo raggiungerà un punto di non ritorno.

Il 26% della Foresta Amazzonica è già danneggiato in maniera irreversibile.

 



Le banche coinvolte nel greenwashing in Amazzonia

Citibank è la prima banca al mondo per finanziamenti alle operazioni di estrazione di combustibile fossile in Amazzonia, con un contributo di 2 miliardi e 321 milioni di dollari nel settore. I suoi programmi di protezione ambientale e sociale del territorio amazzonico prevedono che il 2% della Foresta sia esclusa completamente dalle operazioni di estrazione e che il 44% sia protetto a livello sociale e ambientale da rischi ecologici. Il 54% del suolo viene invece sfruttato senza alcuna garanzia di protezione.

Bank of America è la quinta banca al mondo per finanziamenti secondo l’Amazon Bank Database (ABD), con 1 miliardo e 268 milioni di dollari investiti nello sfruttamento del suolo amazzonico. Similmente a Citibank, per il 45% del territorio è garantita protezione ambientale e due diligence: il 55% rimane scoperto da un’adeguata gestione del rischio.

JPMorgan Chase è la seconda banca al mondo con 2 miliardi e 252 milioni di finanziamenti per le operazioni in Amazzonia. I dati sono ancor meno rassicuranti rispetto a Citibank e Bank of America: la percentuale di area soggetta a protezione scende al 16%, mettendo a rischio l’84% del territorio e le popolazioni indigene che lo abitano.

Il gruppo Santander finanzia le estrazioni in Amazzonia con 1 miliardo e 359 milioni di dollari classificandosi quarto gruppo bancario al mondo nella classifica stilata da ABD. Si impegna a preservare il 40% del territorio amazzonico garantendo protezione agli indigeni e alla biodiversità della Foresta. Il 60% del suolo sfruttato resta invece escluso da queste tutele.

La banca brasiliana Itaù Unibanco si classifica al terzo posto con 1 miliardo e 933 milioni di dollari investiti nell’estrazione di gas e petrolio in Amazzonia. A livello di tutela ambientale, è la peggiore. Lo 0% del suolo sfruttato è immune da rischi: nessuna tutela viene garantita a livello di gestione dei pericoli umanitari e ambientali che lo sfruttamento della foresta pluviale amazzonica può comportare, lasciando campo libero ad azioni sconsiderate di trivellazione del suolo, disboscamenti e incendi.

Le testimonianze dei portavoce indigeni sui danni umanitari

Il report di Stand.earth raccoglie le testimonianze di alcuni portavoce di Organizzazioni no profit che tutelano il territorio della Foresta pluviale Amazzonica e la vita delle popolazioni indigene. Jorge Pérez, presidente dell’Associazione Inter-etnica per lo sviluppo della Foresta pluviale Peruviana (AIDESEP) ha fatto coraggiosamente appello diretto alle banche responsabili:

Chiediamo che JPMorgan Chase, Citibank e Bank of America si assumano la responsabilità per i danni che stanno causando nell’Amazzonia peruviana, e che facciano proprie le conseguenze che stiamo vivendo sulla nostra pelle. Queste banche devono rendersi conto che se la contaminazione e la distruzione dei loro territori di sopravvivenza continuerà, gli indigeni peruviani scompariranno con i loro territori e sistemi di conoscenza – e con loro, scomparirà anche la nostra speranza di salvare l’Amazzonia e il pianeta.

Queste le parole di José Esach, Presidente della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Amazzonia Ecuadoriana:

Sono passati quasi sessant’anni dall’inizio dello sfruttamento del petrolio nell’Amazzonia ecuadoriana. Durante questi decenni, ci è stato promesso progresso, salute, benessere e istruzione, ma soprattutto una vita dignitosa. Tuttavia, da allora fino ad oggi, i popoli indigeni della Amazzonia ecuadoriana sono stati vittime di un sistema corrotto che perpetua la violenza contro di noi, porta via il nostro territorio, le risorse naturali, i fratelli e le sorelle, e la nostra qualità di vita.

Pérez e Esach riportano l’attenzione su un fattore spesso ignorato nella considerazione dei danni provocati dallo sfruttamento del suolo forestale: le popolazioni indigene che abitano l’Amazzonia, nel corso degli anni, hanno visto le aree a loro disposizione diminuire drasticamente, e sono state spesso costrette a spostarsi ai margini della Foresta, spinte dalla continua espansione delle operazioni di estrazione di gas e petrolio.

Nessuna delle banche citate dal report sembra minimamente interessata al destino delle popolazioni indigene che stanno affrontando crescenti difficoltà. Nonostante le dichiarazioni piene di spirito umanitario, si continua a martoriare imperterriti il polmone verde del mondo, che ormai, a causa di incendi, allevamenti intensivi ed estrazione di petrolio, produce più CO2 di quanta ne riesca ad assorbire.

Amazzonia: un tesoro di biodiversità da preservare a tutti i costi

Lo sfruttamento del suolo della Foresta Amazzonica e i continui disboscamenti rischiano di provocare l’estinzione di 137 specie viventi ogni giorno, e rischiano di scomparire le popolazioni indigene i cui diritti umani sembrano non contare di fronte agli interessi multi miliardari delle banche e delle industrie del combustibile fossile. Nessuno garantisce loro accesso a fonti di acqua e di cibo, spesso costringendole ad abbandonare i territori autoctoni per spostarsi e cercare luoghi più sicuri.

Ogni anno la situazione in Amazzonia è in netto peggioramento, anche a causa dell’assenza di una gestione efficace del rischio sociale e ambientale che le banche implicate nello sfruttamento dell’Amazzonia dovrebbero invece non solo considerare, ma anche mettere in pratica sulla totalità del territorio.

Ci sono certamente vuoti legislativi e cavilli burocratici che permettono un’azione sconsiderata di sfruttamento nei confronti di territori già troppo lungamente martoriati, ma questo non può giustificare azioni disumane nei confronti di ambiente, indigeni e biodiversità.

La voce degli indigeni raccolta dal report di Stand.earth non può rimanere inascoltata ancora a lungo, o a farne le spese sarà il mondo intero.

Michela Di Pasquale

 

 

 

 

 

Exit mobile version