Basta fondi agli allevamenti intensivi, questo l’appello di Greenpeace per scongiurare il rischio di future pandemie.
La campagna di Greenpeace contro gli allevamenti intensivi è sempre più accesa per via dell’emergenza Covid-19 che sta mettendo a dura prova i sistemi sanitari di tutto il mondo. La pandemia dell’era social, documentata come non era mai successo prima, ha riacceso il dibattito sull’allevamento intensivo, pratica diffusa in tutti i paesi sviluppati volta ad ottenere una massima quantità di prodotto mantenendo bassi i costi di produzione e utilizzando il minimo spazio.
Non si tratta solo di un sistema eticamente sbagliato rispetto alle condizioni di vita degli animali (in modo particolare tacchini, polli, suini e conigli) ma potenzialmente pericoloso per i consumatori. Greenpeace ha cercato di fare luce proprio su quest’ultimo punto, sottolineando un profondo collegamento tra la diffusione di malattie infettive e gli animali costretti a vivere in allevamenti intensivi.
Greenpeace, stop agli allevamenti intensivi
Negli allevamenti intensivi polli, tacchini, suini e conigli si trovano a vivere in spazi angusti, ristretti, confinati in casse di gestazione, gabbie o terreni sterili: “Non respireranno aria fresca fino al giorno in cui saranno caricati su camion destinati al macello” spiegano da PETA. Trattati il più delle volte come macchine da riproduzione subiscono maltrattamenti di ogni genere e sono costretti ad assumere cospicue quantità di antibiotici, stando alle stime rilasciate da CIWF.IT solo in Italia il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli alimentali. Un abuso riconducibile alle condizioni di vita nelle quali questi animali sono allevati ma che ha ingenti conseguenze nella salute degli stessi e nei consumatori.
L’abuso di farmaci antibiotici, infatti, può provocare la resistenza agli antibiotici, una condizione per cui alcuni batteri riescono a sopravvivere e a moltiplicarsi nonostante l’utilizzo di farmaci. L’animale che sviluppa tale resistenza può contrarre batteri che possono rimanere sulla carne anche dopo il macello ed essere così trasmissibili all’uomo.
I batteri possono diffondersi tramite la manipolazione della carne cruda o a seguito del consumo di poco cotta, o ancora attraverso gli stessi allevamenti. Dai condotti di ventilazione ai rifiuti, passando per i trasporti e gli stessi lavoratori, il rischio di contaminazione è infatti molto alto.
Scongiurare nuove pandemie
Lo scorso settembre Greenpeace ha lanciato un appello al Governo italiano e in particolar modo al ministero delle politiche agricole: “È ora che il denaro pubblico venga utilizzato per sostenere le aziende che producono in modo economico, smettendo di foraggiare un sistema inquinante.”
A seguito della pandemia che ha colpito il mondo, Greenpeace è tornata sulla questione degli allevamenti intensivi, sottolineando un dato allarmante: “Si stima che il 73% di tutte le malattie infettive emergenti provenga da animali. Nella nota diffusa dalla Ong si legge poi: “E’ probabile che gli allevamenti intensivi, in particolare di pollame e suini, possano far aumentare la trasmissione di malattie.” Viene infatti spiegato che gli animali allevati trasmetto un cospicuo numero di virus agli esseri umani.
Preserviamo il pianeta
L’Ong si è rivolta a Ilaria Capuo, professoressa e direttrice della One Health Center of Excellence dell’Università della Florida. Per preservare la sostenibilità del Pianeta, spiega la professoressa, è necessario migliorare la salute degli uomini e degli animali, oltre ovviamente a quella delle piante e dell’ambiente, altro settore fortemente colpito dagli allevamenti intensivi. La professoressa Capuo, come riportato dall’Ansa, sottolinea che questo tipo di allevamenti è il principale motore della deforestazione. Una problematica che non va sottovalutata, i ricercatori stimano infatti che circa il 31% delle epidemie di malattie emergenti sono legate al “cambiamento nell’uso del suolo collegato all’invasione umana nelle foreste pluviali tropicali.”
“Il Covid-19 non sarà l’ultima emergenza che dovremo subire” ha affermato Federica Ferraro, responsabile della campagna sull’agricoltura di Greenpeace Italia. Per tal ragione è necessario, sottolinea la Ferrario, che l’Unione Europea e i governi nazionali supportino l’agricoltura su piccola scala.
Tra le nuove abitudini che saremo chiamati ad attuare nei prossimi mesi non va sottovalutata una rivoluzione alimentare, in parte già iniziata in Cina che ha messo al bando diverse tipologie di carne, tra cui cani e gatti. “Le scelte alimentari che facciamo oggi determinano lo stato del Pianeta nel quale vivremo domani” afferma la campagna di Greenpeace, che chiede una riduzione del 50% a livello globale della produzione e del consumo di prodotti di orine animale 2025.
Emanuela Ceccarelli