Gravidanza indesiderata perché l’uomo è stato “incastrato”? Nessun risarcimento nei suoi confronti

Gravidanza indesiderata perché l’uomo è stato “incastrato”? Nessun risarcimento del danno nei suoi confronti dalla partner. Per la Cassazione il rapporto sessuale non può essere considerato un contratto: spettava a lui prendere precauzioni per evitare rischi di concepimento.





I rapporti sessuali non protetti non sono solo forieri di rischi di malattie, ma anche di gravidanze spesso indesiderate. E non è raro il caso in cui uno dei due partner si sia sentito “incastrato” dall’altro in seguito al concepimento di un figlio. Una vicenda del genere è finita sulla Bilancia della Giustizia ed è arrivata addirittura fino alla Corte di Cassazione che ha stabilito il principio secondo cui non ha diritto a essere risarcito per la gravidanza indesiderata l’uomo che non ha preso precauzioni sentendosi rassicurato dalla dichiarazione di lei di non essere fertile in quel momento.

Al più si si sarebbero potuti configurare gli estremi del reato di violenza privata, se sussistesse una violenza o minaccia, che però non sono assimilabili alla menzogna, come quella di aver detto di non essere fertili perché all’ultimo giorno del “ciclo”. La sentenza 10906 del 5 maggio 2017 è, infatti, inequivocabile nel rigettare il ricorso di un neo papà che aveva adito il Tribunale di Napoli prima e la Corte di Appello partenopea, per chiedere di essere risarcito dall’allora fidanzata per la gravidanza indesiderata. In particolare, il fidanzato aveva affermato in giudizio che la donna gli aveva dichiarato di non essere fertile quel giorno perché l’ultimo del ciclo mestruale, denunciando quindi una sorta di raggiro della partner che voleva un figlio a tutti i costi. In entrambi i gradi di giudizio di merito si era visto rigettare le proprie richieste e quindi non si era visto liquidare alcun risarcimento come confermato anche dalla sentenza della Suprema Corte che ha messo una pietra tombale sulla vicenda. Anche i giudici di legittimità, infatti, con interessante motivazione – evidentemente non sottovalutandone le ripercussioni – hanno affermato, in primis, che l’uomo avrebbe dovuto escludere ogni pericolo prendendo comunque delle precauzioni. Sempre per gli ermellini, il rapporto sessuale – peraltro, tra due persone consenzienti – non è affatto assimilabile a un contratto. I giudici della terza sezione civile hanno, tuttavia, specificato che:

«l’obbligo del partner di rispettare la volontà della persona con cui intende compiere un atto sessuale completo si rinviene, invece, nell’ambito penale, come tutela però della libertà sessuale (articoli 609 bis ss. c.p.), e non della fertilità o infertilità dell’atto sessuale come scelta che l’uno possa imporre all’altro. Potrebbe sotto questo profilo semmai integrarsi, se uno degli esecutori dell’atto sessuale ha costretto l’altro ad adottare o a non adottare mezzi che incidono su tale potenzialità procreativa, il reato di violenza privata (articolo 610 c.p.c.) che, peraltro, si commette appunto “con violenza o minaccia”, ovvero costrizione, e non con una eventuale menzogna. E il reato che, aggiungendo come già si è detto nelle argomentazioni del motivo all’illecito civile pure l’ipotesi dell’illecito penale, il ricorrente ha poi invocato, cioè l’articolo 640 c.p., è reato contro il patrimonio: ma l’acquisizione di una paternità indesiderata non è riconducibile alla fattispecie di cui all’articolo 640 c.p., dato che questo prevede come conseguenza dell’inganno il fatto che chi delinque “procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”».

 

Giovanni D’Agata

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