Sono trascorsi ben 25 anni e nessuna chiarezza sull’attentato a Giovanni Falcone simbolo della lotta alla Mafia solo un gran senso di ingiustizia.
Il 23 maggio del 1992 moriva l’illustre magistrato Giovanni Falcone, insieme a lui a perdere la vita la sua compagna Francesca Morvillo e i gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, nel vile attentato per mano di Cosa Nostra, in prossimità dello svincolo per Capaci, sulla autostrada A 29.
Da sempre e per sempre, Giovanni Falcone rimane un simbolo della lotta alla mafia. Negli anni ’80 ha fatto parte del pool con Antonio Caponetto e Paolo Borsellino; insieme ai quali istruirono il primo maxiprocesso ai danni degli uomini di Cosa nostra.
Il maxiprocesso per Falcone fu un enorme successo.
Iniziato nel 1986 e terminato nel 1992 portò all’imputazione di circa 400 esponenti di Cosa Nostra, 19 ergastoli e 2700 anni di reclusione totale. Il magistrato è pronto per guidare una superprocura a Roma, ma già dal 1991 Totò Rina e gli altri mafiosi, che a causa sua stavano perdendo terreno, pianificavano l’attentato.
La sola colpa del magistrato Falcone è stata quella di credere nella Giustizia; di credere che l’applicazione di una legge severa avrebbe potuto fermare la criminalità organizzata, che stava distruggendo la sua tanto amata Sicilia e l’Italia intera.
Non è solo stato un buon magistrato e di cultura ma anche un uomo di valore, poiché ha dedicato tutto sé stesso, insieme al collega e amico Paolo Borsellino, alla ricerca di un metodo giudiziario che potesse inasprire la pene per i mafiosi e ripulire una terra, ormai, contagiata da questo grande male che è la Mafia.
Purtroppo non aveva fatto i conti ,come anche sostenuto recentemente dalla Cassazione, che era stato vittima di giochi di potere, di invidie e interessi più importanti della sua stessa vita.
Infatti, non vide mai la guida della Pool Antimafia di Palermo e lo stesso Csm preferì Antonino Meli.
Lo vogliamo ricordare con una sua stessa frase: “Mi avete crocefisso perché mi avete inchiodato come bersaglio”.
Troppo onesto forse per svolgere il Suo lavoro o troppo ingenuo a credere che le Istituzioni lo avessero sostenuto nella lotta contro la mafia.
Ad oggi, ancora, la strage che ha stravolto l’Italia con quattrocento chili di tritolo non ha un vero colpevole. Chi ricorda quelle tristi immagini dell’attentato, della voragine in cui venne risucchiata l’automobile con a bordo Falcone e la sua scorta, avrà avvertito, altresì, un senso di impotenza dinanzi a ad un’altra Ingiustizia.
Anna Rahinò