La Grand Ethiopian Renaissance Dam divide l’Africa orientale

Domenica 10 settembre è terminato il quarto ed ultimo riempimento del bacino della Grand Ethiopian Renaissance Dam, opera infrastrutturale per la produzione di energia idroelettrica la cui costruzione iniziò nel 2011. La diga, negli ultimi anni, è stata però oggetto di accese discussioni tra i paesi dell’Africa orientale, i quali temono di perdere spazio di manovra nel controllo delle proprie risorse naturali.

Si tratta della diga per la produzione di energia idroelettrica più grande del continente africano, con un regime di produzione massimo di oltre 5000 megawatt (si posizione così tra le centrali più importanti del mondo per quanto riguarda la quantità di elettricità creata). Costata l’equivalente di 4 miliardi di euro e finanziata interamente con soldi pubblici senza contributi esteri, la Grand Ethiopian Renaissance Dam  (GERD) è stata realizzata dalla compagnia italiana Webuild (ex Salini Impregilo) e vanta un’altezza di 155 metri e una lunghezza di 1.8 chilometri. Già in funzionamento dal febbraio 2022, negli ultimi anni è diventata il simbolo dell’ascesa dello Stato etiope nella regione, nonché della sua crescita economica indipendente.

La GERD, appena ultimata, crea già discordia

L’annuncio del primo ministro Abiy Ahmed Ali, Nobel per la Pace 2019, riguardo il completato riempimento del bacino non è stato accolto favorevolmente dagli altri due paesi attraversati dal Nilo, Egitto e Sudan. In particolare, il governo egiziano, attraverso le parole del proprio ministro per gli affari esteri, ha espresso preoccupazione per il carattere unilaterale delle azioni dell’Etiopia, colpevole di aver ultimato il completamento della GERD senza aver prima raggiunto un compromesso con i paesi dell’area. Il Cairo ha inoltre auspicato il raggiungimento di un comune accordo nei prossimi quattro mesi di discussione, in vista del prossimo round di negoziati che si terrà ad Addis Abeba.

Grand Ethiopian Renaissance Dam
Un frame del video postato sui social dal primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali per annunciare il completamento delle operazioni di riempimento.

I negoziati concernenti questa infrastruttura vanno avanti già da anni: tutto iniziò nel 2015 a Khartoum con la firma di una Dichiarazione di principi tra Egitto, Sudan ed Etiopia, documento che avrebbe guidato le successive discussioni su tempi e modi di costruzione e funzionamento della diga. Successivamente, la Russia assunse il ruolo di paese mediatore in occasione del summit Russia-Africa di ottobre 2019, senza però essere in grado di guidare i paesi verso un accordo congiunto. Il nodo della discordia era rappresentato dai tempi di riempimento della diga (tempi brevi richiedono più acqua alla volta, fattore che danneggia i paesi “a valle” come l’Egitto, che infatti domandava tempi di riempimento più lunghi). Fu poi la volta di Washington (con Donald Trump) e della Banca Mondiale: dopo due mesi di negoziati, né Etiopia né Sudan firmarono il testo proposto, continuando così lo stallo diplomatico che dura da allora.




La Diga del Rinascimento Etiope nel quadro geografico regionale

L’importanza strategica della Grande diga nel panorama regionale si ricava semplicemente considerando la sua posizione geografica: posta a 700 chilometri di distanza dalla capitale Addis Abeba e a soli 14 chilometri dal confine con il Sudan, nella regione nord-occidentale Benishangul-Gumuz, sull’altopiano etiope, la diga regola il corso del Nilo blu, corso d’acqua che si unisce al Nilo bianco nei pressi della città sudanese di Khartoum e forma il Nilo.

Se il Sudan può contare sulle pianure verdi nella regione meridionale del paese, l’Egitto fonda la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo su questa arteria fluviale, che scorre nel paese per quasi 1500 chilometri e rende fertili le coltivazioni (tutti i principali insediamenti egiziani sono posti lungo il corso del Nilo e nella regione del delta). La costruzione della GERD infatti limita fortemente lo spazio di manovra che l’Egitto aveva conquistato tramite la costruzione dell’imponente diga di Aswan, durante il governo del presidente socialista Gamal Abdel Nasser.

La diga si trova sull’altopiano etiope, poco lontana dal confine con il Sudan.

L’infrastruttura come strumento politico

L’Etiopia sembra aver compreso meglio di altri l’importanza della risorsa-acqua in un  contesto climatico precario e sempre mutevole come il nostro. Proprio il cambiamento climatico, unito a una popolazione (quelle egiziana) in costante crescita, rappresenta la minaccia più grande alla grande arteria fluviale.

L’acqua è, oggi più che mai, uno strumento politico preziosissimo per esercitare pressione su altri paesi o sugli attori internazionali. Prima di investire in qualsivoglia innovazione tecnologica, l’Etiopia sembra voler mettere in sicurezza (in chiave sovranista) le risorse alla base della nostra vita sulla Terra.

In un paese in cui due terzi della popolazione non hanno accesso alla rete elettrica nazionale (circa 60 milioni di persone), la costruzione di una centrale di queste dimensioni si traduce in un concreto miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e in un immediata crescita della ricchezza nazionale (l’energia prodotta sarà consumata internamente ma soprattutto esportata – verso Kenya, Sudan, Sud Sudan, Egitto). Progetti infrastrutturali così importanti legittimano inoltre l’azione del governo e contribuiscono a quel processo definito state building (sviluppo e affermazione dello Stato). “La nuova Adua” (la battaglia del 1896 nel quale il sovrano Menelik II sconfisse le truppe del Regno d’Italia), così è stata definita la GERD, rappresenta dunque un potente strumento tramite il quale lo Stato etiope può dimostrare al mondo la propria crescita e il proprio desiderio di controllo in Africa orientale. Il Rinascimento per l’Etiopia significa indipendenza, ricchezza e, dunque, potere.

Luca Oggionni

Exit mobile version