Nel GP di Turchia di ieri, per la terza volta in stagione una Ferrari si è piazzata sul podio, anche se sul gradino più basso. Dopo il secondo e il terzo posto di Leclerc in Austria e Inghilterra, è toccato al casco arcobaleno di Vettel salire sul podio dietro a Hamilton, che ha raggiunto Schumacher a quota sette campionati vinti, e Perez.
Sì, un casco arcobaleno. In occasione del Gp di Turchia, il ferrarista Vettel ha deciso di sostituire il casco con la bandiera tedesca con uno con i colori dell’arcobaleno. Da sempre questi rappresentano la pace e i movimenti di liberazione omosessuale, oltre che quelli in favore dei diritti LGBTQ. Sul casco di Vettel, inoltre, compariva la scritta “No borders, just horizons, only freedom” (“Nessun confine, solo orizzonti, solo libertà”).
Frase che richiama Amelia Earhart, prima aviatrice a trasvolare l’Atlantico, a volare da un capo all’altro degli Stati Uniti e dalle Hawaii alla California. Nel 1937, nel tentativo di compiere il giro del mondo (sarebbe stata la prima donna a farlo), Amelia Earhart ha perso la vita nell’Oceano Pacifico. Oltre alla frase a lei dedicata, sul casco di Vettel era presente il motto “Together as one”, che richiama l’hashstag #RaceasOne. Quello lanciato dalla Formula 1, su ispirazione di Hamilton, a sostegno del movimento BlackLivesMatter.
Diritti civili in Turchia
Non è un caso che Vettel abbia scelto quello il Gp di Turchia per utilizzare questo casco. La Turchia, storicamente vicina alla comunità LGBTQ, sotto la presidenza di Erdogan sta mettendo in atto discriminazioni e repressioni delle libertà civili, tra cui la libertà di espressione. Questo a causa del crescente radicalismo religioso (musulmano) promosso da Erdogan. Proprio su questo, a ottobre, il presidente turco ha avuto un acceso scambio di battute con l’omologo francese Macron. Ciò, in seguito all’uccisione del docente francese Samuel Paty, che aveva mostrato in classe alcune vignette del giornale satirico Charlie Hebdo con caricature di Maometto.
L’escalation del 2020
Nell’ultimo anno, in Turchia c’è stata una vera e propria escalation di dichiarazioni e atti contro la comunità LGBTQ. Ad aprile, Ali Erbas (Direzione degli affari religiosi in Turchia), ha dichiarato che l’Islam condanna l’omosessualità perchè “porta malattia e decadenza”. Erdogan ha appoggiato Erbas, sostenendo che le sue dichiarazioni “sono vere fino alla fine”. A maggio, il Ministero dell’Istruzione turco ha bocciato un’iniziativa del museo d’arte Istanbul Modern. Il museo aveva invitato i bambini a disegnare degli arcobaleni e a caricarli sul proprio sito web. Il governo si è opposto, ritenendo che l’obiettivo dell’iniziativa fosse far diventare i bambini omosessuali.
A giugno, poi, lo stesso presidente turco ha rincarato la dose: “Alcune persone cercano di normalizzare perversioni che sono state condannate nel corso della storia umana per avvelenare le giovani menti”. Successivamente, infine, Netflix ha annullato una serie di produzione turca dopo che la sceneggiatrice ha denunciato di avere subito pressioni da parte del governo, in quanto un personaggio era omosessuale.
L’obiettivo di Vettel, sulla scia di quanto fatto da Hamilton per BlackLivesMatter, era mettere in evidenza a livello mondiale quanto sta accadendo in Turchia. La speranza è quella che, come il ferrarista ha avuto fortuna ieri in pista, trovando il primo podio stagionale, anche il casco arcobaleno di Vettel riesca a fare breccia nella società turca.
Simone Guandalini