Il giorno delle elezioni è arrivato e passato. I seggi sono chiusi, il dado è tratto. Che siate andati a votare oppure no, c’è una domanda di cui tutti dovremmo conoscere la risposta: per cosa abbiamo votato? Se vi siete fatti un giro nei social in questi ultimi anni, però, sapete che non tutti la conoscono. Tra le tante accuse scagliate nei confronti del governo uscente, infatti, c’era quella di non essere stato eletto. Tuttavia, nella nostra Repubblica di tipo parlamentare non è prevista l’elezione diretta del governo, né tanto meno del Presidente del Consiglio. La Costituzione parla chiaro:
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Art. 92
La formazione del governo
Secondo le intenzioni dei Costituenti, spetta al Presidente della Repubblica individuare la persona più adatta a esprimere l’indirizzo politico emerso dalle elezioni popolari. Contestualizzata, la decisione di non affidare al popolo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio appare comprensibile: l’Italia usciva dal ventennio fascista ed era stato proprio il popolo a infilarcela. Lo stesso che poi inneggiava felice alla sua fine. A ogni modo, la legge elettorale c.d. Porcellum introdusse la regola secondo cui tutte le liste in campagna elettorale debbano indicare il nome del capo della forza politica o della coalizione cui fanno riferimento. Certamente questo facilita il compito del Presidente della Repubblica, che incaricherà di formare il governo il capo della lista o della coalizione vincente. Fin qui tutto bene dunque: sebbene questo non significhi che il popolo elegge il Presidente del Consiglio, di fatto il nome a capo della lista o della coalizione vincente è quello che poi giurerà nelle mani del Presidente della Repubblica e chiederà la fiducia alle Camere. O almeno così avviene di solito.
L’ultima legislatura
Nelle elezioni del 2013, regolate dal c.d. Porcellum, la coalizione di centro-sinistra guidata da Pierluigi Bersani ottenne la maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Di conseguenza, senza allearsi con altre forze politiche non avrebbe mai ottenuto la fiducia necessaria a formare un governo. Bersani fece un tentativo con il Movimento Cinque Stelle, che però rifiutò. Ritenendo che alleandosi con l’allora PDL avrebbe tradito il suo elettorato, a Bersani non restò che rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. Dopo nuove consultazioni Giorgio Napolitano incaricò Enrico Letta, che ottenne la fiducia. Per farlo dovette accettare il sostegno della destra di Alfano e di Berlusconi, assegnandole qualche poltrona. I nomi del Presidente del Consiglio e dei Ministri cambiarono altre due volte: a febbraio 2014 Letta si dimise e seguì Matteo Renzi; dopo il fallimento del referendum costituzionale, anche Renzi si dimise, e prese il suo posto Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio uscente.
Elettorato tradito?
Nonostante gli elettori si siano ritrovati con un Presidente del Consiglio diverso da quello stampato sui manifesti elettorali, non si può parlare di irregolarità o di tradimento. Un Presidente del Consiglio che si dimette o un governo che perde la fiducia del Parlamento non comportano necessariamente un ritorno alle urne. Spetta di nuovo al Presidente della Repubblica valutare, attraverso nuove consultazioni, le condizioni politiche e l’eventuale presenza di fattori incompatibili con il proseguimento della legislatura. Se così sarà, egli decreterà lo scioglimento delle Camere e la necessità di nuove elezioni. In caso contrario, lo stesso Parlamento conferirà la fiducia a un nuovo governo, perfettamente in linea con i dettami costituzionali. Ripresa a gran voce da tutte le forze di opposizione, è a Silvio Berlusconi che dobbiamo il tormentone del “governo non eletto”. È lui infatti a essersi auto proclamato “l’ultimo premier votato dal popolo”.
Più educazione civica
Che piaccia o meno questo assetto costituzionale, che si avverta o meno l’esigenza di un così forte bilanciamento dei poteri (pensato sempre nell’ottica di scongiurare un ritorno del totalitarismo fascista), attualmente è l’unico valido. Per quanto ad alcune forze politiche possa attirare l’idea di una svolta di tipo presidenziale, oggi siamo ancora una Repubblica Parlamentare. Sarebbe auspicabile che a scuola l’educazione civica assumesse l’importanza che merita per insegnare ai futuri elettori come funziona l’ordinamento statuale e in cosa consiste l’esercizio del loro diritto di voto. Solo così potremo evitare di essere presi in giro dalla peggiore politica, quella che si nutre della paura e dell’ignoranza.
Michela Alfano