Gorgona: l’isola dei diritti

Gorgona, isola da lontano

https://live.staticflickr.com/2486/4008854809_71da408d06_b.jpg

Gorgona, isola del livornese, è stata di recente teatro di una grande vittoria per gli animali.

 

Gorgona è un’isola che si trova a 34 km dalla costa di Livorno e, insieme alle più note isole di Capraia, Pianosa, Elba, Giglio, Giannutri e Montecristo, costituisce il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Gorgona, ultima isola carcere presente sul territorio italiano, per molto tempo è stata anche un luogo di convivenza pacifica tra animali e detenuti. Questi ultimi, infatti, provavano una “semi-libertà” prendendosi cura della fattoria e degli animali.
Nel 2015, però, il mattatoio è tornato attivo.

Grazie al duro lavoro della LAV, che è riuscita ad ottenere un accordo con il Comune di Livorno, il mattatoio è finalmente stato chiuso, per la gioia non solo di animali ed animalisti, ma anche di moltissimi carcerati.
Molti di loro si affezionavano ai polli, maiali, conigli, capre, pecore, cavalli ed altri animali ai quali davano da mangiare e vedevano crescere, davano loro dei nomi, ci giocavano. Vederli poi morire, o doverli portare direttamente a morire (in maniere brutali,quali sono quelle di tutti i mattatoi) li distruggeva emotivamente.

Sull’isola erano presenti ben 588 animali. I primi 85 furono portati finalmente via, verso la libertà, a bordo di una nave, destinati all’adozione.
Sull’isola rimarranno 138 animali, dei quali i detenuti potranno prendersi cura e non più veder soffrire o morire.
Il mantenimento degli animali che rimarranno sull’isola sarà, invece, coordinato dalla cattedra di diritto penitenziario dell’Università Bicocca di Milano, con un contributo economico di 45mila euro in due anni.

Oltre alla chiusura del mattatoio, moltissime altre attività hanno preso forma, quali la cura del patrimonio boschivo.

Si tratta di una notizia non solo bella, per ovvie ragioni, ma anche molti significativa.

Innanzitutto è indice di come gli sforzi e l’attivismo, nelle sue varie modalità e forme, possano effettivamente portare a dei cambiamenti o miglioramenti.Inoltre non solo punta i riflettori su una questione di cui prima poco si parlava, ma fa riflettere quanto dichiarato da moltissimi dei detenuti. Infatti, come già è stato evidenziato in precedenza, molti di loro non vivevano bene il periodo di attività del mattatoio e ciò ha avuto un impatto sulla loro riabilitazione e futuro reinserimento nella società.

La situazione delle carceri ( sovraffolamento, igiene, fondi e condizioni umane di vita) in Italia (e non solo) è assai critica, tanto da far spesso perdere di vista uno degli obiettivi principali della detenzione: la riabilitazione. Tranne rari casi, quali l’ergastolo, i penitenziari dovrebbero essere strutture nelle quali persone che hanno commesso determinati crimini non possono  danneggiare altre persone, imparando l’importanza del perché certe cose non vadano fatte e intraprendendo un percorso che dovrebbe culminare nel reinserimento nella società. Purtroppo la mancanza di mezzi (e spesso attenzioni) da parte di chi di dovere riguardo questo passaggio porta ad un “incattivimento” delle persone, a recidive o semplicemente alla quasi inutilità del periodo di detenzione, durante il quale nulla è cambiato.

Infliggere questa costante sofferenza ai detenuti, strappare loro questi rapporti d’amore e sostituirli con pratiche di morte non li aiutava a livello psicologico. Uccidere, inoltre, non è di certo un metodo efficace per lavorare sulla propria empatia, caratteristica fondamentale per stare in società. Alcuni di loro, vegetariani per ragioni religiose, hanno provato un grande sollievo alla notizia dell’interruzione delle macellazioni. Essere privati della libertà per un determinato lasso di tempo è già la punizione, al contrario di quanto spesso si pensi. Non serve infierire, ridurre le persone a stracci o non trattarle al pari di coloro che non sono in prigione, solo perché hanno commesso qualsivoglia crimine.

Lo stesso discorso vale per gli animali. Che colpa avevano? Perché ancora oggi moltissime persone, pur ammettendo di amare gli animali, non battono ciglio per le condizioni nelle quali vengono martoriati, trattati ed uccisi?
La sofferenza chiama sofferenza.

Insegnare amore, cura, empatia e pazienza giova e gioverà ai detenuti e agli animali, dando al mondo un buon esempio (si è infatti parlato di questa vicenda anche sul Guardian).

In questo caso il risultato è stato ottenuto da anni di lavoro da parte di grandi associazioni, ma nel proprio piccolo cosa si può fare?

Per quanto riguarda questa vicenda si può sostenere economicamente la LAV, tutte le informazioni utili sono disponibili sul loro sito ufficiale. 
Inoltre è possibile sostenere non solo iniziative inerenti al caso Gorgona, ma anche adottare animali a distanza o seguire altre loro missioni.
Sempre nel proprio piccolo si può cercare di non causare volontariamente danno o dolore al prossimo, umano o meno che sia. Se ci sono vicende, magari come questa, di un certo peso emotivo ed educativo, si possono condividere e parlarne, dando loro maggiore visibilità.

Gorgona isola dei diritti

Questo è il soprannome datole dalla LAV. Lottare tanto per i diritti umani che per i diritti degli altri animali è possibile, e questo lavoro ne è l’esempio.

 

 

Flavia Mancini

Exit mobile version