Gonfiabili nell’arte e nella moda
Tra l’arte figurativa e la moda i gonfiabili, o l’ottenimento con altri materiali di un aspetto che ne simuli l’effetto, fanno parte di un percorso ricercato e sviluppato da diversi protagonisti dei due settori; le idee alla base e i risultati ottenuti catalizzano diversi aspetti in gioco, che arrivano fino ad essere antitetici tra loro.
I gonfiabili simulati di Koons
Partendo da Jeff Koons, per la caratura a livello internazionale di un artista che affascina, divide, e che ha raggiunto e si mantiene ormai da tempo sulle vette dell’arte contemporanea. Buona parte della sua produzione di sculture imita soltanto l’utilizzo dei gonfiabili, soprattutto del gioco figurativo attraverso la legatura di palloncini, tramite la lavorazione di materiali come l’acciaio inossidabile.
La pienezza delle sue sculture
Koons stesso parla della respirazione che permette la vita, con il gonfiarsi e sgonfiarsi ritmico dei corpi; lui ottiene un momento di sospensione dalla morte incastonando nella scultura l’attimo di pienezza delle figure. Viene presentato al pubblico il turgore, anche aggressivo di certe superfici rese specchianti dai processi di lavorazione del metallo, dai colori scintillanti; le figure si presentano con tutta la potenza delle immagini del nostro mondo di comunicazione di massa.
I pantaloni gonfiabili di Harikrishnan
Il parallelo nel mondo della moda è nel lavoro dello stilista indiano Harikrishnan, che all’inizio del 2020 ha presentato per la prima volta i suoi pantaloni gonfiabili in lattice. Ancora una volta una creazione che esprime con forza se stessa, si protende verso l’esterno grazie ai suoi volumi e tinte sature.
Entrando nello sgonfiarsi con Tjærandsen
L’anno precedente un altro studente, legato alla stessa University of the Arts di Londra frequentata da Harikrishnan, aveva giocato sul polo opposto dello stesso concetto. Fredrik Tjærandsen ha creato degli abiti gonfiabili pensati per inglobare in un primo momento il corpo delle modelle, ma successivamente passare almeno parzialmente a fasciarlo tramite un processo di sgonfiamento azionabile manualmente all’istante. Lo stilista ne ha parlato come il processo di autocoscienza di sé, che dall’indefinitezza porta a un’identificazione individualizzante. Da quella specie di nebbiolina colorata di un palloncino gonfio, l’indefinibilità espansa della persona nello spazio si riduce, in un movimento centripeto opposto a quanto visto precedentemente.
Le strutture di Mazzucchelli
Lontani dall’affermazione volitiva delle statue di Koons, e ancor di più delle stesse dotati di una vocazione pubblica, sono i gonfiabili in pvc di Franco Mazzucchelli; essi riprendono pienamente in arte quel binomio gonfiare/sgonfiare che abbiamo appena evidenziato nel mondo della moda.
L’interazione del pubblico
Dalla metà degli anni Sessanta, l’artista italiano ha posizionato in luoghi affollati di passanti delle strutture, che per lo stesso materiale di cui sono fatte e per la loro conformazione, spingono verso un coinvolgimento attivo dello spettatore. Così è stato presentato e analizzato fenomenologicamente l’aspetto effimero del gonfiabile e la sua antimonumentalità, documentando anche le interazioni che gli spettatori hanno avuto con lo stesso e che sono terminate spesso con la distruzione e la conseguente perdita della struttura.
Centripeto e centrifugo
Ancora una volta, quindi lo sgonfiamento, un movimento centripeto dello spazio e persone circostanti che intacca l’autonomia dell’oggetto, del sé in senso lato che si afferma in maniera centrifuga, che invece aveva caratterizzato i primi due esempi.
Giacomo Tiscione