God Save the Queen: l’anti-inno dei Sex Pistols contro la Regina

God save the Queen

È il 1977 e la nota band punk Sex Pistols dissacra, con il suo singolo God save the Queen, uno dei capisaldi dell’Inghilterra: la Regina

La musica sotto accusa

In questi giorni il mondo della musica è concentrato sull’arresto di Pablo Hasél. Il rapper catalano, infatti, è stato accusato di esaltazione al terrorismo e ingiurie contro la Corona e condannato a nove mesi di detenzione. La sua colpa è di aver attaccato pubblicamente, sui suoi profili social e nei testi delle sue canzoni, la monarchia spagnola. Mentre la Spagna si mobilita in sua difesa, la vicenda non può far tornare alla mente un’altra, simile, passata alla storia.
L’ambientazione è la Londra della fine degli anni Settanta e vede come protagonista una delle band più iconiche e controverse della storia del punk: i Sex Pistols. Il gruppo, infatti, con il loro singolo God save the Queen si ritrova a subire censure e minacce a causa delle parole usate per descrivere la Regina.

God save the queen
The fascist regime
They made you a moron
A potential H bomb
God save the queen
She’s not a human being
And there is no future
In England’s dreaming

La canzone

Non ci sono molte canzoni scritte sul tavolo della colazione che abbiano continuato a dividere una nazione intera, forzando un cambiamento nella cultura popolare

È Johnny Rotten (John Lydon) il pungente frontman dei Sex Pistlos a scrivere il testo della canzone incriminata. Un testo colmo di amara ironia e rancore per la situazione socio-economica dell’Inghilterra di quegli anni; Rotten non si fa remore nel definire la Regina “cretina” in un testo tanto semplice quanto diretto e tagliente che fa leva sul celebre ritornello di “no future”, divenuto uno slogan mondiale.
La band inizialmente voleva intitolare il singolo No Future, ma sembra che fu lo stesso manager a fargli cambiare idea. Nasce così God save the Queen, lo stesso titolo dell’inno tradizionale inglese, ribaltato del suo significato.

Il singolo vede la luce il 27 maggio del 1977, quando i Sex Pistols sono all’apice della loro fama e decidono di promuoverlo, il 10 giugno, suonandolo su una chiatta sul Tamigi, davanti il palazzo di Westminster.
L’avvenimento, però, si scontra con una delle più importanti celebrazioni dell’epoca: il Giubileo dei 25 anni di regno della Regina Elisabetta.

Il Giubileo

Non è stata scritta specificatamente per il Giubileo della regina. Non eravamo informati di questo all’epoca, non era un’opera studiata a tavolino per venire fuori e scioccare tutti
(Paul Cook)

L’idea di ritardare l’uscita del brano per farla coincidere con il Giubileo d’Argento, fu sempre del manager McLaren, che vide in quella “coincidenza” un’ottima pubblicità. La band, all’epoca, non era al corrente della celebrazione e diede vita a una vera e propria dissacrazione che gli costò minacce e censura.




In realtà già tre giorni dopo la sua uscita a maggio il brano fu bandito dalla BBC perché considerato “di cattivo gusto”. Subito dopo, la Independent Broadcasting Authority che regola le trasmissioni del Regno Unito, ne proibì l’esecuzione. Alcuni grandi distributori si rifiutarono di vendere il disco.
Nonostante la censura, la canzone si guadagna il secondo posto nella classifica UK Single Chart e il primo nelle classifiche del magazine NME.
Probabilmente a giocare un ruolo chiave nel gradimento fu la campagna pubblicitaria del manager McLaren secondo cui “non esiste una cattiva pubblicità”.

Tra censure e minacce

Richieste di censura vennero anche da alcuni membri del Parlamento, che chiesero lo scioglimento del gruppo e il divieto di vendita del disco. Ma questa richiesta, più che suonare come una seria proposta, parve ridicola e rimase inascoltata. La Virgin, l’etichetta che decise di distribuire il pezzo dopo il rifiuto della A&M, non si fece intimorire.

È una cosa meravigliosa che i parlamentari non abbiano niente di meglio da fare che agitarsi per dei dischi che non sono mai stati pensati su di loro

Dopo la messa in onda in radio, la band fu già soggetta a minacce da parte di cittadini e autorità e accusati di tradimento dalla stampa nazionale. Nella sua autobiografia John Lydon ricorda che furono assaliti da alcuni sostenitori della Regina e uno di questi cercò di pugnalarlo. Fortunatamente il colpo non andò del tutto a segno e il cantante se la cavò con una ferita alla mano.
La situazione peggiorò dopo l’esibizione sul fiume londinese. Il battello venne fatto attraccare e ci furono disordini con la polizia che arrestò undici persone tra cui i componenti della band e il loro manager.
A differenza, però, di quanto accade in Spagna con Pablo Hasel, la detenzione durò poco.
Alle accuse di odiare l’Inghilterra e gli inglesi, il frontman dei Pistols Johnny Rotten rispose con la sua solita faccia tosta, inappuntabile.

Non si scrive una canzone come God Save the Queen perché si odiano gli inglesi. Lo si fa perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati

Nonostante le minacce di morte alla band e i tentativi di censura, la canzone sopravvisse diventando un simbolo di lotta e dissenso. Il gruppo non fu mai condannato e ancora oggi John Lydon è tra i più severi critici della monarchia inglese.

Libertà d’espressione?

Pablo Hasél non ha avuto la stessa sorte e le accuse su di lui pesano e dividono la Spagna che si trova, oggi, al quinto giorno di manifestazioni. Il rapper non è il primo cantante a essere arrestato con questo tipo di accuse. Anche la Corte europea dei Diritti Umani invita il governo a rivedere la legge che permette questi tipi di arresto.

La Spagna si trova in cima ad una lista di Paesi esaminati per numero di artisti imprigionati solo nel 2019, ben 14: al di sopra di Iran, Turchia e Myanmar

La vicenda ha sollevato importanti interrogativi sulla libertà d’espressione e di dissenso, specialmente in ambito artistico, portano a riflettere sulle implicazioni di tali leggi e sulla linea sottile che separa la libertà d’espressione dall’incitamento all’odio.

 

Marianna Nusca

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