“Stati canaglia” nel conflitto arabo-israeliano

Il nemico assoluto

In seguito alla controffensiva israeliana sulla striscia di Gaza, che ha causato centinaia di vittime senza distinzione tra civili e cellule terroristiche, il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato: «Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza». Poi ha aggiunto: «Esigere un prezzo elevato dal nemico è una condizione necessaria per la nostra esistenza nella regione». La disumanizzazione del nemico non è un argomento nuovo nel linguaggio politico. Il tentativo del ministro è quello di individuare la Palestina come Rogue State, ossia lo “Stato canaglia” del conflitto arabo-israeliano.

Questo termine è tipico della politica americana, che dagli anni ’80 in poi lo ha impiegato per definire tutti quei Paesi che considerava minacce per la pace mondiale, in quanto irrispettosi verso i diritti umani e il diritto internazionale.

Il risultato era quello di una polarizzazione dei conflitti, tra chi rappresentava il “Bene”, ossia i principi democratici di libertà e legittimità, e chi il “Male assoluto”, ovvero i governi non legittimi. Per sconfiggere questo “Asse del male” (per riprendere le parole di George Bush), la guerra totale era l’unica soluzione possibile. Quindi gli scontri assumevano una portata esistenziale, nell’ottica di una “vittoria a ogni costo” per il bene dell’Umanità.

Ma nel corso degli anni il concetto di Stato canaglia ha incontrato numerose critiche. Come evidenziato da Jacques Derrida (Stati canaglia, 2003) e Noam Chomsky (Rogue States, 2000), erano evidenti i fini propagandistici con cui la politica americana impiegava il termine per legittimare le sue aspirazioni imperialiste, facendo ricorso all’uso della forza con gli stessi mezzi e modalità che rimproverava ai nemici, ma con un arsenale di gran lunga più letale. I veri “Stati canaglia” – concludevano i due filosofi – erano proprio gli Stati Uniti e gli alleati.

Una sorta di moderna legge del taglione, per cui chi si etichetta come nemico ricade automaticamente al di fuori della sfera del diritto, spogliato di qualsiasi forma di difesa e perseguito fino al suo annichilimento. Si esclude qualsiasi forma di dialogo e risoluzione diplomatica, poiché i Paesi riconosciuti come stati canaglia sono anche allontanati dallo spazio politico. Un isolamento che li costringe a cercare alleanze tra chi ha subito il loro stesso “esilio“.

Il concetto di “stato canaglia” nell’epoca del terrorismo

Il concetto di stato canaglia nel conflitto arabo-israeliano rappresenta un caso singolare di questo fenomeno politico, una sua evoluzione. Infatti, il termine mira a delegittimare un governo, un’entità politica ben definita con soggetti noti. Il terrorismo islamico ha sconvolto il concetto. La minaccia ha un volto sconosciuto. Potrebbe essere vicina, infiltrata tra le maglie della società, proprio come accaduto recentemente in Belgio. La paura delle cellule terroristiche sbiadisce i limiti della definizione, che potrebbe arrivare a comprendere tutta una popolazione.

È ciò che sta accadendo in Medio Oriente, dove la crisi umanitaria fa contare un numero preoccupante di vittime civili. Di fronte alla minaccia senza volto, ridurre in cenere un intero territorio è il metodo più sicuro per giungere a una soluzione.

Le narrazioni del conflitto

I mass media e l’opinione pubblica rispecchiano a pieno la dicotomia che la politica ci vuole presentare. Da una parte, troviamo telegiornali e quotidiani che tendono a porre l’accento sulle sofferenze del popolo israeliano e a sottolineare la natura “difensiva” della sua risposta; e dall’altra, sui social sono numerose le manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese, giustificato dai decenni di soprusi subiti e dall’occupazione illegale dei suoi territori da parte di Israele, spesso confondendo il movimento terroristico di Hamas con lo Stato della Palestina.

In particolare, si sorvola proprio sulla natura terroristica dell’organizzazione paramilitare, che si è resa protagonista di crimini anche contro lo stesso popolo palestinese, ed è stata messa fuorilegge dal presidente Mahmūd Abbās nel 2007.

Tuttavia, entrambi gli schieramenti convergono nel considerare la guerra e l’annientamento di una delle due potenze come l’unica soluzione possibile per una pace stabile.

Superare il dilemma

La logica dello Stato Canaglia poggia su quello che si può definire un “falso dilemma”. Si obbliga a fare una scelta tra due alternative che sono presentate come le uniche possibili. Da questa fallacia trae costantemente nuova linfa, e il dialogo – principio che in linea teorica dovrebbe guidare le relazioni tra Paesi – si fa sempre più monologo. Ciascuno non fa che urlare le proprie ragioni mentre imbraccia il fucile con cui copre la voce dell’altro. Ridurlo al silenzio è l’unica via per ottenere la calma.

D’altronde, come comunicare con chi non comprendiamo?

Aristotele diceva che l’uomo era un animale politico. Secondo lo stagirita, la dimensione della polis – della vita in società – e il confronto attraverso il logos – il discorso razionale – sono gli elementi che lo distinguono dagli altri animali. La frase di Yoav Gallant mira a degradare il nemico, ridurre la somiglianza a niente più che una dimensione biologica. Se la Palestina è lo stato canaglia del conflitto arabo-israeliano, non esiste dialogo.

Per chi combatte la guerra l’animale non è soggetto diritto, non parla una lingua a noi comprensibile, non fornisce ragioni. La lotta contro di lui prosegue fin quando non cade a terra stremato, mostra la giugulare e si arrende al morso del rivale. Non può essere questa la dialettica che domina i conflitti tra nazioni, specialmente nell’epoca delle armi di distruzione di massa.

Gli orrori che vediamo oggi su qualsiasi piattaforma non sono un’incomprensibile casualità. Sono il risultato di 80 anni di un mancato – vero – dialogo. Escludere la guerra come unica strada per la risoluzione dei conflitti, la forza come strumento per imporre il proprio volere, ed evitare la retorica della disumanizzazione del nemico, non sono solo doveri etici o politici. Di fronte alla minaccia sempre più concreta dello sterminio di massa indiscriminato, guardare l’altro, anche il “nemico”, come un essere dotato di dignità per il semplice fatto di avere un corpo, assume un’importanza esistenziale.

Alessandro Chiri

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