Gli scopini di Roma mai scesi in strada per i truffati da Banca Etruria, scandal Consip e il caso Sala a Milano

Di Pino Aprile


La pagliacciata degli scopini del Pd a Roma ha reso la misura della miseria politica in cui versa il nostro Paese: a stracciarsi vesti per le carte per terra è, faccia di bronzo senza limiti, il centrosinistra che, con il centrodestra, si è spolpata Roma per decenni, riducendola com’è; quel Pd con a capo lo stesso rottamatore del Paese che ha silurato il sindaco del suo stesso partito, Ignazio Marino reo (e avrebbero dovuto fargli un monumento) di aver chiuso la vergogna di Malagrotta, la più grande e lurida discarica d’Europa; quel Pd il cui segretario pigliatutto non si dimise, da capo del governo, pur avendo papà impicciato con l’appalto più grande d’Europa; lo stesso Pd che ha al governo, come estensioni del rottamatore nominato e mai eletto, una Boschi con papà sanzionato da Banca d’Italia, per i disastri della Banca Etruria e uso a chiedere consigli a pregiudicati per bancarotta fraudolenta e massoni, mentre lei figlia, a insaputa del governo, si apprende, cercava di piazzare rifilare la banca di papà a Unicredit; e al governo ha un ministro Lotti accusato di aver rivelato la presenza di microspie nell’ufficio di uno dei principali indagati, il capo del Consip, messo lì da Giglio Magico, facendo, così, abortire le indagini; un Pd che tratta l’eventuale futuro governo con il pregiudicato Berlusconi e che sta al governo con quell’Alfano che rimane al suo posto dopo che il suo ufficio di ministro dell’Interno (allora) è stato usato da un ambasciatore straniero per guidare le nostre forze dell’ordine alla cattura e deportazione di una signora e la sua bambina, l’Alfano più efficiente quale agenzia di collocazione per parenti e sostenitori alle Poste; lo stesso Pd che ha usato, per tenere al governo il rottamatore (della decenza) quel Verdini plurinquisito e con una condanna, che ha come riferimento (detto da lui) un mafioso in galera a poche celle di distanza da Totò Riina, Marcello Dell’Utri…




Eccetera, eccetera, eccetera… Sappiamo tutti che Virginia Raggi non è un fulmine di guerra ed è, come minimo, pasticciona; sappiamo che l’hanno votata i romani, che forse avrebbero votato anche Pollicino e Gambadilegno, pur di non non dare più un voto alle orde renziane; sappiamo che poteri presenti pure nelle istituzioni stanno facendo di tutto, attaccandosi a qualsiasi possibile cavillo e affiancati dalla “stampa libera” (da ogni pudore), per mostrare che i cinquestelle non sono in grado di governare (a Roma, può darsi; il guaio è che la gente vede pure che non rubano e non hanno papà in Banca Etruria o a darsi da fare con il Consip o quella Mafia Capitale che a Roma campava alla grande con destra e sinistra); sappiamo che a pretendere che ci si indigni per la Raggi a Roma è il Pd che osanna Giuseppe Sala, a Milano, responsabile del disastro e deficit dell’Expo, spacciato per successo; votato da colonne di cinesi che non sapevano nemmeno chi fosse (in cambio di cosa?); che sotto giuramento e sul suo onore (azz) dimentica di possedere villa al mare, casa in montagna, una società in Italia e una in Romania; che assume senza titoli e concorso il suo braccio destro al Comune e il concorso lo fa dopo e viene vinto dall’assunto prima; che nomina assessori il suo socio in una delle aziende che aveva dimenticato di dichiarare e una signora in conflitto di interesse e che, contravvenendo alle regole, rifiuta per mesi di mostrare la sua dichiarazione dei redditi…
Ma lo scandalo è la Raggi. E si raccattano un po’ di figuranti in maglietta per una pagliacciata che verrà diffusa da tv di Stato in mano al partito e giornali “indipendenti” dalla capacità di vergognarsi.
Il mondo cambia; potentati di ogni tipo fanno lo shopping in Italia, che fra un po’ svenderà ai cinesi o ai tedeschi o ai polinesiani anche il colosseo, lo Stretto di Messina e la Madunina di Milano (se non è già stata venduta insieme al Milan, all’Inter, ai grattacieli, alla Pirelli, alla Cementir, alla Unicredit…); e noi stiamo giocando a farci ridere dietro da Qui Quo Qua, per le trovatine da asilo mariuccia di un tale che è stato sfanculato da un referendum con cui la stragrande maggioranza dei votanti gli ha tirato addosso dei “no” tosti come pietre e che aveva giurato di andarsene “a casa” per sempre, in caso di sconfitta; che aveva teatralizzato finte dimissioni a reti unificate, mettendo a capo dello stesso suo governo di prima, un avatar che ogni giovedì deve rispondere a lui di quel che fa, perché il fanfarone, da segretario del mezzo partito che rimane (il resto, pur di non averlo più fra le palle se ne è andato), pretende di commissariare pure il governo (oltre il Bilancio in Sicilia, la Sanità in Calabria, Bagnoli a Napoli…).
E Gentiloni sottostà, invece di mandarlo al diavolo, come farebbe chiunque avesse in casa uno specchio a cui rendere conto della sua faccia. E bene ci è andata che non abbia dovuto prendere pure lui una scopa in mano, per ordine del capocomico.
Molti sono preoccupati della “deriva” che consegna il Paese “ai populisti” e si scagliano contro i “populisti”, dimenticando che comunque li si voglia chiamare e la si pensi sui cinquestelle, il loro successo è dovuto principalmente al disgusto ormai non più tollerabile per l’indecenza e l’incapacità di quelli che sono un male tale da rendere preferibile persino il presunto rischio del peggio (non essendo stati sorpresi a rubare, dev’essere vero che non sono adatti alla politica seria).
Che il Paese stia sprofondando è un fatto. Quello che disturba è in cosa, mentre chi ve lo spinge ci vuole convincere che non puzza.

Exit mobile version