Gli italiani vanno prima “fuori di casa”. L’ultima statistica, relativa al 2021, rappresenta un passo inverso ma progressivo rispetto alle precedenti tendenze. Non accadeva dal lontano 2013 che i giovani del nostro Paese decidessero di allontanarsi dalla famiglia mediamente prima dei 30 anni (ai 29,9). Per questo, i risultati dell’indagine condotta da Eurostat sorprendono.
Anche se piccolo, il cambio di direzione è appurabile, conclamato. Non meraviglia la cifra estratta, comunque “peggiore” della media UE (26,5); colpisce piuttosto la reazione, perché ci si aspettava l’inerzia.
Ora resta da stabilire: il “miglioramento” rappresenta un unicum quasi casuale, o è sentore di un nuovo cambiamento? E prima ancora, a cosa si deve la mutazione? Cerchiamo di rispondere insieme a questi interrogativi.
I motivi per un “dentro casa” duraturo
Cosa convince, talvolta costringe, un ragazzo o una ragazza under 30 a non separarsi dai propri genitori? Di cause e concause potrebbero trovarsene molte, le principali sono anche le più evidenti.
Necessità di apporto familiare, specie di tipo economico; impossibilità di saldare un altro affitto, un altro mutuo, altre spese; precarietà, incertezza, lavorativa. I primi pretesti anti-separazione sono di genere finanziario. Ai giovani se ne può fare una colpa? Più no che sì, si direbbe.
Segue come motivazione collegata, la subordinazione affettiva nei confronti di cose e persone, nei riguardi del proprio storico locale e delle proprie storiche frequentazioni; la volontà di non abbandonare la comodità della quotidianità, l’ostinato ancoraggio alla “confort zone”. Ai giovani se ne può fare una colpa? Più sì che no, si direbbe stavolta.
L’influenza del lascito culturale
Elsa Fornero, ex Ministra del Lavoro, e Tommaso Padoa-Schioppa, ex Ministro dell’Economia e delle Finanze, un tempo si avversarono contro l’abitudine all’immobilità dei ragazzi. Lo fecero con termini forse un po’ impropri: l’uno gridando alla necessità di un distacco da casa dei “bamboccioni”, l’altra definendo “choosy”, cioè viziati, gli stessi soggetti. Con i radicamenti culturali, però, non ci si confronta a suon di sfregi.
Perché anche di questo si tratta, di cultura, di modi di pensare e di vivere. Noi figli abbiamo ereditato dai nostri padri la bassa propensione al rischio. “Gli italiani sono un popolo di risparmiatori”, quanta grandezza di concetti racchiude questa frase…
Intorniato da un nucleo di risparmiatori, residente in una via di risparmiatori, circondato da un quartiere, una città, una provincia, una regione e una Nazione di risparmiatori, come potrebbe un giovane assumere l’inclinazione alla scommessa?
Poco ne sanno i critici ingiusti, che a prescindere dal contesto tacciano d’errore i più teneri d’età. In ogni caso, come al solito, la verità, e le responsabilità, stanno nel mezzo. Colpa dei presenti e degli antenati, in un rapporto più o meno di parità. Le influenze contano, come le giustificazioni, parzialmente.
I motivi per un “fuori di casa” primaticcio
Compresi i perché degli “addi tardivi”, sarà facile comprendere i perché di quelli anticipati.
Si evince dalla precitata tabella Eurostat che Svezia, Finlandia e Danimarca sono rispettivamente il primo, il secondo e il terzo Paese in cui i “fuori casa” sono più precoci. Mediamente in Svezia i giovani vanno via a 19 anni, in Finlandia a 21,2 e in Danimarca a 21,3. Cos’hanno in comune queste tre Nazioni? Come volevasi dimostrare, lì il reddito pro-capite è decisamente più alto che in Italia, ne risulta la completa diversità d’approccio alla vita. Più sicurezza, più stabilità, più tranquillità e libertà; un’altra cultura, che non ha niente a che vedere con quella nostra del risparmio.
Ma quindi, perché noi italiani ci stiamo avvicinando alla loro tendenza, piuttosto che a quella opposta di Grecia, Bulgaria, Portogallo e Croazia? Non di certo per l’assimilazione dei redditi, da quel punto di vista siamo, purtroppo, piuttosto distanti.
La verità è che pandemia e crisi monetaria hanno limitato le possibilità d’autonomia, aumentandone contemporaneamente il desiderio. Sono così scaturiti dal disagio: voglia di riscatto, progresso, avanzamento ideologico. Globalizzazione ed emancipazione, tutt’ora in corso, hanno fatto e faranno il resto.
Secondo l’ipotesi dello scrivente, il mutamento è dovuto a questo, e il segnale, non molto spiccato, della statistica, costituisce in realtà il prodromo di un divenire evoluto. Si auspica e si prevede una maggiore intraprendenza giovanile, lineata al miglioramento del pensiero e delle condizioni di vita.
Gabriele Nostro