Estrazione di minerali, petrolio, gas e attività per la produzione di energia elettrica: sono questi i settori per i quali il Presidente Jair Bolsonaro ha proposto una legge al Congresso al fine di sfruttare economicamente le terre indigene.
Cosa significa tutto ciò?
Bolsonaro vede un’opportunità per fare business nella messa a punto di progetti economici in queste regioni protette, prima fra tutte l’Amazzonia. Varie associazioni ambientaliste hanno condannato la sua politica. In particolare, lo dichiarano responsabile dell’aumento degli incendi che hanno devastato il “polmone verde del pianeta” (l’84% in più rispetto al 2018).
Così, con questo controverso progetto di legge, il Presidente brasiliano non fa altro che confermare la volontà di indebolire la voce della popolazione indigena. Le riserve di quest’ultima costituiscono più del 15% del territorio nazionale, insieme ai “quilombos”, altra comunità che abita la foresta amazzonica.
Ciò dimostra che si vuole dare priorità agli interessi industriali a scapito della salvaguardia di queste comunità storiche, ancora una volta sotto attacco.
Mais de 15% do território nacional é demarcado como terra indígena e quilombolas. Menos de um milhão de pessoas vivem nestes lugares isolados do Brasil de verdade, exploradas e manipuladas por ONGs. Vamos juntos integrar estes cidadãos e valorizar a todos os brasileiros.
— Jair M. Bolsonaro (@jairbolsonaro) January 2, 2019
Gli indigeni costituiscono lo 0,4% della popolazione: sono 900mila persone in totale in Brasile
Hanno un ruolo nella società e nel Governo del Brasile. Ricordiamo che esiste la Fondazione Nazionale dell’Indio (FUNAI) che, in particolare, si occupa di elaborare e implementare politiche riguardanti gli indigeni, mappare e proteggere le terre da invasioni.
Tra i primi atti compiuti all’inizio della Presidenza, Bolsonaro decise di trasferire la competenza sulla restituzione delle terre ai nativi dal FUNAI al Ministero dell’Agricoltura, segno ancora una volta della volontà di depotenziare la questione.
Gli indigeni sono sotto attacco per varie ragioni, tra cui la revisione della demarcazione dei confini di terre a loro uso. Inoltre, il Presidente ritiene le leggi dell’Amazzonia un “ostacolo allo sviluppo economico”.
“Sono riconosciuti agli indios la loro organizzazione sociale, costumi, lingue, credenze e tradizioni, e i diritti originari sulle terre che tradizionalmente occupano, per cui compete all’Unione Federale delimitarle, proteggere e far rispettare tutti i loro beni/risorse”, recita l’art. 231 della Costituzione federale del Brasile.
Ma come si può conciliare il principio costituzionale sopra citato con il pensiero dell’attuale Presidente?
Bolsonaro non sembra sia così disposto a dare applicazione ad “ordem e progresso” – i due termini scritti sopra la bandiera del Paese – che devono necessariamente andare di pari passo con il rispetto dei diritti umani. Nel caso in questione, dei diritti delle popolazioni indigene.
Un’ultima nota: un gruppo di giuristi, politici ed intellettuali, riuniti nella Commissione Arns e nel Collettivo legale per i diritti umani, si è rivolto alla Corte Penale internazionale dell’Aja (CPI) per denunciare, a novembre dello scorso anno, il Presidente. L’obiettivo era quello di accertare eventuali responsabilità in merito a “incitamento al genocidio”, “crimini contro l’umanità” e “crimini ambientali in Amazzonia”.
Vedremo quindi come avrà seguito la politica di Bolsonaro e, a questo punto, l’inchiesta a suo carico da parte della CPI, competente a giudicare i più gravi crimini di rilevanza internazionale.
Marta Annalisa Savino