Il mestiere dell’attore appare e si propone, nella maggioranza dei casi, come il baluardo dell’espressività. Un attore infatti può potenzialmente interpretare eroi, professionisti, personaggi complessi emotivamente e psicologicamente ed aspirare a diventare il protagonista di un film. Questo però, in Italia, sembra essere davvero possibile se l’attore in questione ha la pelle bianca e il suo aspetto è il più possibile conforme alle aspettative di un pubblico generalista. La storia è molto diversa per gli attori neri e se la loro appartenenza etnica spazia e si diversifica leggermente “da quanto siamo abituati a vedere”.
Il pubblico pretende stereotipi e il cinema italiano è molto spesso venuto incontro alle aspettative degli spettatori.
È bene ricordarsi che la conquista delle pari opportunità delle persone di colore passa anche attraverso la loro rappresentazione. Per questo è importante fare luce su quanto essa sia purtroppo molto spesso limitata da una prassi discriminatoria. La questione riguarda sia il modo in cui gli attori neri vengono rappresentati nel cinema italiano, sia la loro presenza numerica sugli schermi.
Avete mai sentito parlare di typecasting? Con questa procedura si intende un tipo di casting molto in voga, che seleziona aspiranti attori in merito alle loro caratteristiche fisiognomiche. Non si tratta di valutare dunque le loro capacità interpretative, o l’adattabilità con un determinato ruolo. L’attore o l’attrice afrodiscendente sono ingaggiati in quanto neri. Tale procedura li immobilizza così nella loro esteriorità. Capita infatti che siano scritturati attori italiani dalla pelle scura per interpretarne il ruolo di un/una africano/a. Cito per esempio Giovanni Martorana, che ne La meglio gioventù, interpreta un nord-africano. Molto spesso, non sono nemmeno scelti attori professionisti. Non è un segreto purtroppo che al pubblico basti, nella maggioranza dei casi, ricondurre a colpo d’occhio “un corpo nero” a una macro categoria, più o meno ricollocabile sotto la rassicurante etichetta generica di “immigrato”.
Avete mai notato inoltre che, quasi mai, i protagonisti di film italiani sono interpretati da personaggi di colore?
Le poche volte in cui ci sono hanno sempre un ruolo secondario. Spesso si tratta poi di personaggi stereotipati, quali il migrante, il malavitoso, la prostituta o “la bellezza esotica”, eccessivamente erotizzata e dalla forte disponibilità sessuale. Ma non è solo la qualità ad essere messa in discussione, dunque.
Gli attori neri nel cinema italiano sono pochi e, per lo più, relegati ai ruoli preconfezionati delle fiction televisive.
Un possibile miglioramento di prospettiva affinché si creino delle pari opportunità per attori di origini non italiane, potrebbe essere il blind casting per la scelta degli attori, modalità già in voga negli Stati Uniti. Ne parla considerevolmente Leonardo De Franceschi nel suo libro “Lo schermo e lo spettro. Sguardi postcoloniali su Africa e Afrodiscendenti” (Mimesis). L’autore è tra i primi ad affrontare queste urgenti tematiche.
La seconda soluzione che De Franceschi suggerisce potrebbe essere la creazione anche in Italia, su modello americano, di un vero e proprio star system afrodiscendente, che convinca i produttori a considerare l’origine africana come un valore aggiunto.
A questo si dovrebbe associare una maggiore consapevolezza politica del pubblico afrodiscendente italiano e un aumento delle produzioni filmiche di registi di origine africana.
Passi in avanti in merito, in questi ultimi anni, sano stati fatti. Cito per esempio l’attivismo di Fred Kuwornu, regista italiano di origini ghanesi e autore di Blaxploitalian (2016). Il suo film documentario denuncia proprio tale trattamento riservato agli attori africani e afrodiscendenti. L’attivismo di Kuwornu si muove nel tentativo di portare la giusta attenzione su temi quali i diritti, la rappresentazione, e il rispecchiamento del pubblico.
Come si viene rappresentati infatti influisce inevitabilmente sulla percezione che gli altri hanno di noi e allo stesso tempo condiziona anche la nostra verso noi stessi.
È recente l’annuncio di una serie televisiva Netflix in programma per il 2020, “Zero”, tratta dal romanzo di Antonio Dikele Distefano, “Non ho mai avuto la mia età” (Mondadori), la quale per la prima volta avrà protagonisti dei ragazzi italiani di origine africana. Potrebbe essere un esempio virtuoso di rappresentazione e un momento di recupero dell’agency afrodiscendente italiana? Staremo a vedere.
Claudia Volonterio