Quando la mente umana era avvolta nel mistero e la psicoanalisi non era ancora stata elaborata, gli alienisti tentarono un primo approccio allo studio di questa materia.
Prima dell’Ottocento la cura delle malattie mentali era affidata ad alcuni medici generici, farmacisti, proprietari di manicomi locali e volontari ecclesiastici.
Le medicine somministrate ai pazienti delle strutture non erano altro che un miscuglio di sostanze: una sorta di “pozione” creata appositamente per il malato.
Gli alienisti curavano i disturbi mentali ed emotivi dei pazienti, cercando di alleviare le loro condizioni e prediligevano la somministrazione di oppiacei, sedativi o dosi di calomelano( solfuro nero di mercurio).
Il loro intento era quello di sanare la psiche deviata dei pazienti attraverso l’utilizzo di sedie rotanti, bagni freddi e macchinari che provocavano degli shock improvvisi. Nel 1840, però, abbandonarono questi metodi medievali: non davano alcun riscontro e non venivano accettati dai manicomi.
Ma perché venivano chiamati “alienisti”?
Il termine alienista sembra avere radici europee, derivanti dal latino e dal francese, mentre il concetto di “alienazione” veniva utilizzato per indicare l’estraniazione. Una sorta di alienazione mentale da cui si fa risalire il termine alienista.
Questi medici studiavano la mente degli individui instabili e furono influenzati dal lavoro di Freud, Jung e di molti altri professionisti, tra cui Cesare Lombroso.
La psiche inconscia e le sue dinamiche divennero il fulcro nello studio di un nuovo metodo che avesse un approccio del tutto diverso rispetto ai precedenti.
Non si mirava a curare il paziente, ma si cercava di rilevare i meccanismi all’interno della sua mente, per arrivare a comprenderne i disturbi.
L’ipnosi fu una delle prime tecniche utilizzate per cercare di indagare sull’origine psicologica dei pazienti, ma erano davvero pochi i medici capaci di applicare questa pratica e spesso non bastava per diagnosticarne la malattia.
Per gli alienisti del diciannovesimo secolo, le persone affette da problemi mentali erano in un certo senso alienate dal proprio corpo e dalla loro vera natura. Il ruolo di questo esperto, dunque, era quello di immedesimarsi nell’alienato cercando di comprendere le ragioni del suo male e curarlo.
L’alienista, così come il moderno psichiatra, non era altro che un medico della mente; colui che tentava di approfondire le conoscenze della psiche umana.
Con il successivo avvento della psicoanalisi e della psicopatologia, Freud fondò la teoria metapsicologica: un metodo che permetteva di indagare sul funzionamento della mente, indicando la via della psicoanalisi come modello terapeutico.
Quello che Freud descriveva con il termine “dissociazione”, ossia un meccanismo di difesa progettato per alienare una parte di sé dalla coscienza, venne riscontrato anche dagli alienisti.
Essi iniziarono ad analizzare il comportamento dei malati di mente attraverso “alienazione” della personalità.
Col tempo, si iniziò ad associare la violenza e la criminalità a questo tipo di soggetti affetti da malattie mentali, e gli atti violenti vennero considerati come espressione distruttiva e patologica di una rabbia repressa all’interno di individui soli e frustrati.
In una recente serie tv dal titolo “L’Alienista”, questa figura veste i panni di un dottore di nome Laszlo Kreizler. Egli tentò di studiare e comprendere la mente malata di un serial killer che scatenò il panico nella città di Manhattan nel 1989:
Dobbiamo studiare chi erano le sue vittime, dove commette i suoi crimini e cosa fa loro esattamente, finché non avremo ottenuto un profilo ed uno schema.
Ognuna delle singole scene che mette in opera ci svelerà un aspetto nascosto della sua mente alienata.
Insomma, quello che nei primi anni dell’800 veniva denominato alienista, ricorda molto la figura dello psicologo criminale moderno: capace di entrare nella mente dell’omicida per arrivare alla soluzione del caso.
Un mestiere interessante, complesso ed ancora poco conosciuto, che suscita la curiosità di moltissime persone e che, molto spesso, diventa fondamentale per la risoluzione dei casi più complessi.
Silvia Morreale