Le hanno passate ai TG, pubblicate sui giornali, girate su Whatsapp, postate su Facebook o Instagram. Le immagini di assembramenti in piazza, risalenti al weekend appena trascorso, hanno fatto il giro d’Italia raggiungendo milioni di utenti. In questa occasione, il giustizialismo social ha dilagato oltre ogni limite. Il web si è trasformato in un tribunale, dove i colpevoli sono stati sommariamente processati a suon di commenti sprezzanti e parole d’odio. Molti dei soggetti coinvolti sono stati riconosciuti, denunciati o regolarmente perseguiti per aver violato le norme anti-contagio. Questo, tuttavia, sembra non interessare ai censori di internet: si cerca un modo di ‘farla pagare’ ai responsabili tramite una grottesca gogna mediatica. Venghino signore e signori, venghino ad assistere alla pubblica esecuzione del colpevole, o del presunto tale.
Cosa è successo
Il primo weekend di ‘libertà’ dalla zona rossa è trascorso, non senza clamore. Le misure di contenimento del Covid-19 sono state allentate e tutta la Penisola è passata in zona gialla, anche se per pochi giorni. Se è vero che nel periodo natalizio non vi sono state particolari trasgressioni alle regole, in questa fase si è invece abbassata la guardia. Complice la riapertura degli esercizi commerciali per il consumo sul posto, molte persone sono uscite e si sono creati assembramenti in corrispondenza di locali e piazze di molte città italiane. Da Palermo a Roma, da Milano a Lucca, la prima a finire nell’occhio del ciclone, circolano foto e video che rappresentano situazioni di grande affollamento. A comparire sono perlopiù giovani, nonché i principali avventori dei bar, che bevono o ballano senza indossare la mascherina.
La reazione del web
È giunta unanime la condanna a quello che (giustamente) è parso un atto di leggerezza e irresponsabilità che non possiamo ancora permetterci. Le immagini degli assembramenti in piazza sono rimbalzate di profilo in profilo, attirando orde di commenti indignati, che spesso sono sfociati in vere e proprie minacce. C’è chi ha invocato Hitler, chi avrebbe voluto un lanciafiamme o chi, come Gabriele Parpiglia, si è dedicato a scovare e segnalare ciascun partecipante. Il noto giornalista ha infatti condiviso sul suo profilo Instagram svariati video dell’accaduto, incitando i suoi 621mila followers a denunciare chiunque riconoscessero.
La legge esiste per un motivo
Doverosa premessa: la noncuranza delle norme anti-contagio è un rischio per l’incolumità comune, pertanto, deve essere soggetta a relativa sanzione. Le forze dell’ordine hanno già riconosciuto e perseguito molti dei ragazzi tramite videocamere di sorveglianza o filmati che loro stessi avevano caricato su internet. Nessuno mette in dubbio la nocività dei comportamenti avvenuti. Detto ciò, per quanto un individuo possa aver sbagliato, la sua punizione è già prevista dalla legge e non deve avvenire sul web. Si è forse sottovalutato cosa significhi esporre qualcuno all’ira di così tante persone.
Il giustizialismo social è sbagliato
Incitare il giustizialismo social è sbagliato per diversi motivi. Innanzitutto, perché diventa un fenomeno incontrollato: augurare la morte a un ragazzo che, seppur sconsiderato, ha una colpa comunque limitata, è un gesto totalmente esagerato. Eppure, questo tenore di commenti si raggiunge facilmente e la colpa non è solo degli utenti ma anche di chi getta benzina sul fuoco, ben consapevole del clima di tensione che si può creare. In secondo luogo, la giustizia del web è sommaria. Non vi sono processi, accertamenti, prove. Semplicemente ci si scaglia contro il colpevole di turno, o quello che si ritiene tale.
Le conseguenze dei processi sommari
Un esempio è quanto accaduto a una ragazza di Lucca, che agli assembramenti in piazza di questo weekend non era neppure presente. Dopo aver mosso una critica sotto un post di Gabriele Parpiglia, la giovane ha visto la sua foto e la sua identità rivelate dal giornalista, che l’ha dichiarata come un’untrice orgogliosa di esserlo e ha esortato i suoi seguaci a segnalarla. All’autrice del commento sono arrivati decine di messaggi, da ‘spero che tu prenda il Covid’ a ‘dovete morire’, solo per aver espresso la propria opinione.
Troppo facile cedere all’indignazione
È questa una gogna scandalosa, che sta prendendo sempre più piede anche grazie a chi se ne serve per acquisire notorietà. Bisognerebbe riflettere sul sottile confine che c’è fra il fare informazione, condannando in maniera rispettosa una scorrettezza, e l’intessere scandali fini a sé stessi, nocivi per chi li subisce ma anche per chi li asseconda. Sì, perché da parte nostra, in quanto avventori medi del web, dovremmo impegnarci a superare l’iniziale impulso a insultare, a denigrare, a porci sullo scranno del giudice. È forse troppo facile cedere interamente all’indignazione e lasciarsi accecare da essa. Gestirla e renderla il propulsore di un dibattito costruttivo e argomentato è il difficile. Solo così si potrà sviluppare un pensiero critico che non può essere manovrato verso il colpevole di turno.
Alessia Ruggieri