Giuseppe Cruciani e affini: libertà di espressione sempre? Ma anche no!

Giuseppe Cruciani

Giuseppe Cruciani e la paura del bavaglio inesistente

La notizia di Elon Musk intenzionato ad acquisire Twitter ha interrogato diversi opinionisti sulla libertà di espressione nei social. Ergendosi a guardiano della democrazia (sic!), il proprietario di Tesla alimenta le speranze di molti, dai seguaci della post-verità di Trump ai liberali convinti. Per non parlare poi di quelli che “non si può più dire niente”, anch’essi liberali, spaventati dalle famigerate lobby gay e dalle femministe pelose. Insomma, la fauna che altri non ha come guru se non Giuseppe Cruciani.

Il modello Giuseppe Cruciani

Il conduttore radiofonico del programma La Zanzara si autoproclama portatore della libertà, libertà e ancora libertà. Sceneggiata tipica dello show: Giuseppe Cruciani cita l’ultimo colpaccio del politicamente corretto, snobbando l’offeso e proteggendo la libertà, libertà e ancora libertà di colui che offende. Nulla di strano, per carità, il format del giornalista di Radio 24 è un Fight Club che fa dell’anarchia la sua bandiera. Per vocazione di Cruciani? Forse, ma soprattutto perché l’emittente non disdegna il successo del programma. Ed è la stessa emittente a fissare dei paletti, per quanto minimi possano essere. Ad esempio, non sentirete mai Giuseppe Cruciani pronunciare blasfemie mentre è in onda. Questo per dire che anche i più libertari non dispongono di una facoltà di parola sconfinata.

Il modello “Giuseppe Cruciani” è fallace sui social

Tornando ai social, alcuni vorrebbero applicare il modello Giuseppe Cruciani alla libertà di espressione in rete. Ricordate? Libertà, libertà e ancora libertà. Addirittura si tira in ballo la salute della democrazia, affermando che il dibattito pubblico sia l’essenza di questa istituzione. Ebbene, occorre forse precisare una cosa: la libertà di espressione non è illimitata nei media. La nostra Costituzione garantisce ai cittadini la libertà di esprimere le proprie idee, dato che in Italia non abbiamo né i cechisti né le SS. Tuttavia, quando si parla di social, bisogna considerare anche la natura del medium usato per esprimersi. Un social è prima di tutto un’azienda, quindi ha delle regole che gli utenti devono rispettare per usufruire del servizio che essa offre.

La natura dei social

Aziende come Twitter fanno del traffico dati la loro fonte di guadagno principale. Come ben sappiamo, una parte di questi viene venduta a terzi per scopi pubblicitari. Quindi è logico che l’azienda deve far sì che circoli il maggior numero possibile di dati all’interno della propria piattaforma. Per questo è abbastanza improbabile che una piattaforma come Twitter calchi troppo la mano con azioni di censura e di eccessiva moderazione, dato che andrebbe contro il suo stesso interesse!

La reputazione dell’azienda

Allo stesso tempo però, l’azienda  deve salvaguardare la propria immagine pubblica. Questo per non perdere la fiducia dei brand con i quali collabora, intenzionati anch’essi a difendere la loro reputazione online. Sarà quindi necessario, in alcuni casi, moderare i contenuti che circolano sulla piattaforma, affinché quest’ultima non diventi un covo di matti e di estremisti. In fin dei conti, non si tratta mica di democrazia, ma piuttosto di semplice logica aziendale. Anni fa fece discutere il caso dell’affare saltato tra Disney e lo youtuber PewDiePie, a causa di alcune battute a sfondo antisemita dell’influencer svedese. Evidentemente, la credibilità ha sul web più azioni in borsa di Elon Musk.

L’egocentrismo del finto dissidente

I social sono così radicati nella nostra identità che ci portano a far coincidere il mondo reale con quello virtuale. Reati a parte, in Italia nessuno vi porterà in Siberia per una presa di parola in pubblico: le nostre sono piazze democratiche. Anzi, aggiungo io, certe volte pure troppo. Altrimenti come si spiegherebbero i nostalgici che si recano a Predappio ogni anno? La democrazia però non ha come effetto naturale anche la libertà di espressione illimitata nei media. Questo perché in un modello privato è l’azienda del medium stesso a legiferare sulle proprie dinamiche interne. Altrimenti, sarebbe come dire che, in nome della democrazia, bisognerebbe cacciare i direttori dai loro giornali. Si può essere critici con alcune falle dell’informazione, certo, ma la vera forza  di un’informazione libera è il pluralismo delle fonti.

Le premesse per un’altra Capitol Hill

Constatato ciò, è facile intuire che l’insofferenza verso quei pochi limiti alla libertà di espressione su Internet non deriva da un guasto della democrazia, bensì dalla polarizzazione culturale che ha peggiorato la qualità del dibattito. Basti pensare al tentato colpo di Stato a Capitol Hill da parte dei seguaci della post-verità. Per non dilungarci troppo, limitiamoci a dire che è consolidata tra gli studiosi l’idea secondo cui gli algoritmi dei social chiudono l’individuo sulle sue idee, portandolo a isolarsi dalla maggioranza opposta alla sua. Il confronto non è contemplato nell’era dello storytelling egocentrico.

Uno vale… uno no

Con una visione così distorta della realtà, è facile cadere nell’idea secondo cui tutte le opinioni sono uguali. Purtroppo, la possibilità di dire la propria sul web ha convinto molti che il loro giudizio possa scavalcare il rispetto per il prossimo. Oppure, che una notizia falsa valga come una verificata. Uno vale uno, ma non ne vale la pena. Provate a conversare con un redpill, oppure con un terrapiattista: vi assicuro che non sarà affatto divertente. E come in ogni zona grigia, qui nascono i paradossi. Suscita una certa tenerezza l’immagine di un neofascista censurato che si appella alla libertà di espressione in nome della democrazia. Il bue che dice cornuto all’asino.

Una società censurata. Sì, come no…

Guardiamo ai fatti: a ottobre scorso un corteo fomentato da un partito di estrema destra ha guidato l’assalto alla sede di un sindacato, sito presso la capitale del nostro Paese, simbolo del Potere statale e della politica. Anche i già citati cortei a Predappio non sembrano badare a rischi e si svolgono alla luce del sole. Questo per dire cosa? Che parlare di censura significa non conoscere la realtà dei fatti. Se siete mossi da spirito pasoliniano e volete addentrarvi nel sottobosco del disagio, sappiate che non vi sarà difficile reperire certi personaggi. Non occorre allestire un freak show anche su Twitter.

From Russia with dezinformatzija

Nel mondo reale, quindi non in quello di chi vive e prospera sotto un forum estremista, la libertà di parola è sacrosanta e tutelata. Ma c’è dell’altro: alcune teorie bislacche potrebbero trovar perfino spazio nella collana di una casa editrice. Ci sono aziende che producono mangime di menzogne per darlo in pasto ai complottisti ( eccone una). Tale propaganda è spesso ricondotta a variopinte tecniche di guerra ibrida che alcune autocrazie conducono contro le democrazie liberali. Qui emerge un’ironica contraddizione: i poteri forti, quelli veri, portano i cospirazionisti a lottare contro altri fantomatici poteri forti. Il padrone che inganna il gatto a inseguire un punto laser sulla staccionata di casa sua.

Morale della favola

L’idea di stampo liberale del dare a tutti la libertà di espressione non deve essere confusa con le chiare e semplici regole che un’azienda adotta per preservare la sua credibilità. Caro amico, il mondo non ha bisogno dell’ennesimo cinguettio idiota.

Schizofrenici del politicamente corretto, non abbiate paura, che qui nessuno vuole mettervi in gattabuia.

Matteo Petrillo

 

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