L’archivio segreto del boss Giuseppe Auteri, scoperto a seguito del suo arresto, rappresenta una vera e propria miniera di informazioni. Un insieme di dettagli inquietanti, numeri e nomi che permettono di ricostruire, pezzo per pezzo, la struttura della criminalità organizzata che egli gestiva con mano ferma nel quartiere di Porta Nuova a Palermo. La sua cattura, avvenuta nella piccola abitazione di via Giuseppe Recupero, ha avuto un’importanza cruciale per le indagini, rivelando non solo le modalità di gestione delle sue attività illecite, ma anche la fitta rete di contatti che collegavano il boss ad altri esponenti di spicco della mafia palermitana.
La scoperta dell’archivio: un’intuizione decisiva
Quando i carabinieri hanno arrestato Auteri, il latitante ha cercato disperatamente di sbarazzarsi di alcuni fogli, lanciandoli nel pozzo luce del suo rifugio. Nonostante il suo tentativo di occultamento, i militari del Nucleo investigativo del Reparto operativo sono riusciti a recuperare i documenti.
La svolta investigativa è arrivata grazie a un’intuizione fondamentale: gli agenti hanno notato la presenza di alcuni segni grafici latenti sulle pagine, residui lasciati da una scrittura precedente. La Procura di Palermo, che sta analizzando minuziosamente l’archivio, è ora certa che si tratti di una vera e propria contabilità del boss, che conferma il suo ruolo di capomafia nel mandamento di Porta Nuova e offre nuovi spunti per ulteriori indagini.
I segreti nei fogli: una mappa delle attività illecite
L’archivio recuperato è composto principalmente da fogli di carta su cui sono annotati nomi, soprannomi e cifre, ma anche simboli e segnali criptici che solo un esperto poteva riuscire a decifrare. Alcuni dei numeri e delle lettere riportate sui documenti sono già stati identificati, mentre altri restano un mistero su cui si sta ancora indagando.
Le cifre variabili, che spaziano da 1.500 a 32.500 euro, sembrano fare riferimento agli incassi del traffico di stupefacenti, una delle principali fonti di guadagno del boss Auteri. Si può facilmente dedurre che dietro queste annotazioni ci sia la gestione di una vera e propria rete di spaccio, con legami stretti con altri membri della criminalità organizzata.
Il pizzo: le attività commerciali sotto il controllo del boss
Ma l’archivio non riguarda solo il narcotraffico. Accanto ai nomi degli spacciatori, si trovano anche quelli di commercianti, negozianti e imprenditori che, sotto la pressione della mafia, pagano sistematicamente il pizzo. I documenti contengono riferimenti a numerosi esercizi commerciali palermitani, alcuni dei quali ben noti: dalle storiche attività di corredi e abbigliamento a pub e ristoranti, fino a tabaccherie e negozi di articoli per la casa.
L’ipotesi che i titolari di queste attività siano stati obbligati a versare denaro alla mafia per evitare ritorsioni non è affatto remota. Le cifre variano da 150 a 3.000 euro, con una precisa annotazione che suggerisce che i pagamenti siano stati richiesti in occasioni particolari come Natale e Pasqua, periodi in cui il racket mafioso è solito “batte cassa”.
A ciò si aggiunge la nuova forma di estorsione sempre più diffusa, la cosiddetta “riffa”: i commercianti sono costretti ad acquistare biglietti per delle estrazioni, un metodo che consente ai mafiosi di mascherare il racket come una pratica di beneficenza o intrattenimento. L’introduzione di questa modalità di estorsione rappresenta un’ulteriore evoluzione del controllo mafioso sul territorio, che si è adattato alle esigenze e alle sensibilità sociali del contesto palermitano.
Le figure di spicco della criminalità
Un altro aspetto rilevante che emerge dall’archivio di Auteri è la lista delle persone detenute che riceverebbero sostegno economico dalla cassa del mandamento. Tra questi, spiccano nomi noti nell’ambiente mafioso: Gioacchino Pispicia, alias “Jaki“, Salvatore Pispicia, noto come “Pisp“, e Tommaso Lo Presti, uno dei capi mafia più temuti, soprannominato “il pacchione“. Ma ci sono anche altri nomi legati a personaggi di spicco, come Gaetano Badalamenti, noto per il suo coinvolgimento nel pizzo e nei traffici illeciti.
A questi si aggiungono figure come Onofrio Toni Lipari, coinvolto in processi per omicidi e Paolo Calcagno, che ha ricoperto ruoli di vertice nel mandamento mafioso. Le indagini stanno cercando di capire con maggiore precisione il grado di coinvolgimento di questi individui, non solo nell’ambito delle estorsioni e delle attività illegali, ma anche nelle dinamiche interne alla Cosa Nostra palermitana. L’archivio potrebbe rivelare legami e strategie più ampie di quanto immaginato fino a ora.
Il lato umano del boss: dettagli privati e curiosità
Mentre l’archivio di Auteri svela in dettaglio la sua vita criminale, emergono anche particolari più personali e inaspettati. Tra le annotazioni, infatti, ci sono anche segnali di una vita privata che non era completamente estranea alla sua figura di mafioso. Auteri, ad esempio, aveva un particolare gusto per la cucina: tra le sue preferenze culinarie figurano cozze e vongole, alimenti che gli venivano recapitati durante il suo periodo di latitanza.
Questo dettaglio, seppur marginale rispetto agli altri, contribuisce a dipingere un quadro complesso della sua figura, fatta di violenza, ma anche di piccole abitudini quotidiane che lo rendevano, in un certo senso, più umano e vicino al tessuto sociale.
Un’indagine che continua
L’archivio di Giuseppe Auteri rappresenta una delle scoperte più rilevanti nelle indagini sulla criminalità organizzata a Palermo. La sua contabilità, i nomi e le cifre che emergono dalle pagine recuperate dai carabinieri potrebbero infatti rivelarsi fondamentali per ricostruire non solo la vita del boss, ma anche l’intero sistema di potere mafioso che ha caratterizzato il mandamento di Porta Nuova. Le indagini sono ancora in corso, ma ciò che emerge è un quadro inquietante di un’organizzazione criminale ben radicata nel territorio e che, ancora oggi, continua a esercitare un forte controllo su numerose attività economiche della città.