Era il 2016 quando il nome di Giulio Regeni si aggiungeva a quelli dei tanti ragazzi vittime di sparizione forzata in Egitto. Lo scorso 28 novembre la Procura di Roma, dopo oltre due anni di indagini, ha formalizzato l’iscrizione nel registro degli indagati di sette agenti dei servizi segreti egiziani.
Giulio Regeni, 28 anni, si trovava al Cairo per completare il suo dottorato di ricerca sui sindacati indipendenti egiziani per conto dell’Università di Cambridge. Il giovane triestino è sparito in circostanze misteriose il 25 gennaio 2016. L’ultimo avvistamento di Giulio lo collocava presso la fermata della metro in attesa di un amico. Dopo giorni di ricerche, viene trovato cadavere lungo la strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria.
Il corpo, rinvenuto il 3 febbraio 2016, portava i segni di giorni di torture. Aveva tagli sul naso e sulle orecchie, ferite alla testa, lividi e segni, riconducibili a delle lettere, incisi sulla pelle. Paola Deffendi, madre del ricercatore, ha dichiarato:
L’ho riconosciuto dalla punta del naso. Giulio non era in guerra, faceva ricerca e l’hanno torturato.
I magistrati di piazzale Clodio sono fermi ad un vicolo cieco. Senza la collaborazione delle autorità del Cairo, a cui spetta la titolarità dell’inchiesta, non è possibile proseguire le indagini. Neanche l’interruzione delle relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano, promossa da Roberto Fico lo scorso 29 novembre ha sortito gli effetti sperati.
Secondo quanto emerso dalle operazioni congiunte dagli investigatori di Ros e Sco, sulla base delle indagini tecniche e dai tabulati telefonici, sette agenti segreti del Cairo avrebbero seguito e monitorato i contatti, le frequentazioni e i movimenti di Giulio Regeni tra il dicembre 2015 fino a pochi giorni prima della sua scomparsa.
Facciamo il punto sulle indagini
I dati, forniti dal Procuratore Giuseppe Pignatore e dal pm Sergio Calaiocco, rivelerebbero un’attenta operazione di intelligence cominciata l’11 dicembre 2015. In tale data Giulio, unico occidentale presente, era stato fotografato nel corso di un’assemblea sindacale.
Quattro giorni dopo l’agente della Ns Mhamoud Najem, stretto collaboratore del colonnello Helmy, tentò di recuperare, senza successo, una copia del passaporto di Regeni dal coinquilino del ragazzo. La medesima richiesta venne inoltrata al portiere del palazzo dove abitava il ricercatore friulano. Ad attirare l’interesse dei servizi segreti era stato Mohamed Abdallah. Il leader del sindacato degli ambulanti avrebbe segnalato il giovane come “spia” ai servizi segreti egiziani. Secondo il leader del sindacato, la Fondazione Antipode avrebbe stanziato ben 10 mila sterline, per consentire al ricercatore di portare avanti un dossier sui movimenti sindacali indipendenti. Circostanza smentita dalla stessa Fondazione, secondo cui Giulio non avrebbe avuto ne tanto meno richiesto fondi.
Il 7 gennaio 2016, di ritorno dalle vacanze in Italia, Giulio si sarebbe incontrato con Abdallah. Il leader degli ambulanti, munito di appositi apparecchi, videoregistrò la conversazione. Nel corso dell’incontro Giulio Regeni si accorse che l’uomo era più interessato agli ipotetici fondi che al destino del movimento sindacale. Il colonnello Kamal, aggiornato sull’esito dell’incontro, avvertì la National Security. I cui esponenti mantennero stretti contanti con il leader sindacale, fino alla scomparsa di Regeni.
Nonostante quanto emerso dalle indagini le autorità giudiziarie egiziane non ritengono gli elementi di prova sufficienti per procedere ad un iscrizione sul registro degli indagati dei nomi forniti dalla Procura di Roma.
Amnesty International e la fiaccolata in memoria di Giulio Regeni
Amnesty International ha organizzato per il 25 gennaio 2018 una fiaccolata in memoria di Giulio. Sono oltre 100 le piazze italiane che hanno deciso di aderire all’appello. L’organizzazione no profit è impegnata dal febbraio 2016 con La Repubblica in una campagna volta a tenere sempre viva la memoria sull’omicidio del giovane ricercatore, cosicché il caso non finisca per essere dimenticato tra le tante inchieste in corso. In una nota ufficiale di Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, si legge:
Noi proseguiamo a coltivare una speranza: che quell’insistere giorno dopo giorno a chiedere la verità, quelle iniziative che quotidianamente si svolgono in Italia e non solo producano il risultato che attendiamo: l’accertamento delle responsabilità per la sparizione, la tortura e l’uccisione di Giulio. Quella verità la deve fornire il governo egiziano e deve chiederla con forza quello italiano.
In occasione del terzo anniversario dalla scomparsa di Giulio, la speranza è quella che sia l’ultimo senza conoscere la verità sulle vicende che lo hanno portato a quella terribile morte.
Emanuela Ceccarelli