GIÙ IL VELO I TABÙ NON SI DIFENDONO

Di Rosanna Marani

 

Nei giorni scorsi abbiamo letto una importante sentenza Ue dell’avvocato generale Juliane Kokott in una causa presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Velo sul posto di lavoro, l’azienda potrà vietarlo. Corte Ue verso ammissibilità: “Non è discriminazione”.

Una donna di fede musulmana Samira Achbita, ha citato l’azienda in cui lavorava per essere stata licenziata dopo il suo rifiuto di rinunciare all’hijab, e in Belgio ha perso sia in primo grado che in appello. Per l’avvocato generale il divieto non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione

Come dire: Vuole lavorare? Si tolga il velo, altrimenti sarà respinta dalle aziende che per assumerla le chiedono di non indossarlo sul posto di lavoro.

Mi sia concesso di ragionarci un po’ su.

Il ricorso lo avremmo dovuto fare noi donne. Nel ricorso si faceva uso della parola discriminazione.

Discriminazione, si, ma la nostra verso di lei.

Perché è questa signora che discrimina noi donne.

Se vado nel paese dove la donna è considerata poco più che una appendice maschile, ho l’obbligo di indossare la palandrana per coprire la mia presunta vergogna di essere nata donna.

Per soggiornare, per cercare lavoro. Ammesso che desideri ripiombare nel Medioevo dove donna era sinonimo di strega. E se era un essere, era un immondo essere.

Bon, nell’ipotesi di un mio soggiorno in territorio che considero retrogrado ed ostile, mi adeguerei ai costumi locali per educazione.

Per dovere di ospitalità.

Non esibirei neppure uno straccetto di crocifisso per testimoniare la mia appartenenza ad una religione.

La religione mi pare, sia una scelta ed un fatto privato. Intimo.

Dunque perché devo accettare un compromesso con una persona di sesso femminile che è arrivata in Europa per viverci, che non si adegua al nostro modo di manifestare la nostra civiltà?

I Governi dovrebbero impegnarsi maggiormente a scolarizzare coloro che dimorano in Europa, per informarli sulle vigenti nostre regole di comunità, organizzando la loro frequentazione a corsi di apprendimento, perché possano adeguarsi ai nostri usi e costumi.

I nostri figli, i nostri clienti potrebbero manifestare paura, imbarazzo, disagio ad essere accolti da persone paludate che offrono con il loro abbigliamento, una palese sottomissione a idee di convivenza tra uomo e donna lontano un abisso dalle nostre idee.

Noi donne, da sottomesse ad antichi tabù, vilipese da una eternità, ci siamo liberate dalla repressione, mettendoci la faccia e le battaglie e le sconfitte e la tenacia per ottenere pari dignità.

Dignità che col nostro esempio, siamo liete di offrire a quelle donne che desiderano affrancarsi.

Non a chi insiste nel portare una maschera di velo ed ha la pretesa di essere nel giusto.

La Rosa Scarlatta, qui nel nostro mondo, l’abbiamo scucita dalle camice di forza della disuguaglianza con cui ci teneva in ostaggio, il maschilismo.

E non abbiamo intenzione di chiudere un occhio.

Il buonismo lo abbiamo sepolto sotto la croce che ci siamo tolte dalle spalle.

E allora, si ha la ventura di nascere o si decide di abitare in Europa?

Ci si attenga alle norme del paese che offre ospitalità. E che dimostrano quale sia il ruolo di una persona di sesso femminile, libera. Una donna, persona autonoma. E si coltivi la propria religione in seno, senza farne una bandiera, in una società che per essere civile deve essere laica, nel rispetto di tutti.

Qui, i tabù, non hanno ospitalità.

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