Non mi approcciavo ad un articolo da mesi ormai. Tuttavia oggi ho sentito l’esigenza di trasformare ancora una volta i pensieri che saettano nella testa in parole scritte.
Sapete, la scrittura è prima di ogni altra cosa luogo di denuncia. È rivolta, manifestazione. Rivoluzione talvolta.
Oggi, la mia, è necessità di dissentire. Necessità di dissentire, prendere le distanze, denunciare le accuse rivolte a Mimì Lucano, Mimì il Curdo, Mimì l’Afghano. All’uomo che ha attratto l’attenzione del mondo su di sé per la creazione di un modello di integrazione perfetta, ove riecheggiano ovunque le parole “emergenza”, “sicurezza”, “terrorismo”.
Dissentire dalle infamanti accuse ricevute da un ordine dello stato. A partire dalla contestualizzazione della realtà dove vengono mosse. Un luogo pieno di contraddizioni e di interessi contrapposti che si intersecano tra ‘ndrangheta e politica. Non credo si debba aver paura di dirlo. È questa l’unica arma che abbiamo a disposizione.
Le accuse mosse, nella fattispecie, sono di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Ue, concussione e abuso d’ufficio”. Le indagini partono dalla relazione redatta in seguito all’ispezione della Prefettura di Reggio Calabria, che rileva delle “irregolarità amministrative”. “Irregolarità” che in soldoni riguardano i “bonus” e le “borse lavoro”, una redistribuzione dei 35 euro concessi per la gestione dei richiedenti asilo “responsabile”.
Come scrive Paolo Pollichieni su Il Corriere della Calabria:
“In molte circostanze gli interessi della malapolitica convergono con quelli della massomafia. Anche a prescindere da un diretto accordo, pochi dubitano sul fatto che togliere di mezzo il “modello Riace” significa incontrare i desiderata di chi rivuole il controllo del territorio, un territorio “bonificato” dal sogno di Mimmo dei curdi e liberato dai progetti di Lucano l’afgano. Soprattutto se quel “sogno” e quei “progetti” minacciano, ogni giorno di più, di potersi incontrare e diventare realtà.”
Io sono una cittadina riacese. Ho visto la realtà del modello Riace, il modello celebrato dal mondo intero e che è valsa la citazione a Mimì sul Magazine Fortune tra i 50 leader più influenti al mondo, nascere, crescere, evolversi, affermarsi.
Ho visto il mio paese rinascere, il suo borgo tornare a uno splendore che ricorda altri tempi, le antiche botteghe rianimarsi. Riace ha conquistato un’anima.
Nessuno può capire quanto la multiculturalità sia possibile se non è stato a Riace. Nessuno sa quanto la multiculturalità sia un valore aggiunto se non è stato a Riace.
L’ironia vuole che prim’ancora del modello Riace, prim’ancora della scoperta dei Bronzi, Riace fosse famosa per la festa dei suoi santi e il pellegrinaggio al Santuario lì collocato.
I Martiri Cosma e Damiano, esuli medici siriani. È quasi ironico pensare come Riace fosse quasi predestinata a realizzare un destino da paese d’accoglienza. E il suo autore è stato quello stesso sindaco che oggi è stato investito di accuse ben più gravi di quelle ricevute dai protagonisti dei comuni sciolti per mafia.
Un luogo d’interessi contrapposti la Calabria. Così bella, così variegata, così sensibile, donna passionale e sempre viva. Eppure così dannata.
Il docufilm “Un paese di Calabria” un anno fa celebrava il modello dell’integrazione perfetta. Ora il timore che i burattinai dei giochi di potere nella regione delle contraddizioni vogliano sbarazzarsi di qualcosa di scomodo sembra sempre più plausibile. Ciò che è sconcertante è che tuttavia le accuse provenga dai burocrati della cosa pubblica.
Ho mosso delle critiche quando lo ritenevo giusto, ma ho riconosciuto la validità di un modello quando è nato. Un modello che nessun burocrate potrà mai distruggere, perché nel momento in cui è stato realizzato ha creato speranza. Come il valore del precedente nella giurisdizione anglo americana. Tornerà a splendere.