Orgoglio vuol dire cercare di alzare la testa e finalmente avere una faccia

Giovanna Pala Ultima Voce

‏Il titolo, tratto dal libro di Anna Segre, è un richiamo all’importanza di raccontare la storia di persone che, per affermare sé stesse e la libertà individuale, hanno dovuto sacrificare molto. Lo dobbiamo a quelle persone, perché è grazie a loro se oggi abbiamo la libertà, la forza di alzarci la mattina con meno paura di affermarci. Una dei tanti esempi è Giovanna Pala, ex attrice italiana che ha abbandonato il cinema per dedicarsi alla lotta politica femminista e lesbica e che, forse, un po’ è stata dimenticata.

Astro nascente

Giovanna Pala nasce nel 1932 a Vergato, debuttò nel cinema negli anni cinquanta dopo aver vinto Miss Italia interpretando ruoli della commedia tipica italiana lavorando insieme ad alcuni grandi personaggi del cinema italiano come Totò, Alberto Sordi e Carlo Giustini. Nell’epoca d’oro di cinecittà è stata ritenuta tra le donne più belle d’Italia grazie al suo arrivo al secondo posto di Miss Europa.

Era chiaro a tutti e tutte: Giovanna Pala aveva in serbo un futuro prosperoso di diva ben incastonata nel ruolo di donna e attrice, finché non si scoprì avesse una storia con una donna, anche lei attrice di una certa notorietà, che per copertura si sposò con un divo sotterrando la questione col matrimonio.

In un’intervista Pala racconta la difficoltà di quel rapporto che doveva necessariamente rimanere segreto, un rapporto di cui entrambe avevano paura. Di conseguenza, ci si teneva legate alla figura di un uomo per non destare sospetto e, soprattutto, per arginare la possibilità di perdere tutto. Così anche lei si sposò ed ebbe una figlia.

Da cinecittà al lesbofemminsimo

Nonostante abbia provato a rimanere fedele al ruolo in cui doveva immedesimarsi, non ci riuscì. Così tra scandali, drammi e un ricovero per una crisi di nervi, Giovanna Pala dichiara di essere lesbica e si ritira nel 1956, dopo undici film, dal mondo cinematografico per dedicarsi attivamente a una vita politica, insieme alla sua compagna conosciuta nel 1958.

Si unisce al circolo femminista “Pompeo Magno” di Roma di cui diventa la principale animatrice; nel 1971 partecipa alle manifestazioni femministe a Parigi alzando le mani con il simbolo che poi divenne il principale della seconda ondata femminista: risulta sia stata la prima donna italiana a esporlo pubblicamente rifacendosi alla rivista francese “Le torchon brule” e, per questo, l’Espresso le dedica la copertina con una foto che la ritrae nel gesto.  Nel 1977 , in un’intervista fatta per il libro “Ecrits, voix d’Italiedi Michèle Causse e Maryvonne Lapouge, si dichiara apertaemente lesbica… Per niente scontato per l’Italia di quei tempi, no?

Insomma, Giovanna Pala è esempio emblematico di chi, per scegliere sé stessa, ha rinunciato alla propria carriera artistica nel nome della libertà individuale.

“Per fare questo bisogna avere il coraggio di scoprirsi… Far saltare questo nuovo moralismo castratore… Accettarsi per quello che si é…”

Cosa ci insegna Giovanna Pala?

Ci insegna la possibilità di un cambiamento, anche quando sembra non ce ne sia uno. Seppur attivista durante la seconda ondata femminista, la quale escludeva in larga parte molte altre identità e comunità marginalizzate, Pala è stata un forte impatto per l’Italia di quel tempo. Non aveva paura di usare la parola “lesbica”, anzi, la spiattelava in faccia a chiunque per normalizzarla e, in maniera precoce, aveva compreso a quanta difficoltà, spesso, ci sia nel liberarsi dai ruoli imposti dalla società patriarcale: la maggior parte delle volte ci si ritrova a dover combattere quotidianamente col giudizio paternalistico di chi crede inappropriato, anormale, una donna che non abbia bisogno di un uomo al suo fianco.

Ciò non significa che si debba sempre rinunciare a ciò che si ha per lottare – perché ricordiamoci che non tutte le persone hanno la stessa possibilità e/o la stessa storia -, ma che non si deve mai dimenticare l’importanza dell’autoaffermazione per costruire una società fatta di individui liberi.

Insieme a Pala, in Italia, ci sono state molte altre che hanno dato la loro vita per questo ed è doveroso menzionarle: Mariasilvia Spolato, Edda Billi, Liana Borghi e moltissime altre che ancora continuano a dare sé stesse per questo processo di cambiamento.

Autoaffermazione e linguaggio

La questione di porre il linguaggio accanto alla lotta politica, in realtà, è emersa recentemente. Destrutturando la narrativa patriarcale, eteronormativa e coloniale, si è compreso che sul linguaggio si adagia e agisce la realtà sociale. Esso è ancor più inserito nelle dinamiche di potere dando prova di come le parole veicolano i valori su cui la società si basa.

Perciò, alle prime avvisaglie del nuovo governo che, sicuramente, farà il suo meglio per cominciare a costruire un linguaggio basato sulla cancellazione di identità che (secondo loro) non rientrano nella norma, è importante usarlo come strumento di affermazione per uno spazio che ci spetta.
Il “corpo politico” va ad interrelazionarsi con l’uso di determinate parole per far sì che quest’ultime non sembrino più strane o fuori luogo (es. la parola “lesbica” che sembra faccia troppa paura alla sola enunciazione) e si inseriscano nel gergo comune, in ogni spazio fisico e non, per ricostruire una società in cui i gruppi minorizzati e oppressi non debbano più convivere con il vocabolario della società dominante -quella patriarcale- in cui esiste un solo binomio: normale/differente. 

Giusi M. Puglia

 

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