Una vita dedicata agli altri

 

di Roberto Allegri 

 

La scomparsa di Giovanna Cavazzoni, fondatrice di VIDAS che da trent’anni assiste gratuitamente i malati terminali.

Il 19 maggio scorso si è spenta a Milano Giovanna Cavazzoni. Aveva 85 anni. Non era un’attrice famosa o un personaggio televisivo ospite fisso dei rotocalchi. E alcuni la ricorderanno solo perché era stata la ex moglie di Claudio Abbado, il grande direttore d’orchestra. Ma la verità è che la signora Giovanna è stata una donna eccezionale, una delle donne più straordinarie che abbia mai incontrato. Aveva infatti dedicato la vita alle persone sofferenti creando VIDAS, un’associazione che da trentatrè anni offre assistenza completa e gratuita ai malati terminali e alle loro famiglie.
VIDAS è oggi un vero gioiello nel campo della solidarietà. Opera a Milano, Monza e in 103 comuni dell’hinterland con equipe di professionisti specializzati in Terapia del Dolore e Cure Palliative, che col massimo impegno accompagnano le persone nell’ultimo tratto della vita con competenza, amore e dolcezza. E per i casi più delicati, per i malati che non possono essere seguiti nella loro casa, VIDAS mette a disposizione un hospice all’avanguardia con venti stanze attrezzatissime. Per molti anni la signora Giovanna aveva mantenuto il ruolo di presidente dell’Associazione ma l’anno scorso aveva lasciato il posto a Ferruccio De Bortoli, già direttore del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera, e attualmente presidente della casa editrice Longanesi.
“I bisogni dei malati non sono solo di tipo fisico”, mi aveva detto la signora Giovanna pochi mesi fa, l’ultima volta che ero stato a trovarla. “C’è anche il dolore dell’anima, c’è la solitudine, ci sono famiglie disagiate che non riescono ad occuparsi di chi soffre, c’è la disperazione. Noi cerchiamo di venire incontro a tutto questo.”
Come ho detto, ho avuto il privilegio di incontrare Giovanna Cavazzoni in diverse occasioni. Era un piacere stare ad ascoltarla. Elegante, raffinata, raccontava di sé e di VIDAS con voce pacata, scandendo bene le parole perché i concetti più importanti fossero chiari. Aveva lo sguardo dolce ma anche acceso da una determinazione d’acciaio. A trascorrere del tempo con lei, ci si sentiva abbracciati. Nonostante la salute delicata, era sempre alla ricerca di fondi e donazioni “battendo cassa” presso banche e milionari. 

” Purtroppo mi scontro spesso con l’avarizia dei ricchi ed è disarmante”, mi aveva confidato. La sua energia si concretizzava anche nell’organizzare eventi, ideare progetti e soprattutto nel mettersi a disposizione, insieme ai volontari dell’associazione, nel visitare gli animali. Sempre con quel suo sorriso dolcissimo e con lo sguardo di una mamma premurosa.

Numerosi artisti e uomini di cultura hanno, negli anni, raccolto il suo invito e sono stati protagonisti sd serate, incontri, cene e concerti di beneficenza. Prima fra tutti il maestro Claudio Abbado, l’ex marito di Giovanna scomparso due anni fa. E poi Dario Fo, Giovanni Allevi e anche il pianista iraniano Ramin Bahrami, considerato il più grande interprete di Bach del mondo.
“Quando dicono che non c’è più nulla da fare, in realtà di cose da fare ce ne sono ancora moltissime”,
mi aveva detto la signora Giovanna. “Non c’è un altro modo per esprimerlo: oggi si muore male. La cultura odierna ha allontanato l’idea della morte, si vive come se si fosse eterni. Non si è perciò preparati alla fine. In VIDAS, noi cerchiamo con il massimo impegno di accompagnare le persone nell’ultimo tratto della loro esistenza, con amore, dolcezza e attenzione.”

La storia di questa donna fuori dal comune sembra uscire dalle pagine di un romanzo. Lei stessa me l’aveva raccontata nel corso dei nostri incontri e ogni volta ne restavo affascinato. E’ una storia basata su valori, carità, amicizia e sull’incontro con un santo, don Luigi Orione. Voglio riportarla qui, affidandola solamente alle parole della signora Giovanna, così come lei me l’aveva narrata.

Giovanna Cavazzoni
Giovanna Cavazzoni

“Sono cresciuta respirando affetto, amore e anche la terra, la natura, il mondo contadino perché dai cinque ai quattrodici anni sono vissuta in due piccoli paesini di campagna vicino a Lecco. L’autenticità della gente mi è stata di grande insegnamento. La mia era una famiglia numerosa, eravamo in undici. C’erano diverse persone anziane e così, fin da piccola, ho conosciuto la vecchiaia, la morte. E ho imparato a rispettarle. Ero una ragazzina curiosa, ascoltavo molto i vecchi e la loro saggezza contadina mi ha insegnato che nulla è eterno. Basta pensare alla vigna: la si coltiva con amore e impegno ma basta una grandinata e tutto finisce. La morte, la fine dell’esperienza terrena, è così: va affrontata con naturalezza e con dignità. Un tempo, nei paesi di campagna, tutti si riunivano attorno a chi stava morendo. Si lasciava questa terra accompagnati, circondati da affetto e comprensione. Non ho mai avuto difficoltà ad ammettere che vivere in un piccolo paese è stato alla base della mia educazione. L’esempio fondamentale è venuto però da mio padre Stefano.

“Emigrato povero dall’Emilia, mio padre aveva un senso politico acuto e pulito tanto che a ventitrè anni era già il più giovane consigliere comunale di Milano. Poi fu ministro e infine senatore. Da lui ho imparato il rigore associato alla fantasia più libera. E questi sono valori che ho voluto anche in VIDAS. I nostri operatori hanno infatti il rigore della preparazione più seria e attenta, e la gioia di accontentare le richieste dei pazienti. Mio padre mi aveva incoraggiato anche a frequentare don Luigi Orione, il celebre sacerdote fatto santo da Papa Wojtyla nel 2004.

“Lo avevo incontrato nel 1937 e lo ricordo ancora molto bene. Con papà e mamma stavo passeggiando lungo i Navigli. Una campanella ci ha attirato in una piccola chiesa e lì, sulla porta, c’era un prete dalle orecchie enormi ma lo sguardo come il fuoco. Era don Luigi Orione e disse a mio padre: “Senatore, la stavo aspettando”. Papà rimase molto colpito da quelle parole. Non ho mai saputo bene cosa avesse voluto dire ma era destino che loro due si incontrassero perché tra mio padre e don Orione ci fu come un colpo di fulmine.  Tornando a casa, mia madre diceva: “Quel prete mi sembra un pazzo. Non gioverà alla tua reputazione.” Mio padre invece non diceva nulla, era pensieroso. Il giorno dopo don Orione venne a casa nostra. Sentiamo suonare alla porta e mia nonna va ad aprire. Poi ci annuncia: “C’è uno strano prete…..” Don Orione entra, saluta e si rivolge subito a mia madre: “Sono venuto per dirle che con me suo marito non perderà nulla della sua ottima reputazione”. Come aveva fatto a sapere le esatte parole di mia madre, non lo so. Mio padre fondò con lui Piccolo Cottolengo che io vidi nascere pietra dopo pietra. Mi consigliò di andare ad aiutare e da quel momento sono vissuta per il volontariato.

 “Ho insegnato all’ istituto penale femminile Nazareth, ai Mutilatini di Don Gnocchi, all’ Opera di san Vincenzo. Ma ho anche frequentato il Conservatorio, studiavo canto. E’ lì che ho incontrato Claudio Abbado. Poi ci siamo sposati nel 1956. Siamo andati a vivere a Vienna per frequentare l’Accademia: io studiavo canto e Claudio direzione. Scoppiò la rivoluzione in Ungheria e migliaia di profughi vennero in Austria. Noi giovani musicisti andavano nei campi di accoglienza a dare una mano e ricordo che Claudio e Zubin Metha organizzavano dei concerti per intrattenere tutte quelle persone.

   “Poi, nel 1982, ho fondato VIDAS. Avevo in mente una persona in particolare. Si chiamava Rina Torricelli ed era una corista della Scala che mi seguiva quando, a sedici anni, studiavo pianoforte e canto. Eravamo amiche. Poi si ammalò di cancro e fu lasciata sola. A quel tempo era una malattia da tenere nascosta, che faceva il vuoto attorno a chi ne era vittima. Io però non abbandonai Rina e per due anni le fui vicino. Ricordo che mi chiedeva di lasciare una sedia accanto al letto prima dell’arrivo del medico. “Così capisce che se si siede qui cinque minuti e mi tiene la mano, per me è meglio di una medicina. E mi aiuta ad essere meno timida nel fargli quella benedetta domanda: quanto tempo mi resta?”, diceva. Quell’ esperienza e quelle parole mi colpirono molto. E’ la stessa domanda che fanno i malati ancora oggi.

“All’inizio, a VIDAS eravamo spinti da un insopprimibile senso di umana pietà. C’erano persone indigenti che affrontavano la morte in solitudine. Ci gettavamo anima e corpo sul bisogno. Poi, abbiamo capito che era necessario strutturare il nostro impegno, far fronte a tutte le esigenze del malato e supportare anche la sua famiglia, disorientata dal dolore e dalla paura. La pietà allora si è trasformata in misericordia, in discernimento su come agire, proprio come dice spesso Papa Francesco. Nei primi tempi, i nostri assistiti non erano mai bambini. In seguito però, le malattie terminali hanno cominciato a colpire anche i più giovani. Così ci siamo trovati di fronte ad una nuova realtà. E’ incredibile quanto possano dare i bambini ammalati a chi si occupa di loro, quante lezioni si possano apprendere dalla loro innocenza. La serenità che dimostrano anche di fronte alle malattie più gravi è come un dito puntato, pungola la coscienza e arricchisce l’anima. Ricordo un bimbo malato terminale che diceva a suo padre: “Papà perché sei triste? Quando sarò in cielo ti butterò giù tutte le cose belle che vuoi! Anche una macchina nuova!

“Ricordo anche un bimbo straniero di cinque anni ricoverato da noi. Il padre era distrutto, mi abbracciava e piangeva straziato. Poi, mi ricomponevo, cercavo di assumere un viso sereno e andavo dal piccolo. Eravamo diventati amici. Un giorno mi fece vedere una scatola che teneva sotto il cuscino, coi soldini guadagnati facendo dei lavoretti a casa. Stupidamente, tirai fuori delle monete per fargli un regalo. Lui mi guardò serio. “Non li voglio”, mi disse col ditino alzato. “Il mio papà dice che i soldi devono essere sempre guadagnati col lavoro!”. Una lezione così, non l’avevo mai ricevuta.”


Durante il mio ultimo incontro con Giovanna Cavazzoni, pochi mesi prima della sua morte, le avevo detto che stavo scrivendo un libro su Madre Teresa. E lei mi disse che una volta aveva scritto una lettera alla Madre.  “Le avevo raccontato di quello che facevamo a Milano con VIDAS, per aiutare gli ultimi giorni dei malati incurabili. Madre Teresa mi rispose entusiasta. Mi scrisseo: “Spero che tutti voi diventiate virtuosi come Maria e santi come Gesù”. Quella lettera fu un bellissimo regalo.

 

Per saperne di più sull’associazione si può visitare il sito www.vidas.it

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