Si conclude il 23^ anniversario della morte del Beato Padre Pino Puglisi, un altro eroe della lotta alla mafia, ucciso nel giorno del suo compleanno a Brancaccio. Ma la festa con 3P deve essere la festa di ogni giorno.
“Quannu iu moru, cantati li me canti ‘un li scurdati cantatili pi l’antri”. Qui, in questa frase scritta da Rosa Balistreri è racchiuso il senso di tutto. Il denso significato di una sicilianità pulita, senza baffi e lupara. Senza le t-shirt con le tre scimmiette che ignominiosamente si coprono occhi, orecchie e bocca, campeggianti in ogni centro storico e pronte per essere portate via da orde di turisti. A settembre, l’aria più fresca porta con sé l’eco delle parole della bella Balistreri. Il 15 settembre, poi, è un vero e proprio megafono che quelle parole le amplifica.
Perché bisogna specificarlo che la Sicilia è una terra particolare. Lo è perché è manichea. Pare nata all’insegna della contrapposizione che tutt’ora perdura. C’è la Sicilia “aspra”, fatta da silenzi, connivenze e malefatte. Fatta dalle cosche, da codici e “uomini di rispetto”. Da mercimonio e sangue. C’è, poi, la Sicilia “dolce” che esalta la magia della terra, la ricchezza di un popolo misurata in cultura, bellezza, patrimonio linguistico e poetico. Ci sarebbe, infine, una lingua di terra – in mezzo – in cui le due Sicilie si contaminano. In quel lembo di Sicilia agrodolce – tra chi la mafia la osanna e chi la disprezza – si insediano i cultori della legalità.
Anche qui, tra sedicenti paladini della giustizia che hanno fatto dell’antimafia una lobby speculativa, sgomitano e hanno sgomitato per trovare spazio dei paladini migliori. Di quelli che fanno bene in modo discreto, senza sbraitare perché tanto non ce n’è bisogno. Sono oggi nomi da commemorare, il 23 maggio come il 19 luglio o il 29 agosto o ancora il 15 settembre. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi e il Beato 3P sono solo alcuni nomi che ricordano quanto anche la lotta alla mafia, come la morte che li ha trovati, sia anche lei una livella.
“Me lo aspettavo”, disse Zu’Pino quando sceso dalla sua Fiat Uno la sera del 15 settembre del ’93, un uomo a volto scoperto gli intimò “parrì, questa è una rapina”. Il sorriso di Zu’ Pino – perché quando in Sicilia entri nel cuore di qualcuno, sei automaticamente zio – si è scolpito in volto, mentre cadeva sotto i colpi sparati alla nuca. Forse in pochi sanno la storia del prete di Brancaccio capace di coltivare le terre della mafia con i semi dell’onestà. Ancora meno conosceranno i nomi di Salvatore Grigoli, l’uomo di Cosa Nostra che ha premuto il grilletto, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Nino Mangano. Sappiamo che Puglisi lo ha ucciso la mafia, e la mafia ci disse Peppino Impastato è “una montagna di merda”, per cui ai più quei nomi risulteranno un impasto di merda e nulla più.
Eppure, la festa con 3P – così si firmava Padre Pino Puglisi – dovrebbe essere un quotidiano memento. Un passaggio costante di quei fotogrammi che tenga vivido il monito, o almeno quella rivoluzione mite e pacifica che Puglisi fece partire dal basso. E non si confonda l’amore per la legalità con le istituzioni, per carità! Quando anche Rosy Bindi interviene nella cerimonia commemorativa del Don, fatevelo salire il sangue agli occhi! Ricordatevi le parole di Puglisi: “Brancaccio è la borgata più dimenticata della città”, il terreno più arido che scelse di coltivare iniziando dai bambini. Non una scuola, non un centro di aggregazione, un consultorio, un asilo. Il nulla, che è anche poi quell’occasione ghiotta per il reclutamento di giovani leve da parte delle cosche. “Ho fatto anticamere da tutti i sindaci, Lo Vasco, Rizzo, Orobello, da tutti gli assessori. Ho tentato di parlare con il prefetto e sono stato persino in Questura. Non chiedo l’impossibile, solo una scuola media, un distretto socio-sanitario ed un po’ di verde dove incontrarsi, correre e giocare. Un posto per salvarsi”. E l’ostinazione di 3P giunge al culmine nell’agosto del’93, quando scrive un’ultima accorata lettera, assieme al comitato di quartiere, al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: “un anno è passato da quando Le abbiamo scritto, e nessuna risposta abbiamo ricevuto su un Suo intervento che Ella ha sicuramente disposto. Tre dei componenti del comitato sono rimasti oggetto di un attentato. Nelle nostre famiglie la serenità non è più di casa. Ciò che resta della forza del comitato è praticamente niente, perché ci siamo defilati. La paura che ha avuto il sopravvento rivela ancora una volta l’assenza delle articolazioni dello Stato”.
Silenzio.
Le istituzioni, allora, hanno risposto con il silenzio! Don Pino ha continuato, finché ha potuto, da solo la sua battaglia. Continuava a sottrarre manodopera ai mafiosi, instillando gocce di onestà nei bambini e nei giovani. “Se ognuno di noi fa qualcosa allora si può fare molto”, era il suo mantra. E’ il mantra di ogni siciliano onesto, che si ricorda di questi santi della legalità non solo in occasione di ipocrite celebrazioni, ma tutti i giorni. Perché ogni mattina che un siciliano onesto si sveglia, sa che quello sarà un giorno con 3P.
Alessandra Maria