Di Pino Aprile
La mozione presentata al Comune di Napoli, per il “Giorno della Memoria” delle vittime meridionali del modo in cui fu unificata l’Italia (a chiacchiere, prendete un treno al Sud, se lo trovate e poi venitemi a dire) è stata rinviata per “ulteriori approfondimenti”, non bocciata. E allora, perché tante polemiche?
Per il modo, i termini, che paiono anticipare un giudizio.
L’assessore alla Cultura, Nino Daniele parla di “rotte culturali oscurantiste”. Ammiro Daniele per quel che ha fatto, da sindaco di Ercolano, con Lella Ottaviano, sua coraggiosa concittadina, contro la camorra. Lo clonerei, se si potesse, per darne uno a ogni Comune del Sud. Della sua onestà, anche intellettuale, non ho alcun dubbio; sul fatto che su questo argomento sbagli, nemmeno: le “Rotte culturali oscurantiste” sono quelle che da un secolo e mezzo tacciono dei paesi rasi al suolo per rappresaglia (rimprovero non mio, ma dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a proposito di Pontelandolfo), della distruzione delle fabbriche, del furto dei macchinari e dell’oro delle banche, degli stupri, della deportazione di 60-80 mila soldati e di almeno centomila civili (con i dati recuperati finora). Ma, se ho capito bene, oscurantista sarebbe chi, nel buio complice di quanti avrebbero dovuto provvedere per professione, cerca di fare luce sui lati oscuri della nostra storia.
L’Italia poteva diventare una per voglia, interesse e coinvinzione, non con lo sterminio, il saccheggio, l’insulto e la menzogna. È andata diversamente; ma il fine non può tacitare il mezzo.
E l’aggredito che si difende, stando a una consulenza raccolta dalla Commissione, diviene: “brigantaggio sanfedista, criminale, sociale e in una logica di guerra civile”. Quindi l’esercito di occupazione francese prima e i 120mila soldati sabaudi, dopo, più la legione straniera inglese, e la legione straniera ungherese erano in missione di pace? Nemmeno Nino Bixio ebbe il coraggio di arrivar a tanto, se disse che la rivoluzione non c’era, “l’abbiamo portata noi”. E, ancora: non si trattò di “colonizzazione”. Nooo: Gramsci e Zitara si rivoltano nella tomba. Il petrolio estratto in Lucania è fiscalmente prodotto altrove, lasciando veleni e miseria in loco; e il sindaco di Matera potrebbe ristampare e dare al capo del governo la lettera del suo collega del 1901 all’allora presidente del Consiglio, il bresciano Giuseppe Zanardelli, uno dei primi meridionalisti, per chiedere di essere trattati non come il resto dell’Italia “unita”, ma almeno come le colonie africane “che pure hanno il conforto della vaporiera”.
Nella commissione Cultura del Comune c’è chi dice che sollevando questioni “identitarie” si rischia di finire come l’ex Yugoslavia. Quella ex Yugoslvia dove accaddero le cose commesse qui, nel 1860-61, quando si costruì un Paese diviso che ancora oggi diffama i vinti e ne affama gli eredi, discriminandoli nei diritti, nelle infrastrutture, nelle possibilità e nel rispetto? Pare il malconsiglio di certe mamme a figlie picchiate dai mariti: non è cattivo, è carattere; smettila di provocarlo, lamentandoti, se no quello s’incazza e ti mena di più o, addirittura, rompe il matrimonio!
Quindi, terroni, zitti se vi insultano, fregano i soldi destinati al Sud per farne tangenti al Mose e all’Expo, varano un decreto per uccidere le università meridionali, escludono (dal 2010!) scrittori e poeti del Sud dai programmi di Letteratura del Novecento nei licei… Eccetera. Tutte cose da apartheid, altro che colonie, su cui non si è sentito un fiato da parte delle commissioni Cultura e dei “rappresentanti” del Sud al governo, in Parlamento, nei Comuni, salvo una Risoluzione della Commissione parlamentare Cultura, approvata all’unanimità, Lega inclusa, meno due astenuti del Pd. E se te ne lamenti, sei pure responsabile del male che può derivarne? Perché non è già questo il male? Dopo 25 anni di scempi da parte di un immondo partito razzista del Nord, quello che si teme e fa schifo è il rischio di una Lega del Sud? Ma il razzismo viaggia per linee di potere (dal più al presunto meno, per diminuirlo nei diritti) e chiede più per qualcuno, meno per altri (Prima il Nord). Qui al Sud c’è solo chi chiede equità, parità (e pure pochi, considerando il complice silenzio di parlamentari e politici meridionali e no, di ogni partito, salvo poche eccezioni, fra cui de Magistris). Il leghismo è altro, non diciamo fesserie.
Dalla condivisione della verità, può solo venir bene, come mostrano molti episodi: basterebbe quel che è accaduto fra Pontelandolfo e Vicenza (patria del massacratore Negri), quando il sindaco vicentino è andato a chiedere scusa a nome della sua città, nella quale, mesi fa, con il collega del paese martire, ha inaugurato “piazza Pontelandolfo”.
In sottofondo, siamo fermi al 1799: in tutta Europa si chiama eroe chi difese il proprio Paese dagli invasori francesi; da noi, chi prese a cannonate i suoi concittadini per consegnare il Paese alle truppe di occupazione (che lo spoglieranno delle sue ricchezze e stermineranno la popolazione), per dar vita a una “Repubblica” così libera che doveva sottoporre i suoi atti all’occupante e così solida che cadde appena i padroni stranieri se ne andarono. La storia avanza su montagne di cadaveri, ma le parole devono essere oneste. Le sole parole di ammirazione per il coraggio di quei combattenti popolani a mani nude e di commiserazione per le vittime “necessarie” al compimento dei saccheggi vennero dal nemico francese.
Perché “ancora il “99”? Perché nel modo di narrare quel che accadde allora e dal 1860-61 si avverte la stessa elitaria insofferenza per “lu populo vascio”, prima lazzari, poi tamarri, poi briganti, comunque e sempre gente “altra”, cafoni. Non è servito a niente che uno dei protagonisti di quella Repubblica invitasse all’autocritica, perché non si fanno le rivoluzioni senza il popolo e, peggio mi sento, contro il popolo, accusandolo di non lasciarsi guidare dove dice sua signoria (se state per tirar fuori che “c’era pure un ciabattino”, sappiante che la Lega espone un consigliere comunale nero).
Chi obietta che non è il caso di rivangare “vecchie storie” che servono solo a dividere, dimentica che non è fingendo di non vedere che troveremo pace: quelle vecchie storie sono la storia (intesa come la versione dei fatti fornita dal vincitore) e se oggi c’è questo, è perché ieri ci fu quello. I fili si riannodano dove furono spezzati.
Paolo Mieli (non il solo ma il più tenace) dice che il nostro Paese è così, perché rifiuta di fare i conti con la propria storia: dal ’99 al Risorgimento, al fascismo, alla Resistenza. E quei conti mai chiusi si ripresentano, non attutiti ma esasperati dal tempo inutilmente trascorso. Quel che sta avvenendo in Commissione a Napoli ne è ennesima dimostrazione.
Caro Daniele e presidente della Commissione, consulenti, quando pensate a quelle vicende e ne narrate, avverto adesione acritica a quelle idee di pochi che si scelse di far prevalere stroncando le altrui (si volle vincere, non convincere) con la forza e la forca: dai 1500 giustiziati in pochi mesi dai repubblicani del ’99 al genocidio risorgimentale. Condivido molte delle “vostre” idee (figurarsi…: repubblica, ma non con le armi del nemico; sovranità popolare, ma popolare, signurì’; libertà, ma non solo per padroni e arraffoni, eccetera). Ed è una banalità: viviamo in un mondo e in un tempo (una civiltà) figlia anche di quelle idee e di quei fatti, quindi ne sarei parte persino se non lo volessi; così come so di avere cultura e morale profondamente cristiane, pur essendo ateo.
Ma quando penso a quelle vicende e ne narro, non riesco a non sentire le urla e la disperazione degli innocenti che furono macellati in nome di idee altrui, quale materiale da costruzione (c’è chi usa, non voi, l’espressione “bestiame umano”) di un domani che per essere migliore aveva bisogno di sacrifici umani oggi (parole di Napoleone Colajanni). E per quel domani assolversi oggi e gridare al “martirio” se chiamati a render conto delle proprie azioni, avendo considerato necessaria solo la morte degli altri per il mondo nuovo. Per essere chiari, viste le radici politiche degli interlocutori (giusto le radici. Se penso che Gramsci s’è fatto la galera per Renzi!): meno Togliatti e più Di Vittorio.
Le polemiche sul comunicato della Commissione nascono dal timore (si spera infondato ma non immotivato), che si voglia sviare il discorso, per renderlo generico e, ancora una volta, negare giustizia: non si tratta di sentenze, ma di riconoscere verità. Per questo tanti si chiedono come la pensa il sindaco. I percorsi storici sono spesso imposti o accelerati con la forza e immani massacri. Ma il racconto non si può ridurre alla celebrazione dei vincitori e alla denigrazione dei vinti. Detto come andarono le cose, i carnefici restano carnefici; le vittime, vittime; e noi figli degli uni e delle altre e di tutta la loro e la nostra storia, anche quella che non ci piace.