Anche quest’anno il 17 maggio 2019, come ogni anno, si celebra la Giornata mondiale contro l’omofobia. Per la precisione contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Una giornata che vuole contrastare ogni tipo di pregiudizio, discriminazione e criminalizzazione nei confronti di quelle persone che mostrano la propria affettività e sessualità verso individui dello stesso sesso o che hanno deciso di cambiare il proprio corpo.
Perché questo giorno? Perché l’Organizzazione mondiale della Sanità per lungo tempo ha considerato l’omosessualità una malattia mentale, in cui si sono susseguiti dottori e ricercatori che invano hanno provato a curare questo tipo di indole. La svolta si è avuta solo nel 1990, dopo anni di battaglie e proteste da parte della comunità LGBT+. Infatti in quel 17 maggio l’Oms depennò l’omosessualità dalla lista delle malattie, definendola una “variante naturale del comportamento umano”. Nel 2004 l’Unione Europea istituisce questa giornata e a quindici anni di distanza l’omofobia è ancora una battaglia che tutti noi dovremmo aiutare a combattere.
C’è ancora bisogno di celebrarla?
In molti paesi, l’omosessualità e la transessualità sono state e sono considerate tutt’ora dei reati o delle malattie (per esempio, nel Brunei lo è ancora). In molti altri paesi si stanno facendo passi avanti: la notizia di oggi è che il Taiwan è il primo paese di area asiatica ad aver detto sì ai matrimoni gay. Fortunatamente in questi anni i diritti riconosciuti alla comunità LGBT+ sono cresciuti, sebbene in molti paesi, soprattutto in Africa e in Asia, l’accettazione dell’omosessualità rimane ancora un obiettivo lontano.
Se si vuole avere una fotografia più chiara della situazione e capire perché la Giornata mondiale contro l’omofobia è ancora necessaria può essere utile guardare i dati all’interno del rapporto “State-Sponsored Homophobia 2019” a cura dell’International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA).
Nel 2019 sono ancora 70 gli stati in cui l’omosessualità è considerata illegale. Si tratta del 36% dei Paesi riconosciuti dall’Onu. E se è vero che dal 1990 ad oggi abbiamo assistito a dei progressi, è altrettanto vero che questi avanzano lentamente. Rispetto al 2017 infatti il miglioramento è stato lieve, in quanto sono ancora molti i paesi dove l’omosessualità viene punita con delle pene. Sono 11 i paesi del mondo in cui gli atti omosessuali possono essere puniti addirittura con sentenza capitale. In altri paesi, per l’esattezza cinque, si rischia il carcere a vita.
L’eliminazione dell’omofobia passa anche dall’applicazione di forme di protezione dalla discriminazioni che persone bisessuali, omosessuali e trans possono subire in ogni ambito di vita quotidiana. In alcuni stati la protezione è inserita all’interno della costituzione: parliamo di Sud Africa, Portogallo, Bolivia, Messico, Ecuador e Svezia. Più frequenti sono le misure anti-discriminazioni garantite per legge ordinarie: sono previste in 53 paesi e praticamente in tutti i paesi appartenenti all’Unione europea. Diffusa è, inoltre, la tutela dei diritti sul luogo di lavoro, dove non si dovrebbero subire discriminazioni per il proprio orientamento sessuale.
Non solo norme anti-discriminazioni, ma riconoscimento di diritti
La lotta alle discriminazioni non passa solo attraverso il riconoscimento di norme specifiche, ma anche attraverso la protezione di diritti ben precisi. A partire dal riconoscimento di forme di unione civile tra persone dello stesso sesso sino ad arrivare al matrimonio. Questi diritti rappresentano una prerogativa di pochi paesi virtuosi (il 14% del totale per le unioni e il 13% per i matrimoni, secondo i dati ILGA). In Europa la situazione cambia, in quanto le unioni civili o i matrimoni tra individui dello stesso sesso riguarda ormai la maggioranza degli stati, sebbene anche qui si possono notare delle differenze. L’Est europeo è ancora in ritardo nel riconoscimento di questi diritti, a differenza del Nord Europa che è decisamente più avanti. L’area mediterranea si muove anche se più timidamente.
L’altro fronte molto importante nel riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali riguarda l’adozione di figli. Come per il matrimonio e le unioni civili, il rapporto ILGA conferma che, a livello globale, il riconoscimento è sporadico (tra il 14% e il 16%, a seconda del tipo di adozione). Mentre l’Europa si conferma nuovamente virtuosa, anche se in modo non uniforme. Nei paesi del Nord Europa – con l’aggiunta di Spagna e Portogallo – è prevista l’adozione per le coppie omosessuali. Mentre nell’area mediterranea e nell’europa dell’Est questi diritti sono ancora sconosciuti.
Un problema concreto
Sembra surreale che nel 2019 l’omosessualità sia considerata un problema. Ma eventi come il Congresso mondiale della Famiglia di Verona hanno mostrato una triste realtà: gente che dichiara che lesbiche, gay e trans debbano sottoporsi a cure e che il loro amore è una devianza patologica e quindi non meritevole di riconoscimento sociale. E l’aria di omofobia non è un vento solo italiano: gli Stati Uniti di Trump o la Russia di Putin ne sono un esempio.
A questa ondata di intolleranza si sta opponendo una forza che sta unendo i movimenti per i diritti umani, le realtà femministe e le associazioni che difendono i diritti della comunità LGBT. Un esempio è la campagna #IOSCELGO, lanciata da Rebel Network-Rete Femminista per i diritti insieme ad oltre 50 associazioni, tra cui Arci Nazionale, UAAR, Ong Differenza Donna, Comitato Rodotà. Chiedono di verificare i contenuti sostenuti, in materia di tutela dei diritti delle persone LGBT+, dai candidati alle elezioni europee e comunali del 26 maggio. Nel frattempo che queste forze, seppur lente e in difficoltà, si facciano sentire possiamo contare sulla nostra sensibilità e intelligenza. Come il dirigente di un istituto di Ravenna a cui era stato dedicato una scrittura sul muro “Il preside è gay“, che non cancellò la scritta in quanto non offensiva.