Oggi è la Giornata Mondiale della Biodiversità. Con il termine Biodiversità si intende la varietà degli esseri viventi che popolano la Terra. Dal batterio, visibile solo al microscopio, alla balena; dal muschio alla sequoia. Sono un milione e settecentomila le specie conosciute: 1.318.000 animali, di cui 1.265.000 invertebrati. Tra i vertebrati 2.500 sono pesci, 9.800 uccelli, 8.000 rettili, 4.960 anfibi e 4.640 mammiferi. Si contano, inoltre, 10.000 specie di batteri, 72.000 di funghi, 50.000 di protisti e 270.000 di piante. Tuttavia gli esperti stimano che il numero effettivo delle specie di esseri viventi possa raggiungere dodici milioni. C’è infatti un ambiente che l’uomo ha potuto esplorare solo per il 5% e che ricopre circa i due terzi dell’intera superficie terrestre: quello marino. Qui, nella profondità degli abissi, si celano chissà quali creature che attendono di essere scoperte. O forse no. Per il loro bene, sarebbe infatti meglio che l’uomo stia più alla larga possibile da loro.
La specie con il maggior impatto sul pianeta: l’uomo
La specie umana, una sola su milioni, è quella che più di qualunque altra, vivente o estinta, ha e ha avuto l’impatto maggiore sull’ambiente. Quella che sposta più materia, che altera il ciclo dell’acqua e che ha fatto registrare il picco più alto di rilascio di gas serra nell’atmosfera degli ultimi quindici milioni di anni. Non a caso, proprio per questa inaudita capacità dell’uomo di agire sugli ecosistemi, Paul Crutzen, Nobel per la chimica, ha definito l’epoca in cui stiamo vivendo Antropocene. Lo scienziato ha fissato l’inizio di quest’epoca nel 1784, anno dell’invenzione del motore a scoppio da parte di James Watt. Dunque, possiamo affermare che dalla fine del XVIII l’uomo ha iniziato a influire pesantemente sugli equilibri della Terra. In che modo? L’impatto umano collettivo sui processi biologici provoca cambiamenti climatici, alterazioni della superficie terrestre e della qualità dell’acqua e dell’aria, ma anche la scomparsa delle altre specie.
La minaccia dell’estinzione
Negli ultimi quarant’anni il Pianeta ha perso più del 50% degli animali selvatici che lo abitavano. L’indice del Pianeta vivente è un indicatore composito che misura le variazioni di dimensione delle popolazioni di specie selvatiche, allo scopo di indicare l’andamento nello stato generale della biodiversità mondiale. Nel 2016 il dato più impressionante riguardava le popolazioni degli ecosistemi di acqua dolce, che registravano un declino di oltre l’80% dal 1970. Più in generale, si registrava un declino delle popolazioni di vertebrati di circa il 58%. Tra le cause principali di queste perdite c’è il bracconaggio. Nel caso dell’elefante africano (Loxodonta africana), la cui popolazione in alcune aree è calata del 66%, i bracconieri sono i responsabili di più del 60% delle morti documentate.
Si stima che ogni anno siano minacciati il 23% dei mammiferi e il 12% degli uccelli. Altro fattore scatenante è la destinazione di sempre maggiori porzioni di terra alle attività dell’uomo con conseguente perdita di habitat naturali. Ciò ha un grande impatto soprattutto nelle foreste tropicali, mentre l’inquinamento ha una rilevanza maggiore nelle aree temperate settentrionali. Da sottolineare, altresì, che i numerosi conflitti armati non determinano grandi perdite solo in termini di vite umane, ma distruggono anche l’ambiente, con gravi conseguenze sulla biodiversità.
La situazione in Italia
In Italia sono a rischio estinzione un quinto di tutte le specie esistenti. Ciò riguarda soprattutto il Mar Mediterraneo, che è una delle regioni con il maggior numero di specie viventi di tutto il pianeta. È il punto cruciale per molti uccelli migratori, nonché l’habitat naturale di novecento specie di pesci e cetacei e 400 specie vegetali. La principale minaccia è costituita dall’inquinamento marino (marine litter), soprattutto quello da plastica, che ne costituisce il 95%. Secondo L’UNEP il Mar Mediterraneo è una delle sei aree del mondo maggiormente invase da rifiuti. In particolare, le buste di plastica rappresentano trappole mortali per tartarughe, mammiferi e uccelli marini che le ingeriscono accidentalmente e ne rimangono soffocati. Altro pericolo dato dalla presenza di rifiuti nell’ambiente marino è l’aggrovigliamento, che riguarda soprattutto gli uccelli.
Le attività umane a più alto impatto
Il sovrasfruttamento delle risorse naturali costituisce un’altra grave minaccia. Nell’Adriatico e nel Golfo di Tabes, in Tunisia, per esempio, si pratica in modo massiccio la pesca a strascico, distruttiva per gli ecosistemi di fondo. Il 96% degli stock ittici europei è sovrasfruttato. L’erosione delle coste e la cementificazione delle stesse rappresentano poi un’altra causa di perdita e frammentazione degli habitat marini. Infine, i cambiamenti climatici promuovono la diffusione di specie aliene. Secondo l’ISPRA sono state osservate nei mari italiani 42 nuove specie marine. Bello? No. Piante e animali esotici e invasivi, possono causare gravi danni alla flora e alla fauna autoctone, fino all’estinzione. Per altro, la mano dell’uomo in tutto ciò non è solo indirettamente ravvisabile nei cambiamenti climatici: spesso l’uomo decide direttamente e volontariamente di spostare piante e animali a proprio piacimento. La diffusione incontrollata delle specie aliene costa dodici miliardi di euro all’anno solo in Unione Europea.
E per chi si stesse chiedendo l’utilità di tutelare proprio tutte le forme viventi, ecco un promemoria del WWF sull’importanza anche della più piccola forma di vita:
Alcune piante e batteri ci aiutano a mantenere l’ambiente pulito grazie alla loro capacità di degradare i nostri rifiuti e a riciclarne i nutrienti. I lombrichi mantengono il terreno fertile, favorendo la decomposizione della sostanza organica, e spugnoso, scavando gallerie che consentono all’aria e all’acqua di scendere in profondità. Grazie alle api e agli altri insetti impollinatori le piante continuano a fiorire, a riprodursi e a produrre frutti. I funghi svolgono un ruolo insostituibile nei cicli di decomposizione del suolo e sono indispensabili per il funzionamento dell’apparato radicale di numerose specie di alberi. Molte specie di uccelli e mammiferi disseminano i frutti selvatici. I grandi predatori come, tra gli altri, leoni, tigri, leopardi, lupi, orsi, balene mantengono bilanciata la catena alimentare e sane le popolazioni predate. È un equilibrio molto delicato, che va rispettato e protetto ogni giorno.
Michela Alfano