Giornata internazionale degli insegnanti: un mestiere tra dialogo e rischio

giornata internazionale degli insegnanti

giornata internazionale degli insegnanti

La giornata internazionale degli insegnanti apre alla riflessione sul valore di questo mestiere. Riflessione non solo attuale ma necessaria.

Il 5 ottobre è la giornata internazionale degli insegnanti, non facciamola passare senza cogliere l’occasione di rifletterci sopra.

Iniziando dall’etimologia si nota come ‘insegnare’ derivi da insĭgnare. Imprimere un segno. Un segno nella mente. C’è da chiedersi se ad essere impresso debbano essere le nozioni oppure il ricordo di ciò che si è vissuto con l’insegnante. Sì, perché l’insegnante lascia un segno se è un insegnante. Non semplicemente se fa l’insegnante. La differenza non deve sfuggire.

Insegnare non è solamente imprimere concetti ma – è il caro Socrate che ce lo insegna – dialogo. Solo attraverso il dialogo gli allievi potranno far nascere in loro le idee. Questa è l’arte della maieutica. Per un insegnamento che non lasci solo il segno nell’allievo ma anche nel maestro. Come cita un vecchio adagio secondo cui insegnare è imparare.

Come stimolare al dialogo?

Per rispondere a questa domanda Socrate tira in ballo l’ironia e Galileo esorta addirittura alla recitazione! Quest’ultimo afferma infatti che “il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro.” Ora, se si riflette un attimo, questo mestiere non riguarda quindi solo la conoscenza di una materia. Saperla trasmettere significa molto di più. Una faticaccia insomma. Ma fatica che ripaga appieno se uno, insegnante, lo è.

Non solo. Insegnare è un rischio. E di certo Socrate e Galileo qualcosa a riguardo avrebbero da dirci. Il filosofo greco ha dovuto bere la cicuta come ricompensa al suo insegnamento. Lo scienziato pisano, dal canto suo, ha dovuto abiurare in saio penitenziale davanti ad una commissione di inquisitori per scongiurare una morte certa.

Oggi per fortuna non si rischia così tanto. Ma un rischio c’è. Il rischio di mettersi in gioco, di credere nei ragazzi che si hanno di fronte, per quanto annoiati possano apparire i loro sguardi. Sguardi pur sempre da conquistare. Il rischio equivale a gettarsi in quell’incognita che ogni singolo allievo rappresenta ed essere pronti ad accoglierla, nella sua unicità.

E di strada nel nostro Bel Paese se n’è fatta molta. Molti gli studiosi che si sono spesi per migliorare l’insegnamento. Di qualunque grado si stia parlando. Nella testimonianza di una di loro si legge un monito che deve tenerci all’erta: “la scuola […] tende a livellare le menti piuttosto che a sviluppare le singole energie”. Osservazione tutt’oggi valida. Eppure la data riporta il 1923. A dichiararla la pedagogista Giuseppina Pizzigoni.

La giornata internazionale degli insegnati, oggi:

C’è da chiedersi cosa significhi, quindi, essere insegnanti, oggi. Ecco allora che sedendoci sulle spalle dei giganti e sfruttando la visione che da qui possiamo avere, è possibile chiedersi se la lotta all’ultimo cfu, al posto in graduatoria, alla perdizione nella burocrazia sia davvero la strada per identificare un buon insegnante. Certo, non è un problema di semplice soluzione, qui entra in gioco la preparazione, la selezione, la famosa e ormai bistrattata “empatia”… come poterle misurare? Forse con l’accettazione che misurarle non è possibile. Ma formarle, incentivarle e sostenerle sì.

E di certo il precariato che affligge questo settore non aiuta. Altrimenti la “giornata internazionale degli insegnanti” rischia di divenire una vuota commemorazione, più che una sincera celebrazione di uno dei mestieri più antichi del mondo. Ma di cui c’è un bisogno presente più vivo che mai.

Caterina Simoncello

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