Aumentano i giornalisti in esilio, sintomo della crisi globale della libertà di stampa

Aumentano i giornalisti in esilio - CPJ

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha dichiarato recentemente che il sostegno fornito negli ultimi tre anni ai giornalisti in esilio dai loro Paesi d’origine è aumentato esponenzialmente, raggiungendo il +227%. Si tratta di un dato importante (e preoccupante) in quanto rifletterebbe la crisi che sta investendo la libertà di stampa a livello globale.

I giornalisti in esilio che riescono a fuggire da zone di guerra e da regimi autoritari spesso cercano protezione in Paesi democratici che garantiscono libertà di stampa così da poter continuare il loro lavoro anche a distanza. Reporters without Borders ha realizzato una mappa in cui vengono rappresentate le principali rotte migratorie che i giornalisti intraprendo quando sono costretti a fuggire dal proprio paese per questioni di sicurezza. La maggior parte riesce a trovare rifugio in Europa e in Nord America. La mappa di RWB riflette non solo i conflitti armati in Europa (Ucraina), Africa (Sudan) e Medio Oriente (Siria), ma anche le recenti tensioni politiche che hanno alimentato la persecuzione di giornalisti e professionisti dei media indipendenti.

Perché i giornalisti lasciano i loro Paesi?

Laddove la libertà di stampa viene limitata, a volte l’unico modo per mantenere una voce indipendente è quello di lasciare il proprio Paese. Un esempio ci viene da Ales Yarashevich del Centro Investigativo Bielorusso che lavora in esilio dall’estate del 2021, da quando è iniziata la campagna di repressione della stampa da parte del presidente Alexander Lukashenko. Secondo RWB, prima che la Russia invadesse l’Ucraina, la Bielorussia portava il primato di Paese in Europa più pericoloso per i giornalisti ed è stato classificato al 153esimo posto su 180 in libertà di stampa (oggi è sceso al 157esimo posto). Le autorità bielorusse sono note per prendere sistematicamente di mira i giornalisti indipendenti, che spesso vengono arrestati, perquisiti, aggrediti e maltrattati. Le condizioni della stampa bielorussa sono peggiorate dal 2020, da quando Lukashenko è stato rieletto per la sesta volta con un voto denunciato come truccato dalla sua opposizione. Tra il 2020 e il 2023, Reporters Without Borders denuncia almeno 200 giornalisti bielorussi imprigionati, molti dei quali ancora in carcere. 




La mancanza di redazioni indipendenti libere da censura, minacce o ritorsioni rappresenta un grosso problema per molti professionisti dei media. Come ha osservato anche l’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale in uno studio del 2022, negli ultimi sei anni il numero di paesi che si muovono verso l’autoritarismo è più del doppio del numero che si muove verso la democrazia. Un fenomeno che si registra maggiormente nelle non-democrazie ma anche nei luoghi in cui la democrazia è il sistema prevalente. Dittatori e organizzazioni criminali vedono nella stampa libera una minaccia alla loro esistenza e cercano quindi di screditarla, sminuirla o distruggerla. La guerra di aggressione del presidente russo Putin contro l’Ucraina ha costretto milioni di persone a fuggire dalle loro case, tra queste, molti sono professionisti dei media che non hanno più visto le condizioni necessarie per continuare il loro lavoro in sicurezza. La situazione del giornalismo indipendente è drammaticamente peggiorato anche in Russia, dove le repressioni contro gli oppositori al regime e la radicale riduzione della libertà di stampa stanno costringendo anche molti giornalisti russi a lasciare il Paese.

Alcuni giornalisti, come Zahra Jova, continuano a seguire la situazione nei propri Paesi da lontano. Jova ha lasciato l’Afghanistan nel 2021 dopo aver fondato Rukhshana Media nel 2020 per evidenziare la condizione delle donne afghane, ora vive e lavora nel Regno Unito. “Abbiamo solo questo modo per parlare di ciò che sta accadendo alla nostra gente” ha dichiarato alla rivista Nieman lo scorso anno. “Abbiamo perso la nostra famiglia, la nostra casa, il nostro paese… L’unica cosa che abbiamo è parlare della violenza dei talebani e dell’ingiustizia che sta avvenendo nella nostra società“.

Le difficoltà dei giornalisti in esilio

I giornalisti che si trovano costretti a dover fuggire dal proprio paese per questioni di sicurezza spesso devono decidere in fretta. Questo potrebbe rappresentare un problema se si pensa che molto spesso bisogna aspettare mesi o anni per ottenere visti. Anche quando riescono a trasferirsi velocemente all’estero, in molti rimangono bloccati in limbi burocratici che li rende incapaci di continuare a lavorare. Inoltre, a causa di accuse o precedenti penali subiti nel proprio paese d’origine per via del loro lavoro, incontrano importanti difficoltà alle frontiere internazionali o quando richiedono asilo o visti. Questi sono solo alcuni dei motivi che portano i giornalisti a smettere di lavorare una volta fuori dai propri confini, danneggiando inevitabilmente non solo il giornalismo, ma tutti quei lettori, ascoltatori, cittadini che vengono derubati delle informazioni necessarie per prendere decisioni informate sulla loro vita.

Le sfide, tuttavia, continuano anche per coloro che  riferiscono dall’esilio. Allestire redazioni e ristabilirsi come giornalista in un altro Paese può essere infatti un processo costoso e complicato che comprende non poche difficoltà. Allontanarsi dalle zone pericolose permette di mettersi in salvo, ma rende la diffusione e la copertura delle notizie molto più difficile. Alcuni giornalisti riferiscono dall’estero grazie a corrispondenti che operano clandestinamente dall’interno grazie anche alle tecnologie più recenti, come le app di messaggistica, che aiutano notevolmente, ma la verifica delle informazioni rimane sostanzialmente più difficile oltre i confini. Inoltre, molti giornalisti e media devono fare i conti con gli sforzi dei governi per silenziare le loro voci attraverso attacchi informatici o ritorsioni online che rendono ancora più difficile raggiungere il pubblico di riferimento e rimanere in contatto con le loro fonti.

Un’altra difficoltà significativa riguarda il sostentamento finanziario. Operare come media in esilio è costoso e le opzioni per generare reddito vengono sostanzialmente limitate. Per questo motivo i media in esilio devono contare su donazioni che possono però non essere sufficienti o stabili, ostacolando ancora di più il loro lavoro. Tutto questo non può che generare dei forti problemi psicosociali, dovuti appunto alla lontananza dalla propria famiglia (che potrebbe essere in pericolo a sua volta), dal proprio paese (che rende difficile svolgere il proprio lavoro) e dallo stress dovuto alle persecuzioni che li hanno spinti a fuggire all’estero.

Le prospettive di un ritorno nel proprio paese sono, per la maggior parte dei giornalisti in esilio, piuttosto pessimiste. Tuttavia, senza di loro molte persone nel mondo sarebbero completamente private di un diritto fondamentale, cioè l’accesso libero all’informazione indipendente. 

Come sostenere i giornalisti in esilio?

Giornalisti, attivisti e artisti perseguitati hanno bisogno di sostegno pratico e accessibile nei paesi di accoglienza. Questo include aiutarli a trovare alloggi e a garantire loro la residenza, fornire finanziamenti e permessi di soggiorno per poter continuare il loro lavoro e sostenere la formazione linguistica e l’assistenza legale e psicologica. In questo caso, enti governativi e associazioni dovrebbero promuovere la creazione di reti tra giornalisti, sostenitori e redazioni in esilio che permetterebbero di dare più visibilità al giornalismo esiliato.

Fondamentale, oltre a garantire loro gli strumenti per la propria sicurezza digitale, è anche permettere il continuo sviluppo della loro carriera che, una volta in esilio, rischia di essere interrotta. è pertanto necessaria un’azione rapida da parte dei governi e delle organizzazioni perché i giornalisti possano continuare a lavorare nel paese di accoglienza e continuare la loro formazione professionale.

Nonostante la libertà di stampa sembra essere minacciata in tutto il mondo, la situazione in Europa rimane relativamente libera, pacifica e sicura. Concentrarsi sulla protezione dei giornalisti e sulla loro capacità di svolgere il loro lavoro in sicurezza significa contribuire a ripristinare la democrazia in deterioramento e a renderla, quindi, più forte. L’esilio dovrebbe essere l’ultima risorsa per un giornalista, tuttavia esso rappresenta ancora una possibilità di libertà che permette loro di sopravvivere e raccontare le storie che plasmano il nostro mondo. Proprio per questo motivo, difendere la libertà di stampa di tutti significa difendere la stessa democrazia.

Aurora Compagnone

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