Giorgia Meloni scannerizzata: quell’armadio in fondo a destra

giorgia meloni

Giorgia Meloni alla ribalta

Il governo Draghi è appena caduto e Mattarella ha sciolto le camere. Gli onorevoli si preparano alla propaganda col suono di tromba. La stagione delle promesse rende giulivi gli esperti di slogan. I sondaggi diventano l’ansioso traguardo per gli aspiranti parlamentari, che stavolta saranno ridotti. Insomma, si tirano le somme. Totò diceva che ” è la somma che fa il totale”, ma con la politica non è mai detta l’ultima. In ogni caso, i sondaggi parlano chiaro: è la stagione di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia è da tempo che guadagna consensi, anche tra l’altro a scapito di Salvini. Non sono congetture, molti elettori intervistati hanno dichiarato questo cambio di voto. E poi, quei numeri da qualche parte dovranno pur andare.

Il passato di Giorgia Meloni sotto lo scanner

Stagioni di esulti sono forse venture per Giorgia Meloni, dopo molti anni di non rilevanza nella destra italiana, dominata dal barbone del Capitàno leghista. E prima ancora dal sorriso del Cav. Ma dov’era lei? Dov’era Giorgia? Questo articolo vuole essere un utile scanner a tutti coloro che la conoscono solo nell’arco di pochi anni. E guardando anche gli altri compagni . . . forse meglio un altro sinonimo. E guardando anche gli altri membri del suo partito, si direbbe che FdI non è proprio una ventata di freschezza. Piuttosto è un armadio stracolmo di vecchie vicende, nascosto nella stanza in fondo a destra. Prima di iniziare, godetevi questo vecchio spot televisivo che non è certo invecchiato bene.




Giovane militante

Giorgia Meloni milita in politica fin da giovane. Sempre stata di destra, quando ancora era al liceo ma già aderiva a movimenti studenteschi di quel colore politico. Pare che uno dei motivi che l’avessero spinta a “scendere in campo” fu la strage di via D’Amelio. L’attentato violento che uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta mobilitò la coscienza della giovane Giorgia. Questo sarebbe uno scheletro nell’armadio? No, tutt’al più. Ogni tanto però è bene rinfrescare la memoria, specie dopo lo scempio mafioso a Palermo, venuto a galla alle scorse elezioni. La leader di FdI aspira a trainare il centrodestra, quindi anche la Lega e Forza Italia.

Ebbene, un partito che si dichiara contro le mafie deve prima accertarsi di frequentare le compagnie giuste. Non mi pare di aver udito alcunché dal fondatore forzista. Lo stesso che si reca a Palermo e alla domanda sui candidati intercettati per mafia risponde parlando di tic- tac giudiziario. A fronte di ciò, stupisce l’omissione di sospetti nelle parole della Meloni sul trentennale di via D’Amelio.  In attesa delle motivazioni dell’ultima sentenza sulla trattativa Stato- mafia, la memoria storica ancora chiede giustizia.

Condanne a parte, i nomi di alcuni sono sempre riemersi. Tra questi, quello di Marcello Dell’Utri, che s’è impegnato personalmente a lavorare in sordina alle scorse elezioni. E la Meloni dialoga con il partito di questo signore, come se nulla fosse. In nome di un centrodestra pulito dai pupi e senza punciuti, la Meloni avrebbe potuto chiedere una presa di distanza da parte di tutta la coalizione da quello schifo che è la mafia. Avrà forse preferito turarsi il naso e andare avanti.

Pugno duro su tutto, o quasi. Con i potenti è un po’ più difficile alzare la voce, vero Giorgia?

La fiamma nel simbolo

Nel simbolo di Fratelli d’Italia c’è una fiamma che arde. La stessa che c’era nel simbolo di Alleanza Nazionale, il vecchio partito della Meloni. Anch’esso staffetta di un testimone destrorso, quello del Movimento Sociale Italiano. Giorgia Meloni viene da quella  tribuna, da sempre tifosa degli ideali di patria. Non è certo in questa sede che si vorrà analizzare l’evoluzione di un’ideologia politica. Però è bene sapere la storia che precede il mondo di oggi. Purtroppo e troppo spesso ciò non viene fatto, in un Paese che non ha mai davvero chiuso i conti col proprio passato.

L’ho scritto anche in un altro articolo, alcuni pensano che non sono morti abbastanza fascisti. Secondo questo giudizio storico, l’Italia non ha espiato quel cancro politico che è il ricordo del duce. Ricordo a parte, si parla anche dei funzionari stessi del Ventennio, palesemente incompatibili con la stagione repubblicana. Non quella di Salò, ma quella del ’46, l’unica e sola. Fatto sta che molti fascisti divennero missini, e non era certo un segreto questo. Bene, detto ciò, ora riguardate quella fiamma missina nel simbolo di FdI, e pensate alla storia che c’è dietro.

La destra della Meloni non è nuova, è la più vecchia e folkloristica che ci possa essere.

Nobili parole per Fini di partito

Il vecchio leader della Meloni, ai tempi dell’MSI, aveva capito che bisognava dare uno strappo al passato fascista. Così Gianfranco Fini, sparito ormai dalla scena politica, si fece portatore di un’ondata di revisione di coscienza. Con la fondazione di Alleanza Nazionale prima e con il viaggio in Israele poi. Nel novembre del 2003, il dibattito pubblico era in fermento per il viaggio ormai prossimo del leader di An in Terra Santa. Lì Fini condannò il fascismo per le sue leggi razziali, in nome delle responsabilità che l’Italia non ha mai preso. Trovate un articolo dell’epoca a questo link.

E poi, cinque anni più tardi, all’Atreju del 2008, Fini si spinse anche oltre: disse che la destra italiana doveva riconoscersi nei valori dell’antifascismo. Questa uscita non fu accolta benissimo da molti di An. Ne parla un articolo di allora, che vi lascio a questo link. Giorgia Meloni accolse con seccatura quest’uscita di Fini, parlando di ideologie polverose. E scrisse una lettera a nome di leader dei giovani di An, il cui contenuto è sintetizzabile con: “Vabbè si dai ma ancora con ‘sto fascismo? “. Divertente poi leggere che nel 2011 Fini non venne invitato all’Atreju, e chissà perché. So’ ragazzi.

In Italia il fascismo è quella cosa che, secondo la destra, era vecchia ancor prima di essere attuale. Ironico dirlo nel Paese in cui un ex ministro della difesa ha come secondo nome “Benito”.

La nemica dei pride

Come non è un segreto il passato della Meloni, non lo è nemmeno il suo presente. Giorgia Meloni e ‘gay pride’ sono nella stessa frase solo se di mezzo c’è la parola ‘attacca’. Basti pensare al discorso in spagnolo al comizio di Vox, partito di estrema destra. Sembra di rivivere una scena di “Non ci resta che piangere”, quando un monaco in piazza dice minaccioso al personaggio di Troisi: “Ricordati che devi morire”. E lui pacatamente risponde: “Va bene”. Uguale proprio. “IO SONO GIORGIA! SONO UNA DONNA! SONO UNA MADRE! SONO ITALIANA”. Sì sì mo’ me lo segno.

Insomma, il partito della Meloni è spiaggiato sulla riva dei teocon, aggettivo che indica i cristiani conservatori. Eppure non è sempre stato così. Se si spulcia bene su Internet si può trovare un vecchio video che contraddice l’attuale senso comune sulla Meloni. Siamo nel 2009 e la Meloni è ministra della gioventù con il governo Berlusconi. La ministra partecipa a un convegno di Arcigay contro le discriminazioni subite dal mondo LGBT. Certo, la parola ‘LGBT’ non viene pronunciata, ma il succo è quello. La Meloni dice che occorrono delle iniziative culturali per combattere queste forme d’odio nella società. Ma tu guarda, sembrano i discorsi sulla legge Zan. Solo che la Meloni ha preferito cambiare barricata. Vi lascio il video della Meloni al convegno di Arcigay a questo link.

La somma che arrotonda il totale

A conti fatti e arrotondando qua e là, viene fuori che il partito di Giorgia Meloni è un tentativo, ben riuscito o no lo diranno gli elettori, di riportare vecchie idee nell’Italia di oggi. E non è polemica, sono i fatti a dirlo. Pongo nuovamente l’accento su quella fiamma tricolore, bandiera di idee che non sono nuove di certo. Compreso ciò, è evidente che lo scoop “Lobby nera” non è poi così tanto scoop. Azz, nel partito con lo stemma di Almirante ci stanno i fascisti? Ma vedi tu oh.

In fondo è anche normale, non vi è ragione alcuna per pensare che i discendenti di fascisti legittimati dallo Stato cessino di esserlo dall’oggi al domani. E così non cessa il folklore, la caciara e le solite diatribe. Il pronostico è quello di Ignazio La Russa che continua ad attaccare in modo forsennato la fantomatica “sinistra”, come se si trattasse di Nessie o di chissà quale altra creatura. In nome della Restaurazione totale e tombale, al bando le note di “Io sono Giorgia”. Ascoltate piuttosto questo tormentone di destra. Ma che dico tormentone, marcia! Ma che dico marcia, inno!

Nella Repubblica delle banalità, la polemica è ormai ferma ad anni fa. E mentre ardiamo tutti in questa “nuova” fiamma missina, si ode in sottofondo Fiorello cantare “La Russa Jouer”.

Matteo Petrillo

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