In mattinata si è volta la visita ufficiale di Giorgia Meloni in Tunisia per discutere della questione migranti e dello sblocco dei fondi del FMI e dell’UE, unica strada per salvare il paese dal default. «Nel pieno rispetto della sovranità tunisina ho raccontato al presidente Saied degli sforzi che un paese amico come l’Italia sta facendo per cercare di arrivare a una positiva conclusione dell’accordo tra Tunisia e Fondo monetario internazionale» ha affermato Giorgia Meloni durante l’incontro, dichiarandosi inoltre pronta a tornare in Tunisia con Von der Leyen per accelerare le trattative che permetteranno a questo paese di accedere ai fondi stanziati dall’UE e raggiungere accordi che limitino l’immigrazione illegale e la tratta di esseri umani.
Controllo dei flussi migratori: la strategia di Giorgia Meloni in Tunisia
La prima questione che ha portato Giorgia Meloni in Tunisia e quella del controllo dei flussi migratori verso l’Italia. La linea scelta da Meloni su questo tema, sostenuta dal primo ministro olandese Mark Rutte e anche dal presidente francese Emmanuel Macron, consiste di fatto nel rafforzamento dei confini esterni, raggiungibile attraverso il finanziamento di paesi di transito, come la Tunisia, dove vi è un ingente flusso di migranti provenienti soprattutto dall’Africa Subsahariana che in gran parte si riversa dalla Tunisia all’Italia e altri paesi del nord del Mediterraneo. I finanziamenti sarebbero secondo Meloni fondamentali per stabilizzare il Nord Africa, limitando così l’esodo di migranti che fuggono dalle condizioni economiche disastrose di paesi come la Tunisia, che al momento è caratterizzata da un livello di disoccupazione oltre il 16%, un tasso di inflazione oltre il 10% e un elevatissimo debito pubblico.
Per dirlo in parole povere, la premier opta per uno scaricabarile dei flussi migratori nei confronti di paesi di transito come la Tunisia, negoziando il blocco dei flussi migratori in cambio dei finanziamenti e giustificando le sue posizioni come «limitazione dell’immigrazione illegale». Tale deresponsabilizzazione da parte della premier italiana, così come dai capi del governo europei che sostengono questa linea, assume tinte fosche se si considera l’atmosfera politica della Tunisia.
A partire dal colpo di stato messo in atto dall’attuale presidente Kais Saied, che è stato accusato dalla Commissione Europea di «aver accentrato il potere nelle sue mani dal 25 luglio 2021 dopo aver destituito il governo, sciolto l’Assemblea e soppresso la Costituzione del 2014», la deriva autoritaria della Tunisia è sotto gli occhi di tutti. Nel corso degli ultimi anni non sono mancate le denunce da parte di organizzazioni come Amnesty International circa la violazione sistematica da parte del governo tunisino di diritti umani come la libertà di espressione, il diritto ad un processo equo, la libertà d’associazione e di riunione, così come i diritti delle donne e quelli della comunità LGBTQI+. Tali violazioni sono state perpetuate anche grazie all’adozione di una nuova costituzione che ha concentrato il potere nel ramo esecutivo, questo ha permesso, come si legge nel rapporto di Amnesty International, di emettere “decreti-legge volti a smantellare le fondamentali garanzie istituzionali per i diritti umani” oltre che facilitare la dichiarazione di stati di emergenza immotivati in modo da poter derogare ancora più diritti costituzionali.
Appare dunque evidente il significato politico di una deresponsabilizzazione da parte dell’Italia e altri paesi dell’Unione Europea nei confronti di migranti provenienti dalla Tunisia: l’abbandono ad un governo autoritario che viola sistematicamente i diritti umani. Senza considerare l’atteggiamento del presidente Kais Saied nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa subsahariana, a cui fa riferimento parlando di “sostituzione etnica”. Del resto, appare sintomatico dell’atteggiamento del governo Meloni verso i migranti l’utilizzo della stessa infelice espressione da parte del ministro Lollobrigida non più tardi di due mesi fa.
Lo sblocco dei finanziamenti
La seconda ragione dietro alla visita di Giorgia Meloni in Tunisia nella giornata di oggi riguarda i negoziati con il presidente Saied circa la realizzazione delle riforme richieste alla Tunisia da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale come condizioni imprescindibili per lo sblocco di un finanziamento di 500 milioni da parte dell’UE e di addirittura 1,9 miliardi di dollari dal Fmi, fondi imprescindibili per evitare il default.
Per quanto riguarda tali negoziazioni la premier Meloni e il ministro degli esteri Tajani si stanno muovendo da mesi per cercare un compromesso tra il Fmi, a cui chiedono di cominciare già ad elargire il finanziamento a rate, dietro alla promessa da parte della Tunisia di implementare gradualmente le riforme richieste, e la Tunisia di Saied, che si è dichiarata più volte contraria alla realizzazione di tali richieste. Non più tardi di aprile il presidente Saied dichiarava «non accettiamo diktat dall’estero che portano solo a un ulteriore impoverimento». Su questo punto, bisogna dirlo, il presidente della Tunisia non ha torto. Infatti, come nota l’analista di politica tunisina Fabio Frettoli in un’intervista rilasciata ad HuffPost «in questo momento la situazione economica è così complicata che le richieste dell’Fmi, tra le quali c’è anche il taglio di alcuni sussidi, rischiano di esacerbare i problemi delle classi più povere».
Tuttavia, non bisogna cadere in una lettura superficiale della volontà di Meloni di ottenere un ammorbidimento delle richieste del Fmi, già espressa al G7 tenutosi ad Hiroshima, quando la premier dichiarava: «Siamo sicuri che questa rigidità (dell’Fmi) sia la strada migliore? Se questo Governo va a casa noi abbiamo presente quali possano essere le alternative? Credo che l’approccio debba essere pragmatico, perché altrimenti noi rischiamo di peggiorare situazioni che sono già compromesse»; le motivazioni di questa richiesta non sono di certo guidate da preoccupazioni umanitarie, quanto dal valore strategico che la Tunisia rappresenta per l’Italia a livello economico. Se cadesse il governo e il paese andasse in default sarebbe un disastro per le circa 1500 imprese italiane in Tunisia (tra cui ricordiamo nomi come Benetton, Eldo, Eni, Agip, Fiat, Ansaldo). Inoltre, l’Italia ha forti interessi riguardanti il settore energetico in Tunisia: è da questo paese, infatti, che passa il gasdotto che collega direttamente Italia ed Algeria (Paese che nel 2022 ha sostituito la Russia come primo Paese da cui l’Italia importa gas). Infine, l’Italia vuole mantenere rapporti positivi con la Tunisia anche in vista dell’allettante prospettiva di consolidare una posizione di spicco sul mercato del gas, diventando un hub energetico del Mediterraneo per il resto dell’Europa (il cosiddetto “piano Mattei”), grazie alla costruzione di un elettrodotto sottomarino che colleghi direttamente la Tunisia e la Sicilia.
Considerazioni conclusive
Appare sconfortante osservare come in ogni prospettiva di risoluzione dei negoziati a rimetterci sono sempre gli strati più poveri della popolazione, tanto quella tunisina, quanto quella di migranti provenienti da altri paesi del nord Africa presenti su questo territorio. Da un lato, la crisi galoppante, i tassi di inflazione e disoccupazione insostenibili, oltre che la montante crisi alimentare, stanno gettando milioni di persone sul lastrico e rendono estremamente necessari i finanziamenti di Fmi ed EU per evitare la catastrofe umanitaria. Dall’altro l’accettazione da parte della Tunisia di questi aiuti significherà l’implementazione di politiche di austerità antipopolari, quali la fine di alcuni sussidi su benzina e farina o il taglio della spesa per i dipendenti pubblici. Infine, l’atteggiamento tanto del governo tunisino quanto di quello italiano nei confronti dei migranti, visti come fautori di «sostituzione etnica» o additatati come «migranti illegali», con lo scopo di negare la legittimità dell’azione delle ONG, porterà inevitabilmente al perpetuarsi di tragedie come il naufragio di Cutro.