Più di quattro secoli sono trascorsi dalla condanna a morte di Giordano Bruno. Rare le manifestazioni in memoria del filosofo, l’uomo che ha lottato contro i tempi oscuri.
Giordano Bruno viene arso vivo in Piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600. Nel tragitto che lo conduce al patibolo l’ormai ex domenicano non ha l’occasione di proferir parola. Uno strumento di tortura, un bavaglio di ferro, la mordacchia, gli impedisce di parlare. Così, nel segno del silenzio, si chiude la vita del filosofo errante che tanto aveva fatto pur di non tacere la verità. Certo è che, se non nel pronunciare la sentenza nei suoi confronti, almeno nell’intuire le sue idee, più di qualche prelato aveva cominciato a tremare.
Girovago senza dimora fissa, divoratore famelico di testi proibiti, Giordano Bruno aveva calcato le cattedre di molte università europee. Non sempre il domenicano era stato accolto dai favori del pubblico accademico e, talvolta, le tensioni religiose e politiche tipiche della controriforma lo spinsero a partire verso luoghi più sicuri. Fu il caso del trasferimento da Parigi a Londra, dalla corte di Enrico III alla capitale inglese sotto l’ala protettrice dell’ambasciatore di Francia.
L’Europa era in subbuglio e le lotte per la fede macchiavano di sangue l’intero continente. L’ammutinamento di Lutero nella fredda Sassonia sparge inaspettati focolai di rivolta tra i principati dell’Impero. Qualcuno ha letto le teorie del monaco alla luce delle drammatiche condizioni del popolo e ha pensato di consegnare agli ultimi il regno dei cieli, ma sulla terra. Insomma, da una serie di fogli affissi sul portone di una chiesa in Germania, si scatena un’onda violenta in in tutto il consesso cristiano. Lutero adatta le idee ai principi, invita alla pace, alla mite accettazione della sovranità per grazia divina, ma è tardi ormai per fermare il dramma che squarcerà intere città e paesi.
In questo tempo in cui profeti viandanti e arringatori di folle armate di forconi percorrono i sentieri della disastrata Europa, viaggia e scrive Giordano Bruno, originario di Nola, nei pressi di Napoli. Il filosofo non ha preferenze religiose. Per quanto ufficialmente domenicano, dimostra con i suoi trattati e dialoghi un’evidente avversione nei confronti delle fedi canonizzate, siano esse pre o post riformiste. Una della maggiori preoccupazioni di Giordano Bruno è quella di mantenere ben separata la ragione umana da quella divina. Fondamentale per lo studioso è il principio secondo il quale, indipendentemente dalla fede professata, l’intelletto umano rimane l’unico mezzo per indagare l’universo.
Per parlare di Dio e con Dio solo la fede può essere il linguaggio adatto. Ma tutto ciò che Dio ha prodotto, tutto ciò in cui è, la divinità nelle cose, può essere osservata dai nostri occhi e capita, se studiata, dal nostro intelletto. Allora il linguaggio diventa quello della filosofia, il baricentro dell’interesse si sposta e si scopre il divino nell’uomo e nel mondo che non è altro che materia in continua evoluzione. Ma questo è solo il principio per Giordano Bruno. Fuori dal mondo, dal nostro pianeta, al di là delle nostre limitate vite, si agita una disarmonica corrente di sistemi che si addensa e si aggrega casualmente e in luoghi inaspettati dando forma a infiniti mondi.
Giordano Bruno fu incarcerato e interrogato per otto anni. Da Venezia fu condotto a Roma sempre sotto l’accusa di eresia. Il potere di allora, basato com’era sull’elezione divina, non poteva permettersi di contemplare la non centralità, la pura coincidenza alla base della sua esistenza. Ciò che avrebbe segnato il secolo successivo, la messa in discussione del sistema finito in favore di un universo infinito e privo di cardini, fu messo a tacere nel febbraio di 420 anni fa, arso dal fuoco e gettato in cenere nel Tevere.
Le analogie coi tempi correnti forse ci aiutano a comprendere come mai oggi sia scarsa l’attenzione verso una ricorrenza tanto importante per l’Occidente moderno. Alla situazione dell’Unione Europea strattonata dalle tensioni interne, l’uscita del Regno Unito, i movimenti apertamente separatisti che prendono piede nei vari paesi membri, si aggiunge il caso di un’epidemia virale in rapida diffusione. Niente di più simile al periodo in cui Giordano Bruno percorse le strade dissestate del Vecchio Continente. Fazioni populiste radicali aggregano via via più consensi in nome di una definita e circoscritta unicità che metta al sicuro da possibili influenze esterne.
Ai dogmi della fede, sbandierati sui palchi dei convegni elettorali, si aggiungono quelli del primato della razza, mai troppo velati. Il richiamo quasi esplicito al Novecento più buio spesso non lascia intravedere il collegamento alla matrice oscurantista di più antica memoria, sempre in agguato in Europa. Giordano Bruno, insegnando la molteplicità dei mondi, la necessità dell’indagine filosofica, la non centralità dell’uomo, viene arso vivo ogni giorno dalle dichiarazioni e dalla memoria annebbiata dei nostri tempi.
Paolo Onnis