I giocattoli sessisti insegnano i ruoli ai bambini, ma le discriminazioni non sono un gioco
Cosa s’intende per giocattoli sessisti o genderizzati? Fiocco rosa per lei, fiocco blu per lui. Cucina giocattolo per lei, pistola giocattolo per lui. In altre parole: grazia ed eleganza per lei, forza e virilità per lui. Lei donzella in pericolo, lui cavaliere che la salva. Il “gioco” di ruoli è un pilastro del sistema educativo da secoli e i bambini lo imparano inconsapevolmente anche giocando.
Quando inizia la “genderizzazione”?
La distinzione in lui o lei inizia in utero, nell’esatto momento in cui il ginecologo comunica ai genitori il sesso del feto. Quel preciso istante scrive un pezzo importante della sua storia. Scrive di che colore sarà il fiocchetto appeso alla sua culla o il tipo di regali che riceverà a Natale. Se sarà una lei dovrà galleggiare a fatica in un oceano di stereotipi e maschilismo: il nostro è un mondo a misura d’uomo, non di donna. Perciò che si abitui sin da subito, perché ogni bracciata sarà una conquista sofferta. Se sarà un lui dovrà smantellare tanti luoghi comuni in nome della libertà di essere ciò che gli pare.
Perché si parla di giocattoli sessisti (se non si fosse ancora capito) e qual è il loro ruolo educativo
I pedagogisti considerano il gioco tra le occasioni formative più importanti e d’impatto. Il gioco, insomma, fa parte del sistema educativo. Quindi se si parla di giocattoli sessisti è perché probabilmente il sistema educativo è sessista. L’educazione che riserviamo ai più piccoli da parecchie generazioni è interamente costruita sulla rigida distinzione tra maschi e femmine. Il sesso ha sempre determinato il ruolo dell’individuo nella società. Le attività ludiche sono volte a proiettare i bambini verso il mondo degli adulti, riproponendolo in miniatura e con toni edulcorati. Quindi se il mondo degli adulti è sessista, anche i giocattoli saranno sessisti. Se una bambina riceve in regalo un’aspirapolvere giocattolo e un bambino, invece, una pistola giocattolo, vorrà dire che da grande lei dovrà occuparsi della casa, lui dei lavori difficili e pericolosi. È un tentativo spregiudicato di legittimare e normalizzare una suddivisione dei ruoli obsoleta e deleteria. E no, non è una polemica inutile né l’ultimo delirio del politically correct, ma un tassello chiave nella lotta contro i pregiudizi e le discriminazioni di genere.
Il caso Barbie: icona d’emancipazione o emblema del sessismo?
Quando si parla di giocattoli sessisti viene subito in mente lei, la bambola per antonomasia: Barbie. Nata nel 1959 in casa Mattel, è diventata un’icona, spesso al centro di polemiche e controversie. Oggi, dare della Barbie a qualcuno, è considerato un’offesa: la bambola incarna lo stereotipo della bionda civettuola, della donna bella ma priva di contenuti.
Cosa la rende un giocattolo sessista
Una delle colpe più gravi di Barbie sarebbe quella di aver condannato almeno tre generazioni di bambine a dover fare i conti con un modello femminile tossico. Barbie avrebbe generato un modello di donna-oggetto delle fantasie sessuali maschili: di qualsiasi personaggio vestisse i panni, che fosse un’astronauta o la presidente degli USA, Barbie era prima di tutto bella e desiderabile. Per farla breve, Barbie avrebbe contribuito a creare un modello di donna a misura degli uomini. Lo scivolone più recente risale al 2010: un libro raccontava le imprese di una Barbie ingegnere informatico. Un po’impacciata e pasticciona, incapace di portare a termine il suo lavoro senza l’aiuto di due colleghi. Maschi, ovviamente.
Cosa la rende un’icona d’emancipazione
Tutte le tesi sostenute dai suoi detrattori suonano verosimili. Barbie è condannata: è la capofila dei giocattoli sessisti. Ma c’è qualcuno che potrebbe non essere d’accordo: si tratta della sua “mamma” ideatrice, Ruth Handler. Barbie nasce dall’idea di offrire a sua figlia una bambola nuova con cui giocare, diversa dai soliti bambolotti da accudire. Magari una piccola donna di plastica su cui proiettare tutti i suoi sogni e le fantasie sul suo futuro di donna ma non necessariamente di madre. Il trasformismo di Barbie negli anni ha sempre seguito l’intento di stare al passo con i tempi e addirittura di anticiparli. Negli anni ‘90 ad esempio, Mattel lanciò sul mercato una Barbie presidentessa degli Stati Uniti (che ancora oggi non si è mai vista). Questo accentua l’ideale di donna che si realizza con le sue forze, non solo conquistando il Ken di turno con qualche sguardo ammiccante. Barbie più che un giocattolo sessista sembra essere un giocattolo frainteso.
Morale della favola?
C’è una morale? Forse no, anche perché non c’è una favola. Qualcuna sopravvive ancora nel regno fatato dell’infanzia, al riparo dal cinismo degli adulti che non sanno più sognare. Ma le favole, purtroppo, sono state inventate dagli adulti per portare i bambini nel loro mondo il prima possibile. Un mondo in cui ognuno ha il suo posto: per chi cerca di costruirsi il suo non sempre c’è un lieto fine. In cui una bambina che sogna di ricoprire certi ruoli trova più ispirazione in una bambola che nella vita reale.