Quando se ne va uno come lui, a rimanerci male sono sempre in tanti.
Il 7 dicembre 2018 venne a mancare a causa di una lunga malattia Luigi, detto Gigi, Radice, storico allenatore del Torino campione d’Italia nella stagione 1975-76 e di molte altre squadre tra cui Milan, Fiorentina, Roma e Bologna.
Professionista serio, dentro e fuori dall’area tecnica, insegnava il calcio come lo intendeva lui ai suoi ragazzi, prima che ai propri calciatori, ai quali non risparmiava mai un consiglio, una parola di conforto arrivando ad essere considerato come un papà per alcuni dei suoi, specie se pensiamo al suo Toro.
Il “sergente di ferro” fu il soprannome affibbiatogli dagli storici gemelli del gol Pulici e Graziani, con i quali Gigi vinse il primo ed unico scudetto del Torino post- Superga. Grazie alle magie dei due attaccanti ma, per loro stessa ammissione, con grande merito dell’allenatore tedesco (altro soprannome) che seppe rivoluzionare il nostro calcio.
Radice: un allenatore innovatore e una carriera di successo
Radice è stato un allenatore innovatore, uno dei primi assieme a Trapattoni a sperimentare l’uso della zona mista e uno dei primi in assoluto ad usare il pressing a tutto campo con continuità. Sempre all’avanguardia: un uomo che viveva di calcio ma che prima di tutto voleva diffondere l’idea di un calcio vivo, dove nulla era dato per scontato e l’impresa del suo Toro rimarrà per sempre a testimoniare la sua grandezza.
Una carriera segnata da diversi successi, a partire dal periodo in cui era ancora un calciatore del Milan, che con lui diventò la prima squadra italiana a vincere la Coppa dei Campioni nel 1963. In rossonero vinse anche 3 scudetti tra gli anni ’50 e ’60, sempre da calciatore ma quando fu chiamato sulla panchina rossonera, per la stagione ’81-’82 non ebbe grandi successi e la sua avventura alla guida del Milan terminò dopo una sola stagione.
Il mitico scudetto ’75-’76 rimase l’unico titolo da allenatore, ma Gigi Radice non ebbe bisogno di altri successi per guadagnarsi le panchine di società tra le più prestigiose del nostro calcio: Inter, Fiorentina, Bologna, Roma, Cagliari, Genoa e altre più provinciali portate alla ribalta proprio da mister Radice come Monza e Cesena.
Un’ impronta calcistica, ma non solo
Uomo d’altri tempi di un calcio d’altri tempi. La scomparsa di Gigi Radice, per i tifosi dal cuore granata ma non solo, è l’ultima in ordine di tempo che va ad aggiungersi a quella di altri personaggi storici del nostro calcio che hanno lasciato un segno importante a Torino, proprio come Gigi: Mondonico, Giagnoni e Sauro Tomà, ultimo superstite del Grande Torino scomparso lo scorso aprile. Simboli di una squadra che non sarà mai più la stessa, emblemi di ciò che significa, o significava, tifare Torino: il piacere della lotta, la città piemontese e proletaria contro la borghesia arricchita che tifava la Juve.
Ma Radice, come detto sopra, rimarrà un simbolo non solo per ciò che ha fatto a Torino, ma anche e soprattutto per le sue idee di calcio:
Se il calcio non è anche una scuola di vita, non è niente